Area personale

 

Archivio messaggi

 
 << Ottobre 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
  1 2 3 4 5 6
7 8 9 10 11 12 13
14 15 16 17 18 19 20
21 22 23 24 25 26 27
28 29 30 31      
 
 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 7
 
Creato da: r.capodimonte2009 il 13/10/2009
attualità, politica, cultura

 

 
« Il sindacato chiede la p...RENZI fa a fette il Codi... »

Il sindacato chiede la partecipazione diretta dei lavoratori alla gestione delle imprese: miracolo o miraggio?

Post n°1251 pubblicato il 19 Gennaio 2016 da r.capodimonte2009

SECONDA PUNTATA

E’ ovvio e sottinteso, ma non perché sia la tesi del mio saggio, che questa mossa sia in funzione di un peggioramento, molto più grave di ogni aspettativa, delle condizioni del lavoro, in Italia soprattutto, a causa di un’interpretazione becera del “monetarismo neoliberista” che confonde il blocco dell’inflazione fino ai limiti della deflazione, in cambio di una disintegrazione dei salari, del welfare e delle pensioni: ai fini di un assestamento impossibile dei conti dello Stato e, soprattutto, dei bilanci bancari. Questa scelta, che senza timore, si può definire “criminale” ha travolto, inizialmente, la pmi, che usava reggersi sulla qualità del prodotto, molto meno sull’affidamento bancario, anzi ne conosceva sì e no, gli aspetti usuali (non certo le garanzie “tossiche” che poi le banche hanno cominciato a chiedere in cambio dei fidi!); poi ha trasformato la grande industria, già abbondantemente tributaria degli aiuti di Stato, in un asset corrotto e colluso, pronto a tutto, purchè coperto da un rinnovo del credito “politicizzato”, e quindi illegale, tale da mettere in crisi gli stessi istituti. Ovviamente portandosi dietro una macelleria sociale che difficilmente è riscontrabile dal Dopoguerra, con una disoccupazione effettiva del 15%, lontana dai dati falsi che ci propinano gli istituti statistici, tutti orientati a non peggiorare l’impatto che l’opinione pubblica ha sul Governo non eletto che la domina, con una maggioranza altrettanto illegale, corrotta e trasformista.

Il sindacato conosce più degli altri questa condizione capestro che pone l’Italia un gradino solo più su della Grecia, e sa bene che, ormai, non potrà controllare più di tanto  la situazione disperata del mondo del lavoro, man mano che si chiuderanno i rubinetti finanziari della UE, verso ammortizzatori sociali sempre più inadeguati. Migliaia di vertenze, relative a milioni di lavoratori, giacciono irrisolte sui tavoli dei Ministeri, e quello poche di cui il Governo vanta la soluzione, sono state obbligatoriamente chiuse con riduzioni di salario e migliaia di persone in mobilità, in attesa della inevitabile delocalizzazione!

Come sostengo nel mio libro, ormai non è più l’azienda in sé ad essere al centro dell’attenzione, ma la crisi che le si vuole far percorrere, perché di crisi si parla ormai a tutti i livelli: le uniche realtà che ne erano immuni erano le imprese esportatrici, colpite anche loro, alla fine, dell’imbecillità delle sanzioni alla Russia e le conseguenti contro-sanzioni letali toccate ai nostri marchi del lusso. Ed è a questo punto che, mi pare, il sindacato abbia preteso che le bocce si fermassero.

La Germania fu la prima a credere nella “gestione diretta del lavoratore” o codeterminazione, che in Italia la Costituzione disegna all’art. 46; è anche vero che il modello industriale italiano è diverso da quello tedesco, che prevede un’alta concentrazione di grandi imprese. Pur tuttavia, sostiene il sindacato,  si possono prevedere “tre aree di partecipazione: partecipazione alla governance, partecipazione organizzativa, partecipazione economico-finanziaria.” Un rilancio obbiettivo al “dialogo sociale”, di cui gli ultimi governi si sono appropriati, ignorandone le finalità, tempi e modi, e quindi “il perseguimento dell’equilibrio condiviso tra esigenze di sviluppo e di competitività delle imprese e la salvaguardia dei diritti del lavoro e della coesione sociale, a partire dalla retribuzione, e dagli stessi negoziati tra le parti sociali.”

Accanto a questo, finalmente, il riconoscimento pubblico della rappresentanza sindacale, in rapporto al peso di ciascuna sigla, esteso perciò alla controparte datoriale, con l’applicazione “erga omnes” dei contratti di lavoro, così come detta l’altro articolo “azzoppato” della Costituzione, il n. 39.

Ma non finisce qui: la strada è aperta verso gli articoli 42-43, i quali prevedono che le aziende, per evidenti motivazioni d’interesse generale (e la chiusura per motivazioni esclusive di basso profitto, o delocalizzazione, o vendita speculativa lo sono!), possano essere “espropriate, salvo indennizzo” dallo Stato e riconsegnate alle maestranze, perché investendo sui loro crediti sociali e contando su una particolare attenzione da parte della PA, che non ha niente a che vedere con gli ammortizzatori sociali né con la trasformazione “fasulla” in ente cooperativo, le possano riallineare al mercato, gestendole in modo diretto e globale: si tratta dell’autogestione o socializzazione, che non è escluso, come non fu escluso nella Jugoslavia per 40 anni, possa assurgere a modello innovatore dell’impresa italiana.

Molti diranno, che, in questo modo la proprietà privata non sarà più tutelata, e si assurgerà ad una forma di collettivismo ibrido.

Non è così, perché, specie nel caso della pmi, che sta lasciando sul campo aziende di qualità, che saranno perdute per sempre, come i loro brevetti, il ricorso all’autogestione tutelata dallo Stato, è giocoforza porti alla mutazione dell’autoclassismo tra datore di lavoro-lavoratore, e li ponga entrambi sullo stesso piano, chiamati a gestire insieme l’azienda. O sarebbe forse meglio distruggere il lavoro di generazioni (pensiamo alla Saeco o all’Olivetti o alla Fincantieri!), disperderne le ricche tecnologie o regalarle alla concorrenza straniera, ed eliminare dal mercato un soggetto fiscalmente attivo?

Tutti sanno, sindacato, intelligentia e il sottoscritto, che l’imprenditoria farà carte false per opporsi a questo modello: perché rappresenta il tramonto di quell’onnipotenza intellettuale, che col tempo è diventata onnipotenza “profittuale”, che, invece, è in modo sacrosanto, primario interesse dello Stato limitare, proprio dello Stato che comunista non è (così come non fu più comunista lo Stato jugoslavo autogestionale!), acchè trovi strade di equilibrio assoluto, quando una delle controparti, e in questo caso è innegabile quale sia la colpevole, voglia rovesciare i tavoli.

A questo punto, tutti, anche quegli inetti che oggi si definiscono “riformatori” (e sono andati a riformare dove non c’era alcun bisogno!), dovranno rendersi conto che il Paese deve guardare al futuro, slegandosi finalmente dal cordone ombelicale di un’Europa che fa i propri comodi, ma con noi stringe la cinghia, per il solo motivo che ci vuole morti. E liberare il lavoro dal fantasma reazionario che ancora offusca le menti dell’imprenditore, che non vuole accettare che il profitto comprende, e come potrebbe essere il contrario, una “percentuale di partecipazione” del lavoratore, che ha contribuito a crearlo, e che non ha niente a che vedere con il salario.

E’ questa “quota” che le maestranze andranno a chiedere, per ora, sottoforma di “quota di getione” dell’azienda. E’ ineluttabile che sia concessa. Ma il cammino è già aperto, per altre, più significative rivoluzioni! (Riccardo Scagnoli)(*)

(*) R.Scagnoli, LA GESTIONE DIRETTA DELL’IMPRESA DA PARTE DEI LAVORATORI, Ed. Tabula Fati-Chieti, pagg. 174.

 

 

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
Vai alla Home Page del blog

Cerca in questo Blog

  Trova
 

Ultime visite al Blog

amorino11mozillastmonellaccio19acer.250iltuocognatino2karen_71diabolikas0m12ps12robert.sstaff.communityLibannawintour0Miele.Speziato0rossella1900.rlucylla_sd
 

Ultimi commenti

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963