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Una lezionicina di storia ai soloni dell'emergenza
Post n°1452 pubblicato il 02 Novembre 2016 da r.capodimonte2009
Come poco si conosce la storia, e come per niente la conoscono i bellimbusti che oggi dirigono il Governo e le altre gestioni dell’emergenza. Basti andare indietro nel tempo di circa 1.500 anni, quando l’Italia finalmente si era liberata dai barbari più feroci e predatori e aveva integrato quelli più civili. Cioè era pressocchè tutta “terremotata” specie fuori dai grandi centri più popolosi. Ebbene come rinacque? Attraverso le piccole attività commerciali, artigianali e manifatturiere, che poi crearono i nuclei, le abitazioni degli operai e dei datori di lavoro, i mercati dove si vendevano i prodotti agricoli; e poi arrivarono i frati dai conventi più vicini a prestare soldi (i monti di pietà), e alla fine un tipo ricco ci costruì il castello. Questa è la semplice storia di questo nostro paese, perché tutti noi abbiamo, volenti o nolenti, antenati contadini o artigiani. Ebbene qual è l’errore più grande che si possa fare, oggi, nei confronti delle terre terremotate? Allontanarne le attività: la prima cosa da fare, per la gente, che giustamente vuol restare e guardare da vicino la ricostruzione (sic!), è ridare fiato al commercio, all’artigianato, all’agricoltura, magari ricostruendo su prefabbricati le attività, tutte, dai bar alle lavanderie, dai droghieri ai barbieri, dalle farmacie ai ristoranti, fino alle poste e a uno sportello bancario; in modo che la gente si possa servire degli stessi servizi di un tempo. E voi direte, la gente dove la mettiamo? Dove volete, purchè non sia traferita altrove, perché sarebbe questo l’unico modo serio di distruggere quelle comunità. E le scuole, sistemate nei container, non dovranno mai essere lontane dal cuore di queste terre sfortunate, in modo che i bambini e i ragazzi, ricostituiscano il nucleo sociale originale. E soprattutto, che lo Stato e i suoi tentacoli, non si mettano, come ogni, volta a derubare la speranza nella ricostruzione, che, ovviamente resta il traguardo ultimo. Per fare questo è indispensabile costituire dei “comitati partecipativi” dei cittadini, che accompagnino la giunta e il consiglio comunale, nelle decisioni, e che queste decisioni, siano portate alla conoscenza di tutti. La democrazia, così come vige in questa repubblica, non basta più: in questi casi deve diventare “diretta, e di base”, perché il popolo, scottato da mille storture, specie quando il suo destino è legato al rischio della propria esistenza, deve poter decidere in proprio. Questi comitati, perciò, dovranno avere potere consultivo, ma anche di controllo, e quindi gestire tutte le fasi della ripresa, e intervenire, con assesi e dissensi, sul Comune e sulla Regione. (R.S.)
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