Il VENTO e il LEONE

Il guaio è che gli uomini hanno una particolare abilità nello scegliere proprio le cose peggiori per loro (J. K. Rowling)

 

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Nulla albergherà più del necessario
sul volto scevro di parole
Accadrà a questo attempato desiderio
di sorgente
silenzio inerte di peccato

Dell'attesa languida di luce
paziente canto di rugiada
non si avrà notizia

 
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Accidia

Post n°92 pubblicato il 05 Maggio 2008 da Kastaghir
 

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Nel senso perduto d’affanno, è la tormentata pigrizia d’affrontare nuove sfide che giunge di soppiatto a insidiare il passo, a corrompere la carne dal risveglio del mattino. Icone d’altri giorni, i suoni familiari del fastidioso accapigliarsi, si divorano l’un l’altro scalando vette caserecce, mutazioni d’imbarazzo, semplici passaggi quotidiani.

Di tutte le stranezze della vita che ci curiamo d’evitare, ostacoli frapposti dal deliquio repentino d’energie, l’indolenza necessaria al quieto stare, ci ristora, ci ammalia e ci conquista. Distinta seduttrice d’intelletto, sinuosa nelle forme, sfrontata si pavoneggia al contraltare del capriccio; mossa inevitabile d’alato pindarico sostegno, osserviamo incuranti incuriositi ogni frivolo riferimento al piè sospinto, forti d’un cipiglio antico di retaggio al padre ozio.

Viene meno la sostanza, sulfurea ingerenza di fatica. Viene meno la forma, delizia argentea di scultura. Di quanto ci appropriamo, come voraci animali di lussuria, assumiamo visione di lentezza, di gaudente divisione di periglio.

E il giorno avanza … placidamente.

 
 
 

Post N° 91

Post n°91 pubblicato il 29 Aprile 2008 da Kastaghir
 

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Un cerchio si chiude, un cerchio si apre. C’è una macchia scura nel sole e il vento odora di fumo e carogne. Non sono più le parole a guidare il mio cammino, poiché non esistono lutti per chi è capace di sogni, né distruzione per chi comprende la legge del tempo.

Così è stato il viaggio del mio popolo. Per oltre cinquemila lune è vissuto camminando con gli spiriti dei padri, ricercandone il coraggio, fuggendone le debolezze. La terra lo ha nutrito, confortato e, infine, accolto.

Abbiamo combattuto sino a sentire l’odore dolciastro del sangue coprire il dolore per le nostre ferite, lottato per i figli e i figli dei loro figli, per il valore e per la vita, per follia e per vendetta. Le vittorie sono state numerose quanto le sconfitte, come il giusto equilibrio richiede a tributo. Abbiamo cantato e danzato, gioito e sofferto. Siamo stati fianco a fianco più che fratelli.

Ora che il tempo finisce e ogni cosa trova compimento, il buio tiepido accogliente della terra mi reclama. Non appartengo a coloro che verranno. Un mondo nuovo accoglierà l’alba umida di rugiada.

Un cerchio si chiude, un cerchio si apre.

Io, Specchio di Pietra, anziano del Popolo del Salice, così ho parlato.

 
 
 

Post N° 90

Post n°90 pubblicato il 28 Aprile 2008 da Kastaghir
 

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VANITÀ ...

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decisamente il mio peccato preferito

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Carry you home

Post n°89 pubblicato il 25 Aprile 2008 da Kastaghir
 

   La vita ti impone delle scelte che non vorresti fare, ti porta lontano dai sogni di bambino snocciolati con gli amici al ritrovo quotidiano. Allora ricordi i muri sbrecciati sui quali immaginavi altre vite, storie fantastiche e inverosimili, legami suggellati dal sangue tiepido, ferite stillate nel coraggio incosciente dell’assurdo; ricordi i luoghi, che ad ogni passo sembrano sempre un po’ diversi, più piccoli di quanto ancora avessi in mente, e ti accorgi che i fantasmi che popolano i tuoi pensieri hanno perso i loro volti … cazzo … non li ricordi nemmeno spaccandoti il cervello, non ricordi i suoni delle voci, non il calore delle mani sulle spalle o le grida in lontananza.

Ti passa accanto la sconosciuta indifferenza che il tempo ti accomoda sulla schiena e ti senti un mendicante in cerca di un sorriso, un estraneo che calpesta territori ostili di conquista. I colori si fanno vivi, ma continui a immaginare quelli perduti tra i ciottolati polverosi di campagna, la semplice realtà di cose che non ritrovi rincasando in solitudine. Ti viene voglia di chiudere gli occhi e pregare, pregare di riaprirli e trovare tutto com’era, solo per un istante, un maledetto istante per crogiolarti ancora una volta in quella sicurezza che desideri da tanto, in quel tepore che ti solleva e ti conforta.

L’aria è pungente. Pochi vi badano, indifferenti ai piccoli movimenti che ancora riesci a scorgere nel cielo, ma le volute d’ali hanno quel fascino che immutato ti accarezza comprensivo, ristoro d’ansie perpetrate anno ad anno; forse mi sto perdendo o mi accorgo di volermi solo ritrovare: ecco quel che sono, un sasso smarrito fra la ghiaia, argine di insipienza o di dolcezza, chi lo sa. Forse non ho più nulla che mi appartenga veramente, nulla da aggiungere o da discutere, nulla che valga la pena di ricordare con affetto: togliere ogni spina dalla carne non è servito a guarire le ferite.

Poi, quando non hai più parole a scardinarti le labbra, le senti: senti quelle vite che sognavi abbracciarti come farebbe tua madre, sussurrarti suoni dimenticati. Allora ti volti e le figure si contornano definite, smorfie e sorrisi, poi le voci, gli odori … la vita. Sono tutti lì, chi se n’è andato e chi non tornerà, tutti lì come apparsi all’improvviso. E crolli. Crolli perché non pensavi di piangere come un tempo, di essere così grande da portarti dentro quell’immensità. Crolli perché sono anni che non stai in ginocchio, sono anni che non senti quel senso di appartenenza a qualcosa che vada oltre ciò che ti è dato di vedere. Tutto questo tempo, vita dopo vita. Tutto questo amore, legame dopo legame. Ho dato veramente tutto.

Ora puoi andare. Ti porto a casa.

 
 
 

La nascita dei desideri liquidi

Post n°88 pubblicato il 24 Aprile 2008 da Kastaghir
 

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Me ne vado fra i rivoli di parole che ogni giorno mi trovo sul cammino, indeciso se darvi peso o semplicemente lasciare che siano pioggia sull’asfalto: poi la curiosità stimola le soste, caduche pause riflessive di stanchezza.

Ascolto. Ascolto sempre molto. È come essere immersi in un caleidoscopio di pensieri, tutti meravigliosi, colorati e bellissimi, ma sostanzialmente indistinguibili; ogni suono prende forma attraverso contorte logiche d’attesa, elucubrazioni in apparenza secondarie o distratte d’impazienza.

Mi colpisce certa varia umanità che vedo dipanarsi come un bandolo aggrovigliato, sgomitare lacerando incrostazioni d’innocenza, sporcizie o retaggi d’etica in abbandono; in fondo vi leggo segni di rinuncia, rassegnazioni quotidiane alle battaglia, dettagli che si depositano sulla pelle come acqua fresca di sorgente.

In questi giorni rifletto spesso su ciò che desidero e, addentrandomi in altrui pensieri in cerca di parole, osservo quei desideri liquidi racchiusi a stento con le mani, prigionieri di una bellezza che ogni giorno svanisce un po’ di più; sogni portati con speranza sotto il braccio, come giornali la mattina, e sempre troppo sciupati al calar del sole. Troppo spesso però ho notato che le persone rivolgono all’esterno le loro attese, le aspettative di sollievo che circondano come laghi profondi isole lontane, fiducie sonnacchiose: ci aspettiamo sempre tanto dagli altri che dimentichiamo spesso quanto gli altri si aspettino da noi.

Oggi non voglio essere così. Voglio dimenticare per un istante quel che mi attendo, sia esso amore o amicizia, rispetto o comprensione, stima o semplice considerazione, pregi o difetti; voglio guardare nello specchio di ogni giorno e trovarvi l’uomo che sono, o forse quello che vorrei essere. Per questo, leggendo uno scritto anonimo, sono rimasto nel silenzio ad ascoltare … non parole, ma coscienze … chiunque abbia scritto quello che riporto sotto ha la mia riconoscenza.

Non eseguo, penso. Non studio, apprendo.

Non mangio, assaporo. Non bevo, degusto.

Non dormo, sogno.

Non sento, ascolto. Non parlo, dialogo.

Non copio, creo. Non comunico, trasmetto.

Non piango, soffro. Non guardo, osservo.

Non pretendo, chiedo. Non confido, credo.

Non chiudo, spengo. Non scrivo, emoziono.

Non diffido, dubito. Non butto, conservo.

Non cambio, cresco. Non immagino, spero.

Non scappo, affronto. Non finisco, riparto.

Non fermo, miglioro. Non salto, volo.

Non limito, apro.

Non valuto, approfondisco.

Non esisto, vivo.

     Per un istante … non chiedete sempre agli altri, chiedete davvero a voi stessi. A volte non so che uomo sono, ma oggi, un po’ di più, so quel che vorrei essere

 
 
 

Post N° 87

Post n°87 pubblicato il 29 Marzo 2008 da Kastaghir
 

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T’ho amato tanto sai … quanto si può amare sin dalle viscere dell’anima. Ho diviso il mio cuore come pane sulla mensa, offerta silenziosa di promesse, sottile in lontananza. Ho nascosto il viso nel cavo delle mani e raccolto pioggia nera sulle labbra, arruffati solchi di languida dolcezza.

Avrei voluto la tua pelle disegnata dei colori sfaccettati del mattino, il sorriso d’ambra antica e delicata e i suoni ruvidi di casa: quella semplice normalità d’intenti, sequela intagliata di stupori o tranquille polveri di giorni. Il gesto naturale dello sguardo ti rinnova, come portata d’assoluto, come ingenua irriverenza sospesa sulle punte, ma non mi riesce di sostare, d’immergermi in queste tratte tumultuose. Di questo fuoco che divora, che solleva colpi secchi alla mia porta, non ho traccia o cicatrice, solo vuoti da colmare; vuoti immensi conficcati nel costato, fra le ossa irrobustite dal cinismo.

Ora mi fermo, in questo contendermi a metà, sfrontato nell’eccesso, guardingo sulla soglia: che sarà di tutto quanto, se non futile ricordo? È stato un seme germogliato sull’asfalto, soffocato dalla fretta di fuggire; un solco verde oliva fra la terra e la sua chiesa. Non canto questa notte. Le parole che nascono dal cuore … sono morte sulle labbra.

Se solo tu sapessi quanto …

 
 
 

Puttana.

Post n°86 pubblicato il 28 Marzo 2008 da Kastaghir
 

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Mi disturba questo passo che risuona, questo ticchettio di falcata lussuriosa, irriverente. Nello specchio d’angolo nascosto brilli di riflesso sui capelli, archi di luna argento vivo, pieghe di tessuto plissettato fra le mani. Ogni notte il corridoio è popolato di figure, sguardi cupi di giudizio, blande passioni d’altra età; ogni accenno di saluto sfuma delicato sul finale, rosario blasfemo di vergogna, icona di mancata sobrietà.

Te ne vieni con la vita sul sorriso, con l’amarezza di chi abbandona pezzi d’anima colpo a colpo. Hai addosso un alfabeto di follia, incomprensioni che fanno a pugni col rispetto, ma le mani sono abili al saluto, sicure al primo tatto; eppure d’ogni fasto di bellezza intarsiato sul tuo volto, non serbo traccia fra i ricordi o desiderio di futuro. Solo questo pigro andirivieni, quotidiano amplesso di giocosa umanità; solo questo semplice apparire con trascurata sciolta nostalgia.

Mi balocca questo portarti in palmo di santi peccatori, ingenua debolezza infranta sugli altari; ma di carne e sangue questo piatto è prelibato, di turpe ingratitudine e sollazzo, e il giorno sempre troppo lungo, sempre troppo pesante da smaltire. Prenditi il fardello d’aspettarti ogni notte, d’ascoltare una falsa indifferenza fra lingue calde e cosce aperte. Prenditi questa noia che mi assale quando sollevi parole di borgata, idioma di riguardo e di lavoro. Prenditi pure tutto quanto.

Nel buio, il volto in ombra, solo io so di quelle lacrime. So di quanti sogni chiusi fra i corsetti, mezzibusti di languore, ballerini di flamenco. Calca quel cappello: la freschezza se ne va! Eppure, in questo pianto, non sei mai stata così bella. Ed io t’ho atteso tanto … sino a vederti scomparire.

 

 
 
 

Post N° 85

Post n°85 pubblicato il 27 Marzo 2008 da Kastaghir
 

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Sono giunto sin qui, alla fine di tutto. Ho guardato negli occhi il gabelliere dal naso adunco, l’espressione arcigna; i sogni stipati nel paniere, come un minatore col suo pranzo. Non sono più in grado di discernere quei messaggi che la vita dispone in combutta col destino; forse è solo stanchezza o la collaudata diffidenza che mi porto sulle spalle come un sacco da emigrante; forse tutte le spigolose sfumature che mi colorano le mani sono smalto di pittore, illusione da parete.

Troppe parole di confine mi indossano taglienti, e queste tavole di frassino in cui adagio il mio sospiro, evocano lamenti silenziosi, ambascerie di scongiuro: – di che sanno le tue labbra? Del sangue di Abele o delle mani di Caino? – . Raccogli le tue bandiere, le tue sconce carabattole di passione d’ordinanza: non possono più illudere nessuno. Sosta in quell’anfratto di speranza che sa di favola d’Oriente, senza il cordone reciso di pazienza, senza il desiderio affranto di rinascita. Vi troverai uno squarcio di passato, privo del sorriso di un bambino, un ponte diroccato di dolcezza, parole sterili ed egoismo.

Sono giunto sin qui, alla fine di tutto. Accolgo una sigaretta fra le dita, e come un prestigiatore d’altri tempi disegno parabole di fumo. In lontananza le ombre scemano: il sipario è chiuso.

 
 
 

Visioni.

Post n°84 pubblicato il 26 Marzo 2008 da Kastaghir
 

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Questo mondo d’espressione che santifica in un gesto il vivere d’ognuno! Non importa se sia inconsulta ilarità o meditata strategia d’illusione, non importa se nell’aria nulla permanga se non sulfurea indifferenza: ciò che accomuna, è questa ricerca ossessiva di manifesta affiliazione d’incoerenza, questa sorta di solidale affrancamento di sostegno.

Mi osservo in questo quadro astratto d’emozioni, particelle soppesate una ad una dal corso degli eventi, come trame di romanzi d’appendice, contorte all’apparenza, banali al gran finale. Mi osservo trascorrere d’impulso portate d’indulgenza, come stupida vecchiaia poggiata alla finestra, sfumatura di palmizi e cartoline un poco usate.

Ed ecco infine l’acrobata sull’acqua: declama la sua storia di volteggi arabescati, di sogni ancorati a capezzoli consunti. Il significato di un’intera vita è tutto lì, in quel saluto irriverente, in quella beffa da spettacolo.

Nell’ombra semiseria di questa saggia indecisione, sarà una risata a seppellirci.

 
 
 

Yggdrasil

Post n°83 pubblicato il 25 Marzo 2008 da Kastaghir
 

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In principio non vi era nulla, solo il Ginnungagap, l’abisso ribollente e senza fine del caos primordiale, poi, lentamente, due masse presero forma e, raffreddandosi, si staccarono l’una dall’altra. Vennero così alla luce due mondi: a nord dell’abisso sorse Niffelhelm, un mondo di nebbie e ombre, nei recessi del quale v’era la sorgente detta hvergelmir, da cui nascevano dodici fiumi di ghiaccio; dall’altra parte, a sud, nacque Muspellheim, la terra del fuoco, percorsa anch’essa da fiumi … fiumi che bruciavano tutto ciò che toccavano splendendo di sfavillanti bagliori nell’oscurità.

Prima che i due mondi si separassero però, laddove il fuoco incontrava il ghiaccio, dall’unione di quelle due forze primordiali nacque un terzo mondo. Si chiamava Jotunheim, e su di esso venne alla luce la prima forma di vita: Ymir, il colosso di ghiaccio, capostipite della razza dei Giganti. Dall’unione però del titano con Audumula, il “grande nulla”, nacque però un essere completamente nuovo: Buri, il primo degli Dei. Egli conquistò il rispetto dei Giganti e venne risparmiato dalla loro furia. Generò un figlio di nome Bor al quale andò in sposa una gigantessa che diede alla luce tre figli, detti gli Asi. I loro nomi erano Ve, Vili e Odino.

Essi a loro volta si unirono con delle gigantesse e divennero numerosi, ma proprio per questo i Titani iniziarono a temerli e cercarono di sottometterli: fu allora che gli Asi si ribellarono e dichiararono guerra ai loro stessi progenitori. A lungo si protrasse il conflitto, senza che gli uni prevalessero sugli altri, finché gli Dei ricevettero inaspettatamente l’aiuto del demone del fuoco, Loki. Pur appartenendo alla stirpe dei Giganti, egli era infatti un emarginato a causa della sua statura. Loki diede informazioni vitali agli Asi e come ricompensa essi lo accolsero in mezzo a loro: Odino lo chiamò “fratello di sangue” e gli conferì rango reale.

Grazie a quel tradimento la guerra volse rapidamente a favore degli Dei. Odino stesso uccise Ymir e la stirpe dei Giganti venne quasi spazzata via. Questa distruzione ispirò gli Dei a creare un nuovo mondo, tra Niffelheim e Muspellheim: dal corpo di Ymir essi formarono Midgard, la terra. Dalle ossa del titano vennero le montagne, dai suoi capelli gli alberi, e dal suo cervello le nuvole; le acque vennero posto a circondare la terra, e, attorno ad essa un gigantesco serpente. Odino decise allora di popolare quel mondo e si recò quindi sulla terra assieme a Loki e al saggio Hoenir: giunto di fronte a due alberi Odino diede loro vita, Hoenir concesse loro ragione e Loki vi infuse il calore. Essi divennero così i primi esseri umani.

Completata così Midgard, gli Dei crearono al di sopra di essa una dimora per sé stessi, Asgard, la terra degli Asi, e, tra i due mondi costruirono il “ponte arcobaleno”. Odino era il sovrano di Asgard, il “padre di tutti” e la sua arma era la lancia gugnir, che ritornava sempre in mano al suo padrone. I suoi fedeli corvi andavano ovunque e gli riferivano tutto ciò che accadeva. Fuori dalla città dorata vi era il Valalla, dove i valorosi caduti in battaglia trascorrevano l’eternità in compagnia delle sacerdotesse di Freya, le Valchirie.

In tutto il creato vi erano nove mondi, e su essi dominava  vi erano nove mondi, e su essi dominava Yggdrasil, l’albero cosmico esteso in ogni reame … e alle radici del quale vivevano le tre misteriose Norne, uniche a conoscere il passato, il presente e il futuro di Uomini e Dei.

 
 
 
 
 

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Un blog di: Kastaghir
Data di creazione: 10/07/2007
 

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