Creato da labbrasilenziose il 04/04/2009

MY CHEMICAL ROMANCE

IN QUESTA VITA SELVAGGIA NON PUO' ESSERE TUTTO UNA COINCIDENZA

 

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Ci ho provato a dare un titolo a sto post ma senza risultati validi....

Post n°785 pubblicato il 05 Settembre 2012 da labbrasilenziose

Il mare non è sempre uno specchio calmo dove veder riflessi la propria immagine o il paesaggio intorno. O nella posizione giusta l'alba e il tramonto.
Il mare come ti rinvigorisce, alimenta la vitalità, ti strappa alla morte, può anche fare l'opposto. Dipende solo da te rispettarlo.

Mi trovavo su di una nave che mi avrebbe riportato alla mia solita vita. Un viaggio che sembrava apparentemente lungo, per mancanza di sonno o perchè ricordavo le parole dei racconti di gente incontrata per caso, di posti lontani, non solo nelle miglia ma anche per lo stile di vita opposto al mio. Stile di vita, diciamo per necessità o perchè obbligati da ciò che gli veniva concesso.

Ero nel punto più alto a me accessibile, sul ponte vicino la prua, sul lato di dritta che volgeva ad oriente. Buio pesto, poche stelle, gran parte offuscate da nuvole che apparivano e sparivano rapidamente. La salsedine in viso, l'aria tra i capelli e un orizzonte impercettibile davanti a me. Solo la schiuma delle onde tirate su dallo scafo che andava si facevano notare. Lei e i miei ricordi. Amari. Quelli che ti tolgono il fiato per evitarti inutili perchè.

Non bastavano le notizie lette sui giornali o viste nelle sporadiche volte in tv ad alimentare ormai la mia pessima opinione del mondo, ora c'erano quelle storie vissute, quei testamenti che brillavano negl'occhi di chi è riuscito a togliere il verbo anche dalle bocche di chi la fa facile, o meglio, di chi crede che il mondo sia dentro un telefonino o in un piatto di carta semi pieno gettato per terra all'aperitivo delle otto.

Guardavo le onde dal ponte e immaginavo. E fumavo.

Il medico della ONG raccontava della guerra. E di come quarantanni di guerra rende pazzi. "Resterò li ancora uno o due anni, poi basta o rimarrò invischiato nella loro follia. E' disarmante vedere un padre che racconta con freddo distacco la morte del figlio, con naturalezza, come se stesse comprando chennesò... le patate al mercato!!"
"Si muore ogni giorno per strada. Da noi arrivano bambini che non giocheranno più a pallone perchè le gambe le hanno perse sulle mine mentre recuperavano la palla tirata troppo in la..." E dopo aver detto questo si scolava un whiskey tutto di un fiato, come se dovesse per un attimo riprendersi dallo spavento. O dall'orrore. Parlava di Kabul.

Guardavo il mare e immaginavo come fosse starci immerso in quel momento, e guardare la nave diventare sempre più piccola, sempre più lontana per poi sparire. Era l'unico modo che avevo per tenere a bada l'angoscia.

Kamal raccontava invece del suo paese, della sua città, del perchè lavorava in Italia e del perchè la sua famiglia fu costretta a ritornare al paese.
"In Italia lavoro senza garanzie e non potevo permettermi di mantenere i miei figli. Avessi avuto un lavoro stabile non li avrei mai rimandati giu. Li c'è povertà ma almeno con i soldi che gli mando possono mangiare due volte al giorno, avere una casa e bere acqua potabile. Ma per molti dei miei connazionali non è cosi. Vanno al mercato e son costretti a decidere se mangiare oggi o domani, perchè i soldi non bastano per le patate o le cipolle. Molti abbandonano i figli davanti le caserme perchè non possono sfamarli o dargli le cure mediche. Almeno negl'orfanotrofi qualcosa per loro salterà fuori, sempre se riusciranno ad arrivarci vivi. Eppure a pochi chilometri ci sono città fortificate di imprese europee dove hanno tutto, anche l'aeroporto privato. A noi è negato l'accesso. Loro son li a sfruttare le nostre risorse, a bere la nostra acqua che non è contaminata dalle fogne rotte e noi siamo fuori come se fossimo noi gli estranei. E il nostro governo cosa fa? Nulla. Loro vivono nelle loro ville con l'esercito e i soldi degl'americani." Una smorfia schifata e allo stesso tempo rassegnata si stampa sul volto di Kamal.

Guardo il mare. Questo mondo sta andando a rotoli. Vittima di se stesso. O di chi non lo rispetta, di chi non rispetta la razza a cui appartiene.
Mi immagino nuovamente di tuffarmi dal ponte.


L'impatto.

Tornare a galla....

Guardarsi intorno e vedere la speranza allontanarsi...

Resistere alle onde del mare aperto...

Lasciarsi trasportare....

Sentire il respiro...

Fissare le stelle.. e poi ancora la nave e ammettere che il modo sta per finire...

Guardare un delfino saltare fuori...



Addormentarsi stremato dopo che hai lottato col buio sotto di te che hai tanto cercato...



Andare giu a fondo...



Morire e il mondo con te...

 

 

Guardavo il mare sul ponte della nave e immaginavo tutto questo, mentre la mia mente fuori campo raccontava . Immaginare e non aver mai avuto voglia di fare ciò. Immaginare semplicemente. Come quando da bambino immaginavi un mondo perfetto che non avesse mai fine. Eppure sei in un mondo diverso da quello sognato allora. Ci sei dentro anche te pur non approvando, pur rimanendo disgustato, pur immaginandone la fine o almeno il modo di ignorare definitivamente l'angoscia che provi. Che giustifica ciò che un tempo desideravi e che oggi invece eviti solo per paura di vederlo bruciare o vederselo portare via...



C'è solo il mare che il suo ricordo consola...

 

 

















Ringrazio Ricciolo e Kamal per avermi dato la possibilità di pubblicare questo racconto.



 

 
 
 
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