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Post N° 416

Post n°416 pubblicato il 29 Marzo 2008 da quotidiana_mente
 





In una giornata in parte come questa, di un mese di marzo di parecchi (ma non così tanti) anni fa, ho sostenuto l’esame di guida. Meglio tardi che mai. Lo so.

Non avevo mai sentito l’impellente richiamo della guida, ma durante un’estate nel sud della Francia su stradine linde come fazzoletti immacolati, ho pensato che sarebbe stato bello non dover dipendere da nessuno per scorazzare a proprio piacimento. Di traffico, in quelle stradine, nemmeno il sospetto e i pochi automobilisti sembravano tutti contemplatori della natura circostante.

Al rientro, in Italia, decisi che era arrivato, anche per me, il momento di entrare nella categoria delle patentate e a pieno diritto.

Al momento dell’iscrizione presso la scuola guida, solo la presenza di una signora argentina ha fatto sì che io non fossi la più vecchia della classe.

Trascurerò la parte relativa alla teoria, anche se ce ne sarebbe da scrivere per via dell’istruttore, un gentile signore di una “certa età”, il quale era sconcertato per la mia incapacità a recepire le precedenze ma forse di più per le mie domande relative al motore e alla sua meccanica. Gli era, persino, venuto il sospetto che il mio vero obiettivo fosse quello di fare la meccanica.

Ho regolarmente fatto pratica di guida con seduto accanto a me l’istruttore che, dal primo momento, ho denominato “l’asociale” e sul suo carattere non credo ci sia molto da aggiungere.

Le mie lezioni di guida si svolgevano dopo il regolare orario di lavoro, il che significava ora di punta: traffico al culmine dell’isteria generale. In qualche frangente, ammetto, ho pensato che non fosse poi così male spostarsi con i mezzi pubblici e che le stradine del Sud della Francia non valevano un si grande sforzo da parte mia e che, forse, potevo prendere in considerazione l’idea di assumere un autista a vita.

Nel bene e nel male, e nonostante l’asociale, sono arrivata al giorno prima dell’esame di guida: solito percorso al Villaggio Olimpico, dove si sarebbe svolto l’esame. L’asociale, al termine della lezione, mi chiese di accostare l’auto e di scendere. Qualcosa mi suggeriva che era un momento solenne. Si avvicinò a me, alzò le braccia verso il cielo e guardandomi (il momento era veramente solenne visto che non mi degnava mai di uno sguardo) disse: “Signora, domani faccia quanto le sarà possibile, faccia quello che può” e se ne tornò in auto. Lo ringraziai per quel prezioso consiglio, per l’incoraggiamento ma soprattutto per la fiducia accordata. Meditai anche di strangolarlo con la cintura di sicurezza ma pensai che, forse, mi potesse ancora essere utile almeno fino all’esame. E’ ancora vivo. Credo.

Il giorno dell’esame, una pioggia battente mi svegliò. Ho pensato che persino la meteorologia si fosse alleata con l’asociale e tutto questo, ovviamente, a scapito mio. Arrivata in ufficio, di fronte alla mia perplessità, Puzzola pensò bene di rinfrancarmi assicurando che, sicuramente, l’esaminatore sarebbe stato più clemente nei miei confronti proprio per via del brutto tempo. Capii in quel preciso momento che tutti, nessuno escluso, avevano una sola certezza: la mia bocciatura.

All’ora di pranzo, un bel sole spuntò nel cielo, indossai i miei scarponcini preferiti, quelli più comodi in assoluto, anche per scaramanzia e aspettai. L’asociale ci portò sul luogo dell’esame e aspettai di nuovo. Arrivò l’esaminatore e si aprirono le danze; i primi cinque aspiranti guidatori furono bocciati dopo pochi metri di prova. Arrivò il mio turno. L’asociale dietro, io alla guida e l’esaminatore accanto, il quale non parlava ma abbaiava ordini. I suoi abbai erano così convincenti che, ad un certo punto, stavo per rispondere: “Signorsì Signore, Sissignore!”; non volevo soprattutto agitarmi, andare in ansia. Cercavo di ascoltarlo ma senza sentirlo: non smetteva mai di strillare. “Tutto al più mi boccia, tutto al più mi boccia, tutto al più mi boccia, non sarà la fine del mondo, concentrazione, tutto al più mi boccia, tutto al più mi boccia, concentrazione, tutto al più mi boccia. Di più non può fare”, ripetevo questa cantilena mentre lui continuava ad abbaiare i suoi ordini. L’esame non finiva più. “PARCHEGGIARE!”; immaginavo già le auto distrutte dalla mia manovra e tornavo a pensare alla mia cantilena “tutto al più mi boccia, tutto al più mi boccia”. “RIPARTIRE!” Ripartire? Dopo la fatica fatta per parcheggiare in salita? Si poteva anche rimanere lì fino alla fine dei nostri giorni, perché no? Ripartii. “SVOLTARE A DESTRA”, “SVOLTARE A SINISTRA!” Amen. “SI ACCOSTI E SI FERMI” “Tutto al più mi boccia, tutto al più mi boccia, non dimenticare il freno a mano, non dimenticare di togliere la marcia, tutto al più mi boccia, tutto al più mi boccia…” E così per un’altra eternità: ordine, esecuzione, ordine, esecuzione, cantilena.

Di colpo un miracolo: “La prego, si accosti e fermi il motore”, il tutto detto in modo molto garbato. Il mio radar s’innesco e si mise in guardia, nel mio cervello apparse subito la scritta rossa lampeggiante: pericolo! “Come valuterebbe il suo esame di guida e mi dica se, in merito alla sua valutazione, lei merita la patente?”. Mi volevo rimettere alla clemenza della corte e, forse, anche al buon cuore dell’asociale. Sì, a volte credo nei miracoli. “E’ molto difficile valutare se stessi, si rischia di peccare o di modestia o di superbia”, mi sembrava una risposta che significava tutto ma anche niente. L’esaminatore non parlò, l’asociale non disse una parola. Bocciata, pensai. “Lei come si chiama?”: stava compilando qualcosa, “ecco, questa è la sua patente”. Non ci potevo credere, non ci volevo credere.

L’asociale, una volta scesi dall’auto, si avvicinò a me e guardandomi, disse “Perché non guidava così anche le altre volte?”. Perché? Non c’era un perché: mi era andata bene e basta. “Perché riservo sempre il meglio per le grandi occasioni”, una spaventosa bugia, nemmeno l’asociale ci ha creduto. Ho sorriso e sono tornata a casa a piedi, per smaltire la fatica e la gioia.

Poi?

Poi, ho guidato qualche altra volta; potrei persino raccontare di un lungo viaggio in cui ho guidato io. Potrei.

Poi?
Poi, ho deciso che era cosa giusta e buona, per me e per gli altri, se continuavo ad essere una donna in corriera.

Poi?

Poi, ho anche spostato una macchina parcheggiata sulle strisce pedonali, ma è successo per la mia mancanza di riflessi.

Poi?

Poi, ho comprato una bicicletta.  

Era il 29 marzo 2000 ed era, stranamente, un mercoledì. Ho saputo, in seguito dall’asociale, che si era persa memoria di un esame di guida lungo quanto il mio. Tutte le fortune a me, ma era un mercoledì.





 
 
 
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