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Post N° 458

Post n°458 pubblicato il 21 Ottobre 2008 da quotidiana_mente
 





La mia collega convive con un mio ex collega. Ed è un mistero. Perché un ragazzo mite e gentile come lui ha scelto proprio lei per condividere i suoi giorni (e le sue notti)? Per noi, il resto dell’ufficio, rimane più misterioso del terzo segreto di Fatima. Noi che siamo tutte persone in buona fede, siamo sinceramente convinte che lui la ami. Mistero che aumenta il mistero. Si sa al cuore non si comanda, ma ci capita di chiederci in che stato è il suo fegato.

Questo post non vuole parlare della vita privata della mia collega.

Il mio ex collega è un artista, suona, ha un gruppo e da poco ha inciso un cd con un’etichetta d’oltre Manica.

Questo post non vuole fare pubblicità al cd dell’ex collega.

L’ex collega mi ha chiesto, garbatamente come è nelle sue abitudini, di tradurgli un testo di presentazione al cd dall’italiano al francese. Poche righe e le solite cose che, credo, si scrivono in queste occasioni. Ho risposto di sì, perché lui non mi è mai stato antipatico, anzi. Mi ha detto, per telefono, che il testo me lo avrebbe fornito la mia collega. Che è la sua convivente. Ho aspettato due giorni e niente. Ho pensato che, forse, lui avesse trovato una traduttrice migliore oppure che la mia collega non volesse che io fossi coinvolta in questa “operazione”. Invece no, al terzo giorno è arrivato il testo: poche righe e tanto bla bla bla per dire quanto il cd sia originale. Mai che qualcuno avesse il coraggio di dire che si è ispirato a questo o quell’altro musicista o che ha fatto un plagio bello e buono. Figurarsi. Ovviamente, suoni caldi, suadenti, avvolgenti, etnici ed ancora più ovviamente suoni originali. Anzi no, niente suoni che ormai non è più di tendenza e dunque si scrive (e si dice) sound che è da “introdotti”.

Mi sono chiesta se dovevo scrivere sound oppure suoni il tutto tradotto in francese. Si sa i francesi sono piuttosto conservatori in materia di lingua e, spesso, sono d’accordo con loro.

Di fronte a qualche dubbio, capita, ho provato con un traduttore on line e ho scoperto la loro “affidabilità”. Ho scoperto, soprattutto, che sono una fonte infinita di ilarità, persino migliori delle migliori barzellette. E’ stata una vera scoperta, e così mi sono divertita ad inserire parole e a chiedere la traduzione dall’italiano al francese oppure all’inglese o peggio ancora al portoghese. Meglio non pensarci, rido ancora.

Quello che non mi piace delle traduzioni dall’italiano al francese è la tastiera: mancano parecchi (tanti) accenti che, invece, in francese abbondano. In portoghese, poi, gli accenti sono ancora più vari. Ed è faticoso. E’ faticoso persino il digitare un pensiero (anche senza accenti) in lingua straniera su una tastiera che non è abituata a tale esercizio. E’ come se le dita fossero allenati solo ed esclusivamente ai soliti gesti. Non guardo la tastiera quando digito, però, mi ritrovo a guardarla come una ebete quando devo digitare in francese; come se il cervello non riuscisse più a ricordare la posizione di ogni tasto. Ho notato questa singolarità, quando ho iniziato a scambiare messaggi con “il Piccolo” via msn: ‘na fatica!

Poi, ci sono gli “automatismi”, perché ormai il cervello è abituato a ragionare in italiano e l’errore è sempre in agguato. Ovvio che con “il Piccolo” non è un problema, fa finta di niente e ci capiamo lo stesso, se mi capita di rileggere, provo un’enorme vergogna, perché mi scoccia da morire sbagliare. Mi scoccerà sempre. Sicuro.

Inizio a digitare lentamente, molto lentamente, perché inizio la caccia al tasto, dopo due frasi decido che degli accenti ne posso fare anche a meno e vado un po’ più spedita.

Tutto questo, ovviamente, non avviene nel parlare. Nel parlare è semplice: basta sentire un paio di parole in francese e il cervello sa che deve inserirsi in modalità “Francia”, se le parole sono pronunciate in portoghese, il cervello automaticamente si inserisce in modalità “Portogallo” e via. Con l’inglese no, ha bisogno di molto tempo per capire che deve cercare la modalità più vicina alla lingua che sente. A volte, penso che l’aver studiato in Francia sia stato un enorme ostacolo, come se il parlare l’inglese fosse un insulto alla memoria di Giovanna d’Arco. Mi ci vuole più tempo per inserire il vocabolario nel cervello e obbligarlo a ragionare, che poi, lui non ragiona ma si limita a tradurre (o dal francese o dall’italiano) all’inglese ma non è mai un automatismo, ci vuole molto più tempo.

L’aeroporto è per me un luogo destabilizzante, perché in quella Torre di Babele il mio cervello vaga da “modalità” a “modalità” e chiede in modo insistente la chiusura totale delle orecchie, soprattutto se non c’è un interagire. Questo avviene quando il tempo d’attesa è lungamente superiore alla ragionevolezza. Il che, con me, avviene piuttosto spesso. Vago per l’aeroporto come un’anima in pena con un cervello completamente fuori uso… sarà per questo che riesco a fare gli acquisti più disparati in quel luogo? Boh.

Volevo solo scrivere dell’ex collega. Pazienza.




 
 
 
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