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Vita di ufficio... ma quella è un'altra storia...

 

 

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Post N° 461

Post n°461 pubblicato il 03 Novembre 2008 da quotidiana_mente
 






Era una mia collega di lavoro. Ero l’ultima arrivata, ero la più giovane ed ero anche la più bassa. Come ultima arrivata ero, assieme agli altri, in una specie di gabbiotto con la cartina geografica dell’Europa a mo’ di finestra e sulla (pseudo) scrivania un telefono che strillava in continuazione. Era il mio primo “vero” lavoro. Ero stata assunta in un batter d’occhio, e mi avevano assicurato che il contratto sarebbe andato oltre i tre mesi estivi, perché avevo l’aria sveglia. Se lo diceva lui, il direttore del personale, potevo anche fare finta di crederci.

Nel gabbiotto ci sono rimasta poco, mi era stato consentito di sedermi intorno ad una serie infinite di scrivanie che erano, come per magia, un quadrato, sembrava il quadrato di una Legione Romana in assetto di difesa. Non ricordo perché tanto privilegio mi fu accordato quasi subito.

Lei era alla mia destra, quasi a capo del quadrato. Scambiavamo le solite parole di rito: “buongiorno, buona sera ed ecco a te la pratica che devi concludere”. Ovviamente, la pratica da finire toccava sempre a me. Il lavoro non mi dispiaceva.

Un giorno, passando in un corridoio fatto di gabbiotti; non esistevano corridoi veri, perché l’ufficio, a sua volta, era un immenso quadrato, mi era sembrato sentire la sua voce, parlava con un’altra collega e parlava di me. Ero la più giovane, la più bassa ma il sentirla parlare di me non mi piaceva per niente. Aspettai che lei tornasse alla sua scrivania, mi avvicinai e sotto voce, perché sono sempre stata discreta, ho detto che se avesse qualcosa da dirmi, lo poteva dire direttamente a me e non ad altri dietro le mie spalle. Lei non rispose nulla, rimasse un po’ a pensare e dopo un altro po’ disse: “però, sei coraggiosa per una appena arrivata in ufficio”. Non risposi niente che non mi sembrava il caso. Tornai a svolgere i miei compiti e i nostri scambi si fecero ancora più rari: ” ‘giorno, ‘sera”. Tanto bastava.

Qualche mese dopo, lei mi offrì il suo aiuto incondizionato senza che io l’abbia mai chiesto (e non l’avrei chiesto) e di questo ancora oggi mi stupisco.

Ogni tanto, dopo il lavoro, andavamo a cena assieme. Ricorderò sempre la prima cena: si festeggiava l’arrivo del Beaujolais, io non bevevo ma mi sembrava un ottimo motivo per festeggiare. Al ristorante, notai che il mio bicchiere era quasi sempre vuoto mentre il suo no, non riuscivo a capire come mai fossi ancora così lucida, nonostante tutto il vino bevuto. Alla fine del pasto, la bottiglia era quasi vuota ed io mi sentivo molto bene, forse anche troppo bene per una che aveva bevuto così tanto per la prima volta. All’uscita del ristorante, lei disse: “spero di non aver bevuto anche per te. Sono ambidestra e ho la tendenza a bere da entrambi in bicchieri presenti a tavola. Sono nata mancina, ma a scuola mi hanno sempre obbligata a scrivere con la destra”. Ero ammirata per questa sua capacità appena scoperta, solo dopo, molto dopo, ho capito che aveva bevuto lei, ed io no.

Mi ha fatto conoscere autori di cui non sapevo nemmeno l’esistenza: Joseph Roth, Stefan Zweig ed io volevo andare a Vienna. Ad ogni costo. Invece, arrivai a Roma.

Di Vienna, con Martine, se ne continuava a parlare, si continuava a fantasticare il viaggio in quella città per cercare di fare combaciare i luoghi della memoria con i luoghi reali. A Vienna, nessuna delle due, è mai andata.

Col tempo finii per dimenticare Vienna, presa da altre mete e anche da nessun luogo. Continuavo a leggere autori “Mitteleuropei” ma Vienna svaniva sempre di più come un sogno sognato troppo a lungo e di cui si dimenticano persino i contorni.

E quando ho conosciuto A., tedesca residente a Vienna, non ho mai realmente pensato di visitare la città, ormai era diventata come un sogno già vissuto. Poi… poi, un’offerta scoperta del tutto casualmente mentre ne cercavo un’altra mi ha fatto tornare in mente il desiderio vecchio di venti anni, e ho deciso: Vienna sia!

In ufficio, il Gran Capo mi ha ricordato della gara che ancora non è stata assegnata, che ancora vive di una procedura fatta di lentezza ed io ho risposto che se una volta si può accorciare, per motivi di lavoro,  una settimana di ferie ad un week-end, non sempre tutto deve andare come vuole lui, o chi per lui. Sono anche certa che la mia partenza per Vienna sbloccherà la procedura di gara, così, appena avrò un piede in treno, la gara verrà aggiudicata: vinca il migliore!

Cinque giorni mi separano da Vienna, non escludo un’invasione di cavallette.




 

 
 
 
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