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Vita di ufficio... ma quella è un'altra storia...

 

 

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Post n°497 pubblicato il 23 Marzo 2009 da quotidiana_mente
 







Questa non è una recensione.

Questo post non è niente, niente di più o di meno degli altri. Solo una riflessione.

Ho finito di leggere “Il deserto dei Tartari”. Erano anni che quel libro era su una mensola in attesa di essere letto. Come tanti altri.

Dopo aver chiuso “Aspettando i barbari” di J. M. Coetzee, sono andata a leggere delle recensioni in rete. Qualcuno lo paragonava a “Aspettando Godot” e qualche similitudine c’era per via dell’attesa. Perché “Aspettando i barbari” è un libro fatto di attese. In un’altra recensione, ho invece letto che Coetzee si sarebbe ispirato a “Il deserto dei Tartari” e mi sono incuriosita.

Ho preso la scala, sono salita sull’ultimo gradino, e dalla mensola ho preso il libro, il quale era abbastanza impolverato ma non più di tanto. Forse la polvere ha avuto rispetto di un capolavoro.

Sì, ci sono similitudini tra il libro di Coetzee e quello di Buzzati.

Ma non voglio fare una recensione, non voglio scrivere di letteratura.

Arrivata alla mia veneranda età mi sento molto vicina a Giovanni Drogo, il quale aspettava la “sua” occasione, rimandando l’azione di anno in anno, perché ancora giovane e con tutta la vita davanti. Quando, finalmente, l’occasione arriva…  mi fermo qui.

Anch’io mi sento giovane, anch’io penso di avere ancora tutta la vita davanti per dare inizio ad una grande impresa. La mia fortezza non si chiama Bastiani ma semplicemente “vita”. Sì, sono qui arroccata nella mia fortezza scrutando, talvolta svogliatamente, quanto avviene intorno a me, talvolta partecipe, ma sempre in attesa della grande occasione. Non rimando l’azione, quello no, ma forse non sollecito l’occasione. Intanto gli anni passano.

Mi guardo indietro e mi accorgo che non c’è niente che io abbia fatto che meriti di passare alla storia. Non intendo la Storia ma quelli semplici giorni dopo giorni che fanno la nostra storia, la particolare storia di ognuno di noi. No, non ho fatto nulla che meriti una semplice frase su un quaderno o un diario che non sia mio, e anche se mio, non c’è niente che sia degno di nota. Le persone che si ricordano di me sono solo famigliari, e qualche amico. Forse. E quando lascerò questa valle di lacrime non saranno di più, ma sicuramente di meno ad avere ancora un pensiero per me. Sarà giusto così. Non avrò nemmeno un figlio al quale avrò dedicato gran parte della mia vita per renderlo un essere umano. No, nemmeno quello. Sicuramente, un figlio riempie l’esistenza e forse la giustifica. Questa mia considerazione non è un rimpianto.

Il semplice fatto di vivere (e talvolta di sopravvivere) non mi rende un’eroina agli occhi di nessuno e di sicuro non ai miei. Sono una persona tra miliardi di persone e nemmeno la più sfortunata. Seguo il fiume che è la vita e, forse, mi accontento. Non è un grande pensiero nemmeno questo, ma tant’è.

Dall’alto della mia fortezza scruto l’orizzonte e non vedo niente di particolare. Cercherò di mantenermi viva sperando di non svegliarmi un giorno con un sapore amaro fatto di rimpianti. Per ora non ne ho. Avrei potuto fare di più, mi sono accontenta dell’approssimativo. Avrei potuto, forse, anche fare di meno. No, a pensarci bene era impossibile. Sarà la mia stessa fortezza a fregarmi: un giorno mi sveglierò e sarò perfettamente cosciente che non avrò più tempo a disposizione per una grande impresa. Per ora continuo a pensare che di tempo ne ho e tanto, così tanto da concedermi persino il lusso di sprecarlo. “Chi ha tempo non aspetti tempo”, si diceva (e si dirà), ma per fare cosa? ho sempre chiesto e mi sono chiesta. Per sconvolgere la mia vita fatte di piccoli gesti? Per mettere a segno l’impresa del secolo? Non ho piani così grandi, la mia unica aspirazione è sempre stata quella di fare la rapina del secolo, ma ho capito, molto presto, che non avrei mai trovato il “piano” perfetto e ho lasciato perdere. Tanto per…

Quale potrebbe essere la “mia” impresa, quella che dovrebbe sopravvivermi? Non ho mai trovato la risposta, ma forse è la domanda che è male posta: e se non ci fosse un’impresa a me dedicata? Se il mio compito si limitasse a vivere il più possibilmente da essere umano? Un essere umano il più umano possibile? No, nemmeno a questa domanda ho una risposta.

Mi guardo indietro e non vedo niente degno di nota, guarda avanti… e mi fermo al presente. Per il futuro ho ancora molto tempo.  







 
 
 
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