Day 1

Post n°1 pubblicato il 08 Ottobre 2008 da vrpress
Foto di vrpress

Avevo quasi dimenticato la mia passione per l’Irlanda, tormentone col quale avevo ammorbato interi pomeriggi ai miei sventurati compagni di università anni or sono.

Forse l’avevo idealizzata a tal punto da averla riposta in quella parte di cuore dove si nascondono miti e leggende. Inconsciamente non volevo smitizzarla e quindi l’avevo quasi scartata favorendole ipotesi vacanziere quali la Scozia (prossima meta) o la Francia.

Poi tutto d’un tratto i romanzi, le canzoni, i miti, le leggende celtiche, le storie politiche di un paese che come nessun altro mi ha affascinato per tanti anni, sono riemersi all’improvviso. E prima ancora che mi rendessi conto, mi sono ritrovato a Dublino nel bel mezzo di O’Connel Street, con un baule da 18 kg al seguito e l’entusiasmo di un bambino nel paese dei balocchi stampato in viso.

Al mio fianco, quella che presto si rivelerà la più formidabile compagna di viaggio che potessi trovare.

Percorriamo lo stradone colmo di ristoranti, teatri, alberghi, e ci fermiamo almeno un attimo ad osservare lo “spire”, uno spillone di 120 metri d’altezza che doveva festeggiare il millennio ma che fu consegnato soltanto nel 2003. A dirla tutta più che un lontano richiamo fallico questo spire non trasmette grandi sensazioni, ma gli irlandesi, impareremo presto, sono di bocca buona e sono molto orgogliosi, quindi qualsiasi cosa venga prodotta dal loro stato libero, diventa attrazione e nella maggior parte dei casi, fonte di guadagno turistica.

Il nostro albergo si trova davvero a due passi dal centro. Grafton street, una delle vie più suggestive di Dublino, è a 4 minuti di camminata, al termine di un viale sul quale si trova un meraviglioso parco, St. Stephen Green. La nostra prima visita è al St. Stephen Green shopping center, una mega struttura in stile liberty di travi in acciaio bianco e vetrate, colma di 3 piani di negozi deliziosi per lo shopping.

Di li ci tuffiamo nuovamente in Grafton street, dove solo un’ora prima ci aveva accolto un gruppo di violinisti davvero in gamba. Ora è il turno di un chitarrista elettrico che gioca con gli effetti loop, davvero bravo. Il primo impatto con Dublino quasi ci stordisce. E’ un concentrato di colori, musica ed odori. Per strada non vedo volti diversi, stranieri, mi sembra di essere a casa. La gente è serena e sorridente, come nei negozi. Ne visitiamo almeno 4 che vendono cappelli e sciarpe. Sono tutti molto cortesi e ci ringraziano della visita anche quando non compriamo nulla.

E’ già pomeriggio ed alle 18 chiude tutto, musei, attrazioni, negozi. Riusciamo ad entrare al Trinity college ad orario di chiusura, pagando il biglietto dimezzato. Visitiamo le sale dove sono custoditi antichi libri come il book of kells, e mi rendo conto che la maggior parte della produzione raccolta è di origine italiana. La scritta sulla sala recita: “Volgendo l’oscurità in luce” … mi sento a casa. Il libro di kells contiene una copia dei quattro vangeli riccamente decorata in oro. Fanno bella mostra di sé l’antica arpa celtica risalente nientemeno che ai tempi di Brian Boru e l’originale  dichiarazione di indipendenza dal regno unito, del 1916.

Poi la libreria, una lunga sala di legno con statue antiche e volumi che raccolgono ogni sapere. All’esterno, una delle palle che Joe Pomodoro ha sparso in giro per il mondo. La mia dolce metà trova l’antica università irlandese un po’ spettrale. In effetti ricorda ambientazioni stile Harry Potter ed il cielo nuvoloso quasi al tramonto non rende di certo più soave l’atmosfera. Io ho già visitato college inglesi, e trovo tutto assolutamente naturale, come il silenzio che si crea nella parte dei campi sportivi, dove in barba alla temperatura, per noi fresca, ci sono ragazzi in pantaloncini che corrono e si allenano.

Decidiamo di proseguire su College Street, tanto siamo euforici che non sentiamo la stanchezza del viaggio e nemmeno della camminata. Superiamo la sede della banca centrale su Dame street e decidiamo di fare un salto nel famoso quartiere di Temple Bar.

La cosa che più meraviglia di Dublino è che il centro è davvero piccolo e si visita con una facilità incredibile. Sulla mappa che troviamo al centro turistico (una chiesa gotica trasformata meravigliosamente in trappolona per vendere qualsiasi cosa…) gli enormi stradoni disegnati, sono in realtà strade che definiremmo si e no vicoli nelle nostre città italiane. Infatti, prima ancora di renderci conto, ci troviamo nel centro di Temple bar, dove c’è una piazzetta che diventa palco per i migliori artisti di strada, provenienti da tutte le nazioni. Temple bar più che un quartiere è uno stile di vita. Ci travolge con il suo turbinio di colori e musica. Ogni 15 metri, camminando, si ascoltano generi musicali diversi, tutti suonati davvero in modo egregio. Perfino la farmacia dà sul lilla. Ogni negozio ha la facciata in legno colorato. Una specie di grotta dalla quale perviene la luce del tramonto ci spinge verso nord e scopriamo un altro scorcio meraviglioso di Dublino, siamo su Aston Quay, davanti a noi scorre serafico il Liffey, a destra e sinistra il cuore pulsante, politico, storico, medioevale, religioso, bevereccio e musicale. Si vede insomma tutta Dublino. Facciamo quindi un bel po’ di foto dal Millenium e dal ha’ penny bridge. Il sole ha aperto uno squarcio sulle nuvole basse ed ora Dublino ci si mostra in uno dei suoi più riusciti ritratti.

Non stanchi di quanto visto, (avevo calcolato che per fare un giro del genere ci sarebbero voluti due giorni e non sei ore…) ci infiliamo in uno degli storici pub di temple bar, The Oliver St. John Gogarty, il nostro primo vero irish pub!

Alcune ragazze inglesi ci stanno provando col barista, un tiretto biondo platino molto sicuro di sé, mi ricorda Edie Irivine. C’è gente di tutte le età, di tutte le nazioni e religioni. Sono tutti sorridenti e gentili. Troviamo posto e sorseggiamo la nostra prima meritata pinta, mentre, manco a dirlo, in fondo al locale c’è un duo, lui chitarra, lei bodhram, che suonano canzoni tipiche. Ho quasi voglia di piangere. Quella terra mitica, con la sua musica e le canzoni dei rivoluzionari cantata nei pub, la gente sorridente e disponibile, esiste davvero. Non è solo un mito della mia giovinezza, ma è qui, forse è sempre stata qui e finalmente mi appartiene davvero. A Dublino la gente ama divertirsi. Dopo le 18 sono tutti ubriachi nei pub, cantano, ballano e si divertono. Visitiamo altri pub. L’atmosfera è molto free. Il servizio rapido. Una volta occupato un posto, sei cliente sacro anche se bevi mezza pinta per tutta la serata. Troviamo un altro pub, saliamo al primo piano dove si può anche mangiare (non tutti i pub offrono anche ristorazione) ed al tavolo affianco al nostro troviamo una coppia di italiani, due giovani di Pesaro che hanno lavorato sei mesi a Dublino e sono tornati in vacanza. Si unisce una coppia di dublinesi (nessun problema a dividere tavoli e sedie con altra gente in Irlanda…) venuti a sentire buona musica dal vivo. La chiacchiera è piacevole. Tutti cantano e sono sorridenti. Irlandesi ed Americani (specie quelli dell’ovest… che sono fondamentalmente vaccari e casciaroni) sembrano legare alla perfezione ed a noi non resta che godere di questo momento gioioso cantando e battendo le mani, ovviamente bevendo birra, rigorosamente irish. Ritornati in albergo, nonostante la stanchezza non riesco a prendere sonno, sono troppo frastornato da tutte le cose che ho visto. Sembra tutto così perfetto e meraviglioso.

 
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Day 2

Post n°2 pubblicato il 08 Ottobre 2008 da vrpress
Foto di vrpress

Siamo pronti per un nuovo giorno nella “nostra” Dublino. Alessandra è un soldato. Perfetta, meravigliosa. Avete presente tutto quello che fa una donna in viaggio? Del tipo: fermate di 4 ore in un negozio per non comprare nulla, soste in bagno ogni 20 minuti, 50 minuti di trucco la mattina, e rotture varie?!??!

Tutto ciò, ho scoperto, non le appartiene e nonostante avesse tutti i diritti fisiologici di chiedermi qualche pausa, ha trottato con me in giro per mezza Irlanda senza mai un lamento, assecondando ogni mio movimento, ogni mia proposta, fosse anche la più idiota, mossa da un unico motore, Amore. La nostra prima mattina dublinese è di sole, siamo felici, carichi, nonostante io abbia dormito solo 3 ore. Decido di fare la mia prima full irish breakfast ed ovviamente opto per il miglior bar di Grafton street e forse di Dublino. Quattro piani di legno e divani imbottiti in stile old Ireland, con tanto di teatro al terzo piano. Brewely’s. Che meraviglia. La cameriera mi consegna la mia colazione: succo d’arancia, uova, pancetta, salsiccia, pomodoro, un grosso fungo, pane tostato e due sformatini che dice essere di pudding. Quello chiaro lo mangio interamente, quello scuro solo metà. Solo dopo, chiedo informazioni e vengo a sapere che si tratta di interiora di agnello, il pudding, mischiato con altre robacce, nel caso del nero, con sangue animale. La colazione specie se fatta intorno alle nove, ti basta anche come pranzo, il che ti permette di continuare a girare fino alla chiusura delle 18, per poi andarti a riposare in un pub. E’ quello che faremo in questo nostro secondo giorno.

Ripercorriamo la strada del giorno precedente, questa volta gustandoci qualche particolare in più, come la statua in ferro di Molly Malone, la venditrice di pesce resa immortale da leggende e canzoni irlandesi. Attraverso dame street arriviamo alla Christ church cathedral, insieme a san Patrizio, una delle due più grandi cattedrali gotiche della città. Non è cattolica ma visitabile ed all’interno troviamo il sarcofago di Strong Bow, il leader normanno che circa 1000 anni prima era sceso in Irlanda fondendo parte del suo carattere con quello locale, celtico. Siamo nel cuore medioevale della città, a due passi, l’antico castello.

Proseguiamo sempre diritto, superiamo cornmarket e poi thomas street per arrivare in circa mezz’ora di cammino (povera la mia cucciola) alle prigioni di Kilmainham. (Kilmainhan gaol). Ormai abbiamo capito che gli irlandesi non sono affatto fessi ed oltre alle antiche risorse locali, pastorizia, allevamento, agricoltura e pesca, da circa 30 anni la loro economia si fonda soprattutto sulla fortunata installazione di importanti compagnie internazionali che hanno puntato sulla dinamica e giovane Dublino e sopratutto sul TURISMO. Quindi non ci si deve sorprendere se ogni qualvolta si accorgono di avere una risorsa da sfruttare, (in questo sono davvero anglosassoni) non perdono tempo a metter su botteghino e guida turistica. Così è! e sulla storia sanguinosa che ad inizio secolo ha visto irlandesi contrapporsi ad irlandesi, fratelli contro fratelli massacrarsi spesso per questioni di lana caprina, oggi si regge parte dell’economia nazionale. La prigione cittadina dove fu rinchiusa la maggior parte degli eroi della rivolta di pasqua del 1916 (ed alcuni di essi fucilati vedasi in caso si desideri approfondire, i film “micheal collins” e il più recente “il vento che accarezza l’erba”) è oggi un museo nel quale sono state anche girate scene famose di alcuni film sull’Irlanda. La nostra guida, Marcus, uno spilungone biondo con problemi di digestione, ci porta in giro per la galera, facendoci visitare le celle e parlandoci delle sventurate storie di alcuni degli eroi che hanno permesso a lui di essere un cittadino libero di una repubblica e non un suddito della regina d’inghilterra. Marcus, bisogna ammetterlo, sembra saperlo benissimo, quasi si commuove nel raccontare la storia straziante di uno degli irish volounters che si sposò in prigione ed il giorno dopo venne fucilato. Ci chiede il massimo silenzio quando nell’area esterna, ci soffermiamo davanti alla bandiera irlandese, proprio davanti al muro dove tanti patrioti, sono stati fucilati. Visitiamo anche la cella di Eamon De Valera, una specie di sindacalista, abile affabulatore, non irlandese di origine, ma che da ribelle divenne presidente della repubblica irlandese fino al 1975, anno in cui è morto. Nelle librerie dublinesi si trovano molti libri interessanti sulla storia di De Valera, un personaggio controverso che comandò il governo provvisorio riconosciuto dagli inglesi nel corso della prima guerra mondiale. A rendere tutto questo possibile, secondo molti storici, un altro grande personaggio, Michael Collins, che si occupò di spionaggio ed attentati terroristici contro gli inglesi in Irlanda letteralmente mettendo in ginocchio il governo britannico ed aprendo le porte all’inizio dell’indipendenza. Anche in quel frangente, bisogna ammetterlo, gli irlandesi furono furbi. Erano settecento anni che cercavano di liberarsi dal gioco britannico e non ci riuscivano. Approfittarono della prima guerra mondiale ed ebbero ragione. Mentre Marcus parla ed io cerco di tradurre quello che posso nell’orecchio di Alessandra, penso che questo popolo ha una storia tutto sommato recente, eppure epica ed affascinante, che strabocca di patriottismo ed orgoglio, qualcosa di molto lontano dal modo bacchettone ed ipocrita tutto italiano di affrontare la storia. Siamo alla cosiddetta terza repubblica e non abbiamo ancora sviluppato un vero spirito nazionale.

Ma torniamo in Irlanda. Siamo nella prigione di kilmainham, Marcus, la nostra guida, ci racconta del freddo e dei disagi dei prigionieri, molti dei quali morivano per la fame ed il freddo. Al termine del tour, dopo aver visto anche un video nella antica cappella della prigione, posso dire di aver toccato con mano tanti racconti patriottici che ho letto nei libri di storia irlandese. Sono davvero emozionato. Per tornare in centro prendiamo un bus. Si paga al conducente, che non da resto. Il ritmo della nostra marcia è perfetto, la giornata calda. Una capatina alla cattedrale di santa caterina, soffitto gotico che si perde altissimo, e ci dirigiamo verso il castello di Dublino, per secoli sede dell’impero britannico ed ora sede internazionale di rappresentanza ed ovviamente…. Museo per turisti. Ci soffermiamo a commentare ognuno a suo modo, la scollatura della ragazza che ci accoglie all’ingresso del castello (tanto in italiano non ci capisce nessuno). La sua posizione china sul registro presenze mette in mostra più del dovuto. Ammetto, l’occhio cade, Alessandra se ne accorge e commentiamo insieme lo spettacolino. Dopo aver affibbiato epiteti irripetibili alla malcapitata, scopriamo che è la guida che in italiano ci farà visitare il castello. Una figura “e’ nient” internazionale. Il castello di Dublino non è niente di che. I giardini sono curatissimi ma gli interni sono davvero poca cosa per chi ha visitato almeno una volta nella vita la reggia di Caserta. E’ stato rimaneggiato più volte nei secoli e della parte medievale resta solo un torrione ed alcune mura sotto il livello stradale, dove la nostra guida, cui non abbiamo più la faccia di rivolgerci, ci conduce mostrandoci i resti di un antico fiume, il secondo di Dublino, una volta rigoglioso, oggi ridotto ad un rivolo sotterraneo. Interessanti i para-calore (poolscreen) che le donne del ‘700-‘800 usavano per proteggersi dal calore dei camini che rischiava di sciogliere le vere e proprie maschere di cera che usavano per truccarsi in modo da risultare bianchissime, come bambole di porcellana. Proprio accanto all’uscita c’è un piccolo museo, una libreria antica donata da un filantropo, Chester Beatty. Il biglietto è compreso nella dublin card che ho comprato tramite internet dall’Italia ed allora lo visitiamo. I libri sono catalogati in base alla religione, sembra che Beatty le abbia coltivate tutte con curiosità senza abbracciarne alcuna, un raro esempio di intelligenza e tolleranza. Ci sono testi antichissimi, vangeli con 1800 anni di storia ben custoditi. La visita merita. San Patrizio è chiusa per lavori ed allora ci buttiamo sulla strada numero uno per shopping e grandi magazzini: Henry street. Anche qui musica, volti e facce dai 5 continenti e grandi magazzini con ingressi vittoriani elegantissimi. C’è da perdersi. Io ed Alessandra riusciamo perfino a trovare il bar Costa, italianissimo, che ci prepara un caffè quasi bevibile. In tutto il resto d’Irlanda, il caffè è un beverone da mezzo litro di acqua sporca. Visitiamo Arnotts, Ilac ed altri grandi magazzini. Si spende bene, prendo un paio di scarpe a 30 euro. Ovunque, dolci, caramelle, muffin ed ogni ben di dio ipercalorico. In fondo alla strada, l’incrocio con O’Connell Street, lo spire, pirellone, pisellone, ognuno lo chiama come vuole, e di fianco il famoso ufficio postale, inquadrato in ogni film sull’irlanda che si rispetti. Attraversando il semaforo, immancabile la foto con la statua del grande James Joyce, un’icona mondiale. Ovunque, per le strade del centro di Dublino, è facile rinvenire tombini d’ottone che segnano il percorso effettuato dal protagonista dell’Ulisse nell’omonimo romanzo. Ogni anno viene organizzata una giornata a Dublino, Ulysse’s day, e frotte di turisti, curiosi ed amanti della letteratura, ripercorrono insieme lo strampalato percorso per le vie cittadine. La sera, poi, siamo di nuovo a Temple bar, all’Auld Dubliners, un pub che è un intero edificio che da sul pistacchio. L’interno è meraviglioso. Ovviamente, musica dal vivo ad altissimo livello. Mi diverto molto a far vedere ad Alessandra che conosco molte delle tipiche canzoni irlandesi e le racconto qualche testo bevendo con lei la nostra immancabile pinta. In alcuni pub, il prezzo della birra aumenta a seconda dell’orario. E’ giovedì sera e scopriamo che è peggio del nostro sabato. Ovunque, squadracce di ragazzine sui vent’anni completamente ubriache ed in minigonna cercano solo una cosa…. Divertimento. A Temple bar è quasi difficile camminare. E’ pieno di gente che barcolla, canta, ride si diverte. Per strada, nonostante la temperatura tutt’altro che estiva, musicisti gioiosi danno il meglio di sé, mentre uomini-pupazzo a forma di folletto irlandese distribuiscono inviti nei locali di divertimento. Ascoltiamo ancora un po’ di musica qua e là, compriamo anche un cd di un gruppo dei balcani che suona davvero bene strumenti particolarmente strani. La stanchezza ci prende intorno a mezza notte. Torniamo verso il nostro albergo che si trova in una strada costellata di discoteche mentre recito un tormentone: non faccio che dire ad Alessandra che alla luce della thursday night appena vista, occorre tornare da solo a Dublino per approfondire alcune tematiche psicodinamiche insieme al mio maestro in materia, Fabrizio. E mentre lo ripeto per la quarta volta e lei si stringe a me in una camminata romantica, ci imbattiamo in due ragazze che sollevano da terra una terza, completamente nuda ed ubriaca. Si questo è proprio il posto dove andare se sei single.

 
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Day 3

Post n°3 pubblicato il 08 Ottobre 2008 da vrpress
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Per la nostra terza mattina dublinese abbiamo organizzato la visita all’attrazione numero uno d’Irlanda, la Guinness Storehouse. Colazione tipical irish, con panino burro e salmone alle nove del mattino… e bus fino ai cancelli di St. James Gate, dove Arthur Guinness, come si dice, in tempi non sospetti, prese in fitto per 50 sterline da un’anziana un appezzamento di terreno di oltre 20 ettari per costruire quella che sarebbe diventata una delle principali risorse economiche del paese, la fabbrica della birra Guinness. Sapete che durata aveva il contratto da 50 sterline? Solo 7000 anni. Mica scemo Guinness!!! Sul lettore mp3 che ho regalato alla mia dolce metà alla vigilia della partenza, abbiamo scaricato un file che ascoltiamo prima di arrivare e che in sostanza ci racconta che buona parte della storia moderna dell’Irlanda ha visto la famiglia Guinness attrice principale della vita politica ed economica del paese. Sono sempre più convinto che gli irlandesi siano dei semplicioni e contadini, ma con un cuore grande ed anche grande intelligenza, capaci di far fruttare al mille per cento le loro risorse, di cui risultano incredibilmente orgogliosi. Se solo noi meridionali fossimo in gamba la metà nel promuovere le nostre risorse… saremmo tutti miliardari.

Sulla superficie di sette piani, si viaggia nella storia della birra più importante d’Irlanda. A dire il vero hanno dovuto davvero metterci di tutto, usare molto la fantasia e comprendere una pinta (autospillata) nel biglietto di 15 euro per rendere appetibile la visita che va effettuata con una certa credulità. L’intento della storehouse è di far capire il concetto di birra Guinness, far vivere al visitatore una experience all’interno del laboratorio di questo mastro birraio, come ce n’erano a centinaia a Dublino il secolo scorso, che aveva in più una visione industriale incredibilmente avanti con gli anni. Un vero genio. Si viaggia per prima cosa fra i 4 ingredienti della Guinness, luppolo, acqua, orzo e lievito (il quinto è la spillatura, autentico segreto del “maestro” Arthur). Poi si passa dalle botti antiche in cui la birra veniva stipata prima dell’avvento della spillatura. Poi un lungo viaggio fra la pubblicità, il marketing, le bottiglie e tutto il merchandise della Guinness attende il visitatore, ci sono perfino i mezzi di trasporto interni ed esterni alla fabbrica, compresi i modellini delle navi con cui la Guinness arrivava perfino in america, salutata dagli irlandesi come il riscatto di una vita da emigrati e lustra scarpe. Al sesto piano il segreto del quinto ingrediente viene svelato in realtà in poco tempo. Quattro-cinque passaggi, illustrati da un mastro birraio ed una fila di pochi minuti, permettono ad ogni comune mortale di essere in grado di spillare egregiamente una  pinta e poi gustarsela dopo che la magnifica fidanzata ci ha fatto video e foto per immortalare il momento. A suggellare il tutto, l’attestato firmato dal mastro birraio. Tutto il resto… puoi comprarlo con mastercard!!!

All’ultimo piano, il Gravity bar, 360 gradi di vista sull’intera città di Dublino ed oltre, si vedono perfino le Wicklow mountains, dove nascono le sorgenti da cui viene prelevata l’acqua per fare la Guinness.

Facciamo delle foto fantastiche. Ovunque, in ogni sguardo, in ogni momento, in ogni situazione, ritrovo ricordi ancestrali, momenti che credo di aver vissuto già nei miei sogni. Mi ricongiungo con una parte di me che è già stata qui, o ha sognato di esserlo. E’ tutto molto magico, come il tempo che incredibilmente ci concede una giornata di sole dietro l’altra, la gente sempre gentile e cordiale, e le nostre tabelle di marcia, sempre perfette, non perdiamo un bus, un ingresso, un incrocio. Non sbagliamo una strada. Mi sento a casa e questa sensazione la devo molto ad Alessandra, che veglia su di me, un po’ mamma, un po’ figlia, molto amante. E’ favolosa, semplicemente, giusta e perfetta, come il nostro viaggio, finora magico.

In serata torniamo all’Auld Dubliners. Siamo ormai consci che vivere Dublino vuol dire raggiungere il giusto compromesso fra le attrazioni da visitare e la vita libera a passeggio, fare shopping, scoprire angoli e scorci bellissimi della città ma soprattutto, vivere i pub, la musica, la gente, sempre sorridente e disposta ad attaccare bottone. Nessun problema con la lingua, qui tutti sembrano capire tutti, perfino me ed il mio inglese. Mangiamo agnello e pollo con diversi condimenti su un tavolo realizzato da un forziere di metallo scuro, circondati da legno, ovunque, e sedili di velluto. E’ la notte della cultura e Dublino è tirata a lucido, ha voglia di far tardi. Dublinesi di tutte le età sono scesi in strada per visitare cantine, centri di aggregazione, produzione cinematografica, gallerie, mostre di ogni tipo, incontri culturali. La tv nazionale ha un up-link a Temple bar proprio accanto al pub dove ci troviamo, la troupe sta realizzando uno speciale in diretta. Sulle facciate dei palazzi viene proiettata ogni genere di forma artistica e culturale, ogni angolo della città è occupato da musicisti, poeti, artisti di strada. Il museo nazionale resta aperto fino alle nove di sera… incredibile!!! Era mia intenzione visitarlo ma non facciamo a tempo, sarà per un’altra volta. Ci immergiamo nell’atmosfera della sera. Ovunque giovani che fanno casino. Molti gruppi di ragazze, avvenenti, preoccupano alquanto la mia dolce metà che resta sorridente, sicura di sé, un vero spettacolo a tre dimensioni, anzi quattro. Questo viaggio ci ha unito ulteriormente, sento con Alessandra un’intesa mai raggiunta prima, una perfetta simbiosi. Partecipa come protagonista al mio sogno di ragazzo. Siamo in Irlanda, ed è nostra, davvero nostra. Dublino, però va detto, non è l’Irlanda. Almeno non tutta. Dublino è una piccola capitale europea, una piccola Londra, decisamente più accogliente, colorata e musicale. C’è di tutto. I piccoli negozi da pizzicagnolo sono stati completamente monopolizzati da indiani. E’ una città molto moderna, multiculturale e  dove molta parte dell’old irish s’è perso fra i meandri della globalizzazione.

 
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Day 4

Post n°4 pubblicato il 08 Ottobre 2008 da vrpress
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Sabato mattina, ultima colazione a Dublino, nel nostro albergo. Poi un taxi fino all’autonoleggio. La guida a destra è un po’ complessa. Il cambio è come il nostro il che vuol dire che la prima è la marcia più lontana e la quinta è sotto la coscia. Tenere la sinistra, specie agli incroci poi… sulle prime è davvero complicato, per non parlare del rischio frontale nel voltare a destra nelle rotatorie. Usciamo agevolmente dalla città, attraversiamo quello che sembra il loro grande raccordo anulare e sulla N7, direzione Limerick e Cork, diretti verso il selvaggio West d’Irlanda. Sulla strada non possiamo evitare di fermarci ad Adare, un meraviglioso villaggio con le case con i tetti di paglia e tanti negozietti dove comprare souvenirs. Manco a dirlo, anche il nostro sabato irlandese, con la presa di contatto con la guida “al contrario” è accompagnato da un sole splendente. Fa quasi caldo, guido in polo, mentre Ale cambia i canali alla radio studiando a fondo le diverse stazioni locali, facendo foto e video. I colori di Adare sono fantastici. Proseguiamo fino a Killarney, dove ci accoglie nel b&b S. Antony’s Lodge la proprietaria, Mary, una ricca proprietaria di cavalli con tre figlie molto carine, un aspetto austero che contrasta con i suoi modi accoglienti e gentili. La stanza è bellissima. A due passi dal centro, un incrocio di un paio di strade costellate di negozi, pub e locali. Anche Killarney ha vocazione turistica, si trova nel cuore di un parco nazionale con delle bellezze naturali che tolgono il fiato ed è piena di turisti. Giriamo per i negozi e fortunatamente troviamo anche uno stock house dei maglioni originali fatti a mano nelle isole Aran, 200 km a nord rispetto a noi. Anche qui, superata una certa ora non si può far altro che andare al pub. Ed anche qui, squadroni di ragazzine ubriache si fanno portare da un posto all’altro dai taxi. La cosa bella è che nonostante il clima a dir poco festoso e l’ubriachezza diffusa, nessuno ti importuna.

 
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Day 5

Post n°5 pubblicato il 08 Ottobre 2008 da vrpress
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La mattina Mary ci serve la colazione nella sua veranda in stile vittoriano, legno ovunque, porcellane eleganti di waterford ed ogni ben di dio in tavola. Proprio da Killarney parte una strada, la N70, meglio nota come il “ring of kerry”: un anello di circa 170 km che percorre lungo la costa tutta la penisola del kerry, la più grande ed esposta sull’Atltantico, quasi una tappa fissa di chi decide di girare il sud irlandese. Il ring of kerry, specialmente se percorso in automobile, è la libertà allo stato puro. Non si paga un biglietto, non ci sono orari, strade da seguire. Ognuno va dove gli pare, sosta per il tempo che preferisce nei diversi paesi che si incontrano sulla strada, ognuno con le sue caratteristiche. Già dopo una ventina di chilometri, il paesaggio si fa decisamente più selvaggio. Ci si inerpica fra strade di montagna con dei colori indescrivibili, che vanno dal verde al marrone e cambiano in continuazione a seconda dei giochi che il sole fa attraverso le nuvole basse. Ovunque, rivoli, ruscelli, contadini, pescatori e soprattutto tanti animali. La nostra prima sosta è dedicata a due pastorelli che gentilmente si offrono in posa ai turisti per delle foto con i loro animali: un cavallo, due somari ed un volpino. Tutti deliziosi. Poi la strada si affaccia sul mare. Di fronte a noi un’altra lingua di terra, è la penisola del Dingle. C’è un silenzio rotto dal solo passaggio di auto e bus. Fra turisti, sembra quasi naturale salutarsi con grandi sorrisi, felici del condividere un paesaggio così meraviglioso da togliere il fiato, tutto gratis. In meno di 24 ore siamo così lontani dalla confusione, dal frastuono, dalla musica colorata di Dublino e stiamo assaporando l’altro sapore, più genuino, dell’Irlanda che nei secoli è cambiata poco, quella del mare, delle colline, dei sassi, coloratissimi, della brughiera e delle scogliere a picco sul mare. Arriviamo fino all’ultimo lembo di asfalto, dal quale ci si imbarca su delle chiatte per visitare l’isolotto di Valencia. Ma non ci interessa. Il nostro sesto senso, (questa è la vera magia del viaggiatore, non del turista), ci porta verso un punto panoramico segnalato sulla mappa. Siamo a Portmagee, con alle spalle knight rown, la città dei cavalieri. Sulla nostra cartina, manca del tutto la strada per arrivare al punto panoramico ma entrambi sentiamo che la strada c’è e noi siamo vicini. Ad un tratto la nostra Chevrolette Lacetti argento è ferma in mezzo ad un campo di grano immenso. Davanti a noi una lunga lingua d’asfalto sembra inerpicarsi su di un monte. Non abbiamo una precisa idea di dove siamo, ma la terra, da calcoli approssimativi, sta per finire, poi l’oceano e quindi… l’America. Decidiamo così di avventurarci… e dopo circa tre km la nostra sorte ci premia, accarezzandoci e regalandoci una delle esperienze che probabilmente non dimenticheremo mai nella vita. Troviamo il punto panoramico. Un gentil bifolco che gestisce il b&b locale pretende il biglietto, ma ne vale davvero la pena. Cinque minuti a piedi in un pascolo e già si inizia a sentire lo sciacquettio dei gorghi che le maree creano scontrandosi con gli scogli. Restiamo per qualche istante senza fiato. Lo sterrato sul quale camminiamo si interrompe improvvisamente. Finisce. Con lui, finisce l’Irlanda. Se la mappa non ci inganna, siamo nel punto più ad ovest di tutto il paese. Davanti a noi, l’oceano. La terra finisce con uno strapiombo di oltre cento metri sul mare. Viene quasi spontaneo fare un passo indietro. Nei tre euro e mezzo (mai spesi così bene) di biglietto, è compresa la sosta su una panca di legno. Pensate! Sull’estremo lembo sperduto d’Irlanda, quel matto ci ha messo una panca sulla quale riflettere sulla vita, sulla natura, che proprio li davanti fa bella mostra della sua potenza, della sua immensità. Ci lasciamo andare a baci ed affettuosità. Macrocosmo e microcosmo si fondono magicamente in un nostro bacio. E’ un’operazione alchemica che inconsciamente ma ritualmente portiamo a compimento, ebbri dell’emozione del posto che ci ha accolto. No, non è un caso. Cercavo esattamente questo posto. Lo avevo immaginato qualche giorno fa. Avevo immaginato tutto. Solo adesso lo posso dire. Forse i casi non esistono. Lasciamo quel posto meraviglioso, unico e senza nome (sul cartello c’è solo scritto point of view) e proseguiamo il nostro cammino nel ring of kerry. Siamo sulle coste atlantiche. Venti km più avanti, letteralmente scavalcata la montagna, (gallerie e tornanti non esistono in Irlanda) la strada scende a livello del mare. Scorgo con la coda dell’occhio un accesso laterale. Prometto ad Alessandra una sorpresa, le dico di tenersi forte e sempre spinto dall’intuizione magica che ha condotto tutto il mio viaggio iniziatico in Irlanda, tiro il freno a mano. Anche i miei numeri da coatto sono concessi su questa strada deserta. Troviamo così una stradina che porta proprio sul mare, su una spiaggia isolata dove ci sono dei surfisti che stanno per affrontare le onde dell’oceano e due cani che hanno voglia di correre e giocare con noi. E’ tutto meraviglioso. La marea s’è ritirata ed ha lasciato oltre 60 metri di spiaggia oceanica per farci passeggiare fra colori e paesaggi cui non siamo abituati, in totale estasi. Proseguendo facciamo sosta a Waterville, una lingua di terra sul mare e case colorate. Il nostro cammino riprende sull’atlantico prima di rigirarci verso l’Irlanda ed i laghi del parco nazionale di Killarney, dove vorremmo finire la giornata. La strada risale e torniamo fra colli e piccole montagne. Le nuvole, bassissime, ci avvolgono e troviamo sulla strada decine di pecore. Il paesaggio è brullo, attraversiamo una foresta silenziosa, dove passa poca luce dagli alberi ed il tempo sembra fermarsi. Cerco di andare il più piano possibile con l’auto. Al termine del ring, ci fermiamo al famosissimo “ladies view”, un punto panoramico mozzafiato che ha ammaliato nobildonne del passato e rappresentanti della casa reale inglese che qui trascorsero piacevoli vacanze. Suggestiva la vista sui laghi di Killarney. In tutta la valle, neanche un segno di civiltà, una casa o altra struttura moderna. A dipingerla, verrebbe identica ai paesaggi che hanno potuto ammirare zingari e re… di tutte le epoche passate. Tornando verso casa (di Mary), ci fermiamo nel parco nazionale di killarney, qualcosa come 800 ettari di foresta, giardini ed una casa vittoriana, ahinoi, chiusa alle 17. Unico rimpianto di tutto il viaggio. I giardini sono curatissimi, si possono fare magnifiche passeggiate in carrozza o semplicemente perdersi a piedi nel parco, fra abeti secolari e piante di rara bellezza. Mentre facciamo ritorno a Killarney scopriamo il perché delle bandiere giallo/verdi sulla maggior parte delle vetture che abbiamo incontrato per strada. Mentre noi vagavamo nel ring of kerry la squadra locale, ovvero la squadra di football della contea dove ci troviamo, il Kerry appunto, ha vinto la finale di campionato. Ho avuto il piacere di vedere i primi minuti del secondo tempo, mentre il Kerry era sotto, con tre irlandesi in un negozio. Nonostante la sofferenza per la finale di campionato nazionale sono stati molto gentili e mi hanno spiegato su per giù le regole del gioco che risulta essere una specie di compromesso fra il nostro calcio (qui si chiama soccer) ed il rugby. Si gioca su un campo immenso, 16 contro 16. La palla, simile a quella da calcio, si tiene in mano e ci sono delle mischie. Si può portarla a spasso, farla rimbalzare per terra come fa un cestista, oppure palleggiare con i piedi. Per segnare basta tirare la palla con un calcione in mezzo alla meta, in alto, oppure tirare in porta con i piedi o con le mani, insomma come farebbe Maradona, in una porta da calcio dove c’è anche un portiere. A vederli giocare sono davvero ridicoli. Però loro ci tengono molto e la vittoria della “nostra” contea rende tutti euforici nel pomeriggio.

La sera siamo in un tipico perfetto irish pub. Luce fioca, una violinista ed un tipico musicista irlandese con barbona e guance rosse che suona una specie di mandolino medievale ad otto corde allietano la serata. Per il secondo turno giungerà un gruppo che fa rock misto alla musica irlandese, veramente fenomenale.

 
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Day 6

Post n°6 pubblicato il 08 Ottobre 2008 da vrpress
Foto di vrpress

Dopo l’ultima colazione faraonica Mary ci saluta affettuosamente spiegandoci che siamo fortunati e che probabilmente abbiamo portato il sole dalla puglia, visto che un clima così non lo vedeva da aprile ed aggiunge che agosto è stato terribilmente freddo e piovoso. Non c’è che dire, il viaggio sta andando esattamente come lo avevo immaginato, se non è magia questa?

Ci mettiamo in viaggio di buon mattino, destinazione Kilkenny. Sulla strada i consueti panorami meravigliosi e decine di mezzi agricoli. La mia guida da pensionato medio in Italia qui sembra quella di schumacher. Decidiamo di fare una sosta intermedia a Cashel, dove visitiamo la Rocca di San Patrizio. Trattasi di una cattedrale bellissima costruita nel 1200 e poi abbandonata nel 1700 dove si erano stabiliti monaci cistercensi che già prima vivevano nella piana di Cashel. Dalla rocca, costruita sulla vetta di una collina battuta dal vento, si vedono i resti del primo insediamento cristiano della zona. Non è difficile notare comunque come i cristiani si siano abilmente insediati lì dove si tenevano da tempi remotissimi antichi culti celtici. La chiesa, senza tetto ma immensa e maestosa, è davvero interessante. Romanico ed un primo abbozzo di gotico si fondono in spazi ampissimi, mostrando qua e là retaggi pagani come le facce di idoli e strani personaggi scolpite sull’architrave della cripta. Facciamo delle foto bellissime con le croci celtiche del cimitero annesso, dove nobili di varie epoche hanno voluto riposare per l’eternità. Nel primo pomeriggio siamo a Kilkenny, cittadina medievale colorata, elegante ed accogliente. Parcheggiamo proprio sotto al castello e prendiamo parte, manco a farlo a posta, all’ultimo tour guidato della giornata. Scopriamo così l’interessante storia della famiglia Butler, resa nobile dal re d’Inghilterra con il titolo di maggiordomo di Stato e premiata con il 10% su tutto il vino importato nel paese. Certamente questi Butler, che nel corso dei secoli si sono incrociati con riusciti matrimoni con altre importanti famiglie irlandesi, non se la passavano male, visto che il castello è decisamente più bello e curato perfino di quello di Dublino. A condurci nel tour, l’ultima Butler vivente, molto felice di farci da guida turistica nel castello che il bis nonno ha venduto per 70 sterline allo stato, senza lasciarle neanche il titolo nobiliare che può passare solo per asse maschile. Intorno al castello, ci perdiamo nel parco di 80 ettari, in un verde bellissimo, con prati curati ed un magnifico fiume che attraversa la città. E’ quasi sera e mi tocca guidare di notte alla ricerca di Bunclody, dove ci attende il nostro ultimo b&b. Guidare di notte non è facile. Gli agricoltori sono in strada con i trattori ad un fanale solo, potentissimo e sparato negli occhi. Tutto quello che di giorno è verde diventa nero, fa quasi paura. Sulle strade c’è davvero poca illuminazione. Dopo un paio di soste per chiedere se la strada presa fosse quella esatta, arriviamo a Bunclody mentre ormai, alle 20.30 la città dorme. Facciamo conoscenza con Brian, uomo incredibilmente elegante ed affascinante. Brizzolato, occhi e carnagione chiara, con dei modi da lord inglese ed una parlantina quasi ipnotica, Brian ci accoglie nel suo magnifico Cottage. Elegante e caldo. La nostra stanza è una reggia magnifica con un bagno immenso. Peccato che ce la godremo pochissimo. Siamo così stanchi, abbiamo visitato Dublino e l’Irlanda del Sud da est ad ovest facendo un tour da 11 giorni nella metà del tempo, che mentre manifestiamo l’intenzione di andare a bere una birra in un pub, crolliamo entrambi sul letto e prendiamo sonno vestiti.

 
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Day 7

Post n°7 pubblicato il 08 Ottobre 2008 da vrpress
Foto di vrpress

Questa mattina ci attende un trasferimento di 200 km. Restituiremo la vettura a noleggio in aeroporto e prenderemo il volo per l’Italia dopo aver fatto l’ultima irish breakfast cucinata dall’ottimo Brian che si raccomanda di non correre su strada premurandosi di farci svegliare presto per non perdere il volo. Nonostante Alessandra abbia fatto di tutto per farci restare in Irlanda, non mettendo la sveglia e cercando di depistarmi in ogni modo sulla strada verso Dublino, siamo tornati. Con un bagaglio di ricordi e la certezza di aver vissuto un’esperienza unica, meravigliosa, magica. Semplicemente il più bel viaggio della mia vita. Non so se l’Irlanda sarebbe stata la stessa se l’avessi vista con gli occhi del ventenne. Forse è stato proprio un bene visitarla adesso. Di certo, l’ho trovata così magnifica grazie anche ad una compagna di viaggio meravigliosa in tutto, che non ringrazierò mai abbastanza per tutto quello che mi da. 

 
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