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La fèra te la stiddhra

Post n°13 pubblicato il 23 Febbraio 2008 da dueali2

di Luigi Pascali

Abbiamo appena “archiviato” l’ultima edizione della festa di San Giseppu te la stiddhra e a parte il personale compiacimento per le condizioni atmosferiche, che ci hanno consentito finalmente di godere pienamente della tradizionale festa, dopo diverse edizioni con freddo, pioggia e vento, non posso nascondere un pizzico di disappunto.
Non per la festa, ovviamente, che ritengo perfettamente riuscita, ma per l’approccio che noi tutti ormai abbiamo nei confronti di una tradizione antica che non sentiamo più nostra, finiti come siamo nella tramoggia del “progresso”, in virtù del quale tutto ci scivola addosso, senza lasciare più segno alcuno.
E allora appaiono lontanissimi i tempi in cui la Fera te la stiddhra segnava inequivocabilmente il passaggio dall’inverno alla bella stagione, e gli acquisti in occasione te la fèra ne scandivano il tempo, poichè l’assenza assoluta di supermercati ne faceva occasione rara di poter trovare, senza spostarsi dal proprio paese (con il biròcciu, lu sciarabbà o la trainella), arnesi e stoviglie che si sarebbero utilizzati di lì a poco: scale a pioli, sitèlle e farnàri, secchi, vaschette e menze di latta zincata, zappe, rastrelli, sarchiùddhre e ratapièlli, tricacarne a manovella (la carne per le polpette si macinava in casa) e la fatidica machinetta pe’ li prummitòri. E ancora animali, dalla puddhràscia alla sciumènta, per rimpinguare o rinnovare il cortile o la stalla.
Un capitolo a parte meritano le famose còtume di terracotta, poichè ancora oggi resistono e insistono in tutti i mercati, anzi, sono assurte al rango di “oggettistica” tanto da divenire delle vere e proprie “opere d’arte ceramica”.
Tra queste, spicca nella tradizione de La Stiddhra il campanellino te crita. Ma non tutti sanno che anticamente, i giovanotti usavano regalare uno di questi campanelli alla ragazza che intendevano corteggiare, chiedendole “sona buenu, stu campanieddhru? ” se la fanciulla faceva tintinnare il campanellino, rispondendo “si, me piace, sona buenu! ” era quello il segno che era interessata al giovanotto e quindi accettava non solo l’omaggio, ma anche la corte. Se invece non lasciava suonare il campanello, tenendone fermo il piccolo batacchio, e passandolo nelle mani di un’amica rispondendo evasivamente, era il segno inequivocabile che il giovanotto non era di suo gradimento. A questi non restava che sospirare e cercare un’altra damigella a cui far “tintinnare” il campanello.
Anche quest’anno ho comprato uno di questi graziosi campanelli, ma solo per riporlo, insieme agli altri, sulla mensola di casa, poiché alla mia età, ho già “tintinnato” abbastanza.
Ogni tanto, guardo i campanelli, penso agli odierni messaggi sms e sospiro anch’io, ma di nostalgia!

 
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