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Lsciatelo stare. E' un artista!.

Post n°5 pubblicato il 19 Maggio 2013 da lascuolaoggi
 

Pare che gli esperti di media communication abbiano dimenticato gli effetti fondamentali della narrazione televisiva: l’emulazione e l’assorbimento acritico dei contenuti da parte delle utenze, specialmente se i messaggi sono ridondanti e se i maggiori fruitori di televisione sono i bambini. Non capita di rado di imbattersi in bambini già adulti, che si atteggiano come i bad boy della tv, sculettano come le show girl, si contendono il timido/a, e suo malgrado, tronista della classe. Non è raro incontrare bambine che non mangiano il pane perché il carboidrato è il più grande nemico della linea,  o perchè frequentano corsi di ballo-canto-recitazione ed hanno dunque a cuore la loro immagine, ancor prima di sviluppare la propria identità corporea. Bambine che si ritengono “popolari” o “divine”, come accade nei telefilm che seguono con passione; bambini che riducono i rapporti affettivi con i compagni al semplice binomio invidia/non invidia, con buona pace dei genitori e, talvolta, dei docenti. Inoltre,non è impossibile per un docente sentirsi dire da un allievo “mi hai spinto” anche se lo ha solo preso per mano e accompagnato al suo posto, perché stare in classe vuol dire anche scolarizzazione, rispetto delle norme e degli spazi.  Come non è assurdo ritrovarsi il genitore, armato di insulti, il giorno dopo, perchè il docente “si è permesso di”, in barba al fatto che la scuola dovrebbe fondarsi sul rispetto del ruoli, tanto in ogni docente si cela un maniaco (televisione docet). Anche il bambino ha compreso, infatti, che per attirare l’attenzione di papà e mamma è necessario ingigantire un po’ le situazioni, specie se papà e mamma stanno divorziando e se papà ha un’altra. Ancora di più, se papà ha perso il lavoro, se mamma è triste, ed entrambi sembrano presi da tanti altri pensieri, incomprensibili per un bambino. Ovviamente, si può trattare di comportamenti momentanei, tipici delle fasi di passaggio dall’infanzia alla fanciullezza, ma siamo certi che tutti questi modelli culturali e di relazione non influiranno pesantemente nella formazione delle nuove generazioni?. Siamo già al punto di non ritorno?.

C’è una linea di demarcazione molto sottile fra i racconti delle esaltazioni e delle follie umane in televisione ed il senso di onnipotenza e del sospetto reciproco, che si viene a creare negli ambienti della vita reale. Il reale è immaginario, scriveva la Buonanno, intendendo dire che oramai non si percepisce più la differenza fra virtuale e reale, fra narrazione mediatica e vita quotidiana. Ciò fa sì che i modelli culturali  siano assorbiti senza contraddittorio, soprattutto se nei contesti educativi non si ritorna su quelle narrazioni, per attribuire loro un significato più oggettivo, ripulito dalla spettacolarizzazione televisiva. Con questo non si vuol dire che il docente contemporaneo debba essere un tuttologo, ma sarebbe necessario sensibilizzare chi dirige gli enti educativi ad un diverso impiego delle risorse economiche (progetti extrascolastici), soprattutto per contattare degli esperti esterni fra gli ormai numerosi dottori della psicologia, utili come sostegno al contesto. E ancora,guardando la televisione, sembra che l’unico futuro per i bambini di oggi sia nel mondo dello spettacolo. Se chiedi ad un bambino “cosa vuoi fare da grande”, è probabile che risponda l’attore, il cantante, il calciatore, ignaro del fatto che dietro queste professioni c’è un duro lavoro di preparazione. Il modello culturale rispetto a cui la scuola dovrebbe intervenire è, allora, proprio l’idea del successo ad ogni costo e della facilità con cui lo si può ottenere. Verrebbe da chiedersi dove siano finiti quei bei manga giapponesi, in cui si parlava di solidarietà, amicizia, collaborazione, dove si rievocavano i grandi eventi storici e si raccontavano i valori funzionali alla coesione sociale ed alla collettività. Valori come il rispetto per gli altri o il mutuo soccorso, quanto mai necessari oggi. Valori che possono passare attraverso delle precise strategie didattiche, descritte nel dettaglio da studiosi acclarati, ma rispetto a cui, in molte scuole, cala il silenzio assoluto. All’interno di questa lunga premessa, potrebbe trarre significato una curiosa conversazione, che ha avuto luogo fra un docente di scuola primaria ed un genitore, durante uno dei tantissimi colloqui scuola-famiglia. Il docente in questione sottopone al genitore le carenze grammaticali dell’allievo, la sua scarsa attenzione nel lavoro d’aula, la disattenzione nei compitini a casa, il disinteresse per qualsiasi attività didattica che escluda ballo-canto-recitazione. E dire che nella scuola primaria si adoperano la drammatizzazione e la narrazione come pass-partout didattico, anche per spiegare le tabelline o per descrivere le prodezze del Signor Virgola (con tanto di voce fuori campo). Insomma, il nostro povero docente ha tentato di spiegare al genitore che anche un grande ballerino del domani deve saper scrivere una lettera o sapersi presentare in lingua italiana, che quattro ore di danza al giorno forse distolgono troppo il bambino dalle sue responsabilità scolastiche, che la scuola primaria non è la Juilliard di New York. Non c’è stato verso. Il genitore, visibilmente arroccato nel suo modello educativo, “mediatico”verrebbe da obiettare, ascolta con scarsa attenzione le parole della docente,la quale, man mano alleggerisce i toni, giusto per evitare un’inutile diatriba educativa. Ma la mamma non può sentirsi dire tanto senza intervenire, per ristabilire il giusto significato della situazione. La maestra di ballo le ha, infatti, detto che suo figlio ha talento (e cioè?),che sarebbe un peccato dissiparlo per correre dietro alla divisione a due cifre, che nulla ha a che vedere con la danza (e al diavolo Piaget  con tutto l’apprendimento sensomotorio). Il figlio è un artista, sa ballare, cantare, recitare, anche se al momento non va ancora a scuola di canto né di recitazione. Per queste due arti è, infatti, autodidatta ed è la stessa madre a dargli lezioni, complici youtube e quel processo di apprendimento, magicamente consentito dai neuroni a specchio, che è l’imitazione. Non contenta, chiama il bambino e gli dice di esirbirsi in una performance canora. La docente, sempre meno comunicativa e sempre più basita, capisce che è conveniente mediare. Allora, partecipa dicendo: “Tesoro, cosa vuoi cantare?”. “I Modà” è la risposta. Il giovanissimo, con una profonda inspirazione, raccoglie quanta più aria può e comincia a cantare di gola, barcamenandosi fra colpetti di tosse e inauditi sforzi vocali. Divenuto ormai paonazzo, ha il buonsenso di fermarsi, aggiungendo: “Devo allenarmi di più”. Tutta soddisfatta è, invece, la madre che, mossa da un profondo orgoglio, conclude : “Glielo avevo detto che è un talento!”.  

  

 

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Commenti al Post:
gaenel
gaenel il 19/05/13 alle 10:34 via WEB
Ho sempre pensato che spesso il peggior nemico di un bambino è la propria madre....Grazie per l'ospitalità....
 
 
lascuolaoggi
lascuolaoggi il 19/05/13 alle 11:11 via WEB
Grazie a te per aver dedicato un po' del tuo tempo a noi!
 
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