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Post n°2 pubblicato il 31 Gennaio 2010 da laura.campaci
Quindici giorni. I miei primi quindici giorni a Stoccolma. Sono volati! E quel che resta guardando indietro è un groviglio di emozioni ed esperienze che fatico a districare, tanto complicati sono i sentimenti di una persona che lascia la propria casa per la prima volta volta nella sua vita, e se ne va in un posto così lontano, da sola. I primi giorni mi domandavo: "Ma che stai facendo Laura?? Su, dai, torna in Italia". Ancora oggi mi sveglio in un letto che non sempre riconosco, o meglio, che ancora non mi fa sentire totalmente a mio agio. Nessuna luce abbagliante come il sole di Venezia nei suoi momenti migliori penetra dalla finestra, e la pigrizia mi rimane addosso fino a quando non mi obbligo ad alzarmi, a muovermi, a prendere la penna e a disegnare una nuova giornata, tutta per me. Quanta libertà! E fatico ad organizzarla, a gestirla, e pure a gustarla talvolta. Incontro persone che mi aprono le porte di culture sconosciute, di mondi così distanti dal mio, di modi di essere e di affrontare la vita che corrono su un'altra lunghezza d'onda, eppure siamo tutti accomunati dagli stessi sentimenti di nostalgia, paura, entusiasmo... umanità. La città è ancora in buona parte da scoprire. Ricordo il mio secondo giorno da sola qui, mi son svegliata presto nel mattino, doveva ancora albeggiare, e mi sono avviata verso il centro alla ricerca di un posto dove fare la spesa, comprare le prime cose essenziali per la cucina che condivido con altre 11 persone. Camminavo per le strade, senza sapere dove andare di preciso, volevo provare lo stesso gioco che ogni tanto mi diverto a fare a Venezia: camminare senza una meta, vagando per calli che non riconosco, e lasciarmi guidare dai sensi della città. Non avevo molto tempo, dovevo andare a lezione all'università; ma poi ho visto il mare. Il mare! In parte era ghiacciato, solcato da alcune navi attraccate ad una sorta di ormeggio. La gente continuava a camminare e la vita scorreva intorno a me, mentre io ammiravo il mare. Lì è cominciata l'avventura. Da quel momento alterno momenti di entusiasmo a momenti di forte debolezza psicologica; un'altalena di emozioni contrastanti che fatico a volte a gestire, tanto mi è nuova e tanto mi scuote nel profondo. Mantengo un equilibrio interno che è dono di natura, e che viene probabilmente dalla mia capacità di razionalizzare, ma soprattutto di sapere che non sono sola in tutto questo. Ecco, la solitudine. Sto scoprendo questa sensazione con un'estrema intensità. A volte è piacevole quando ti fa assaporare appieno l'indipendenza, a volte punge dolorosamente al pensiero degli affetti che non sono qui con me, e che sono vitali per la mia gioia e per il mio cuore. Parlo in inglese, già. Caro italiano, quanto mi manchi. L'armonia dei suoni, e in particolare la capacità di esprimere le mie emozioni e i miei pensieri con una lingua che mi appartiene dalla nascita, che mi contraddistingue. Quante volte mi sfuggono delle parole italiane, esasperata dalla frustrazione di non poter dire ciò che ho dentro. Ma mi sforzo, mi impegno, e batto costantemente i pugni contro la mia timidezza e la mia ignoranza. Mi sottovaluto. Continuo a farlo. Perchè penso sempre di non fare abbastanza, che il mio inglese non sia abbastanza, che il modo in cui sto gestendo la mia nuova vita non sia abbastanza. Dovrei essere fiera di me, visto che sono quindici giorni che sono qui e sto imparando un sacco di cose! Si cresce così in fretta. E chissà che sia la volta buona per tagliare il famoso cordone ombelicale, per recidere quel legame che ancora mi fa dipendere - al di là dell'aspetto economico - dall'opinione dei miei genitori, dalla loro costante presenza e influenza nella mia vita. Vivo ancora a metà. Metà qui, metà in Italia, di cui ricordo il cibo, le passeggiate con gli amici, i sabati con Marco, il parco attraversato in bicicletta (quanto mi manca la bicicletta!), i visi familiari, la mia comunità, l'università (seppur così fastidiosamente non stimolante)... Ma questa nuova vita, che sto costruendo all'interno di una bolla, pronta a scoppiare tra cinque mesi, è una sfida da affrontare. E' un percorso da compiere per avere maggiore consapevolezza di me, dei miei limiti, per accrescere la sicurezza in me stessa, per migliorare l'inglese, per scoprire nuove realtà, per imparare a bastare a me stessa, per apprezzare maggiormente ciò che ho lasciato a casa, e magari rivalutarlo con occhi più lucidi. Non rimane che dire: il cammino è tutto da compiere. C'è una città magica che mi aspetta, strade da percorrere su un manto di neve che attutisce i rumori e massaggia le suole dei piedi. E persone da conoscere, e parole da dire, e sorrisi da donare, ancora pianti e paure e momenti di sconforto, ma anche il gusto di dire: sono viva. |
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