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Diletta Pagliuca

Post n°1346 pubblicato il 07 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Immaginate un luogo isolato della campagna romana nel giugno 1969. All’interno
di questo, sparse qua e là, è possibile vedere le foto di una signora
in compagnia di un Vescovo o mentre saluta Papa Paolo VI. Immaginate anche
tanti bambini in fila, uno di fianco all’altro. E immaginate anche che qualcuno
di loro, durante la notte, dorma legato al suo letto. C’è una radio, in lontananza,
che suona canzoni di moda. Prima “Zingara”, poi “Tutta mia la città”.
C’è una coppia di fidanzati, qualche chilometro più in giù, che ha deciso
di andare a vedere “Metti una sera a Cena” di Patroni Griffi. In un’altra casa,
infine, c’è un ragazzo con i capelli lunghi e il poster di Che Guevara in camera
che guarda un po’ perplesso la televisione: Ruggero Orlando sta dando le
ultime notizie sul prossimo sbarco della Luna degli americani. No, non è uno
scenario da film. Potrebbe essere esattamente questo il panorama umano e sociale
che ruota intorno al libro, uscito nel mese di luglio, di Massimo Polidoro,
intitolato “Eravamo solo Bambini” (Piemme Editrice).
Il posto, se non lo avete ancora capito, è l’Istituto Santa Rita di Grottaferrata,
in Via Sant’Andrea. E quella signora che in una foto tende la mano a
Paolo VI si chiama Maria Diletta Pagliuca. I bambini, invece, sono solo dei
bambini più sfortunati di altri. Ogni giorno, in più, sono maltrattati e sottoposti
a trattamenti incivili. Apriamo una pagina a caso di un giornale di quei
giorni: ”Aperta la porta del dormitorio, agli inquirenti si presenta una scena
orrenda. Nell'ambiente, ammorbato da un insopportabile fetore, erano sistemati,
due a due, ciascuno con la testa rivolta verso le spalliere di ferro, in otto
letti, quindici bambini e ragazzi, legati fra loro per le gambe a mezzo di ruvidi
lacci di stoffa, con le braccia levate verso le spalliere del letto e a queste
assicurate con robuste catenelle fermate con lucchetti. I poveretti erano così
immobilizzati, chiusi dentro da soli, senza alcuna assistenza e presentavano
ecchimosi dovute a lacci e catene che, peraltro, provocavano una difficoltosa
circolazione del sangue”. E’ la sera del 6 giugno 1969. E questa è la scena che
si presentò davanti agli occhi degli agenti del commissariato di Grottaferrata,
dove è stata sporta una dettagliata denuncia contro l'Istituto Santa Rita di
“Suor Colomba”, al secolo Maria Diletta Pagliuca. Le forze dell’ordine, dopo
l’intervento di una privata cittadina, hanno preparato un'azione di sorpresa
autorizzata dalla magistratura. L'ispezione dura sino all'alba. Al termine
“Suor Colomba” viene tratta in arresto. Il giorno dopo, si apprende dalle cronache
del tempo, arrivano al commissariato telefonate anonime di minacce,
suppliche, interventi dall'alto. L'inchiesta si allarga. Si apprende che varie volte,
negli anni precedenti, al Santa Rita, erano stati riscontrati episodi di maltrattamenti.
L'istituto era stato chiuso per essere riaperto subito dopo. Si presume,
inoltre, che vi siano state delle morti sospette e si cercano di accertare le responsabilità
specifiche dell'ufficiale sanitario di Grottaferrata, il quale, si disse,
si preoccupava di informare preventivamente Suor Colomba allorché veniva
decisa una qualche ispezione, con la complicità di altri medici. Non è finita.
Le accuse di certa carta stampata, di una parte dell’opinione pubblica e
di partiti come quello radicale prendono di mira addirittura anche l’allora Vescovo
di Frascati Liverzani e il Ministero dell’Interno. Per quale motivo? La
Pagliuca era stata fondata nel 1946 dall’Associazione nazionale pro bambini
sor domuti e ciechi. Aperto un istituto ad Amalfi, la struttura aveva avuto subito
dei problemi ed era stata chiusa, il 23-11-1949, per mancanza di autorizzazione
a funzionare. Ciò nonostante, nel maggio 1951, riprende a funzionare
nella Villa Tupini di Grottaferrata, un istituto per bambini minorati. Nel
dicembre dello stesso anno, dopo una ispezione, l'ONMI dispone il trasferimento
ad altro istituto di 20 bambini. Segue una serie di ispezioni, le cui conclusioni,
sempre negative, ven gono trasmesse alla Prefettura di Roma. La più
agghiacciante è la relazione redatta il 25-10-1960: “Refettorio ma leodorante,
sporco: la cucina non pare abbia avuto l'onore di conoscere l'acqua (la quale
non manca) per la pulizia. Porte sgangherate, urina sta gnante a terra, sporcizia
stratificata sulle pareti, insetti schifosi che movi mentano l'ambiente.
Questi locali sono il soggiorno di una quindicina di bambini minorati psichici
e non, che sono ospiti a pagamento di questo assurdo collegio di pseudorieducazione.
È infame, obbrobrioso, incompren sibile vedere in quell'ambiente
dei giovani ai quali la vita oltre a non aver dato la fortuna dell'intelletto,
non ha dato nemmeno la fortuna di un'assistenza non dico cristiana, ma perlomeno
naturale. I loro corpicini scarni, deformati, i loro occhi spenti, ma tristi,
fanno sì che qualsiasi uomo, anche il più abietto, si muova a compassione
e inviti, chi è competente, a prov vedere”.
Nessuno provvede. La Pagliuca,
trasferitasi in un appartamento privato,
continua la sua attività; successivamente
i bambini sono ricoverati
nell'istituto di sua pro prietà fatto appositamente
costruire nel 1964.
Sempre nelle cronache del tempo si
scrive che per i ricoverati suor Colomba
percepisce dai vari enti tra le
2.500 e le 3mila lire al giorno. Sono
poche per le necessità dei bambini.
Lei ne spenderebbe ancora meno:
300. Un netto di 2.200/2.700 lire, al
quale vanno aggiunte le donazioni
che provengono anche dagli Stati
Uniti o dal Canada. Nel gennaio
1967, ad esempio, le donazioni ammontano
a 627.200 lire. In quello
stesso mese la donna spende per il
vitto di circa 25 bambini 81.950 lire.
La Pagliuca dirigeva il giornalino “Il
miracolo del tempo”, distribuendone
numerose copie a enti e privati benefattori
e utilizzando per la raccolta
delle offerte il conto corrente postale.
Se ne parlerà poco, ma ci sono dei
bambini che si porteranno dietro le
tracce di quell’esperienza per sempre.
Droga, atteggiamenti eccentrici.
E istinti omicidi. Giulio Collalto, soprannominato
"Il pazzo di Limbiate",
viene abbandonato dalla madre a
soli 3 anni. Epilettico e “ritardato”,
viene trasferito al Santa Rita. In quel
collegio Giulio accumula il disagio
che poi sfogherà sulle proprie vittime,
entrambi bambini, nel corso degli
anni. Collalto ricorda: "Ci costringeva
a mettere il viso nei nostri
escrementi, ci legava a termosifoni,
ci incatenava al letto per farci stare
fermi e le botte erano all'ordine del
giorno, tanto da lasciarci segni permanenti”.
Quando lascia Grottaferrata
ha ormai 14 anni. Entra in un ospedale psichiatrico in provincia di Milano.
Fugge. Viene ricoverato in un nosocomio, ma fugge anche da lì. Viene accolto
in casa da un commerciante che lo costringe a rapporti omosessuali.
Collalto è oramai un uomo turbato. Ama stare con i bambini. Si fida di loro.
Ma ha anche una sessualità repressa e comincia a tentare approcci coi minori.
La sua prima vittima è Roberto, 10 anni; il secondo si chiama Luca. Entrambi
avevano tentato di ribellarsi agli abusi.
La corte d’Assise di Roma il 23.12.1971 condannava Maria Diletta Pagliuca
a quattro anni e otto mesi di reclusione per maltrattamenti semplici, con
la concessione delle attenuanti generiche e con l’applicazione di due anni di
condono. La assolveva dalla truffa e dal sequestro di persona perché il “fatto
non costituiva reato”. L’8 aprile la Corte di Appello condanna Diletta Pagliuca
a 12 e 4 mesi di reclusione. L’udienza ebbe luogo dopo giornate convulse,
accentuate dalle contestazioni dei movimenti femministi nei confronti della
donna. Da lì si perdono le tracce di questa storia. Grottaferrata, in questi decenni,
ha cercato di rimuovere l’accaduto. C’è persino, tra i più anziani, chi evita
di parlarne ancora. La straziante verità di quei giorni, però, è oggi tutta
nel racconto di Massimo Polidoro. Bellissimo ed emozionante

 
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