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Giovanni Passannante

Post n°2009 pubblicato il 26 Febbraio 2012 da odette.teresa1958

Giovanni Passannante (Salvia di Lucania, 19 febbraio 1849 – Montelupo Fiorentino, 14 febbraio 1910) è stato un anarchico repubblicano italiano. Fu autore di un attentato fallito alla vita di Re Umberto I di Savoia nel 1878. Condannato a morte, la pena gli fu commutata all'ergastolo. La sua prigionia fu dura e vi è chi ritiene che ciò l'abbia condotto alla follia, per la quale fu trasferito in manicomio, dove passò il resto della sua vita.
Biografia
Infanzia e formazione

Nacque a Salvia di Lucania (oggi Savoia di Lucania), da Pasquale e da Maria Fiore; fu l'ultimo di dieci figli, quattro dei quali morti in tenera età. Le condizioni economiche difficili della famiglia influirono sulla sua formazione. Svolse lavori occasionali sin dall'infanzia per aiutare la famiglia e poté frequentare solo brevemente la scuola.

Cresciuto, svolse lavori saltuari come bracciante o guardiano di greggi. Per migliorare le proprie condizioni si recò a Potenza, trovando lavoro come sguattero presso un'osteria. Più tardi, un capitano dell'esercito, nativo come lui di Salvia ma residente a Salerno, notato l'interesse del ragazzo per gli studi, lo prese a servizio presso di sé e gli assegnò un vitalizio per consentirgli di integrare la propria istruzione. Passannante alternò così la lettura della Bibbia a quella dei giornali e degli scritti di Giuseppe Mazzini.

Abbracciate le idee repubblicane, frequentò circoli mazziniani e per questo venne arrestato e trattenuto in carcere per due mesi. Uscito di prigione, tornò brevemente presso la famiglia a Salvia, quindi si recò nuovamente a Potenza, lavorando come cuoco. Nel 1872 si trasferì a Salerno, ove continuò a svolgere la stessa professione e si iscrisse alla locale società operaia, operandovi attivamente. Frattanto Passannante si orientò verso idee anarchiche e si trasferì a Napoli.
L'attentato


Il 17 novembre 1878, Re Umberto I di Savoia e sua moglie Margherita erano in visita a Napoli. Quando il corteo reale giunse all'altezza del Largo della Carriera Grande, Passannante si avvicinò alla carrozza del sovrano, che incedeva lenta tra la folla, e, simulando di voler porgere una supplica, salì sul predellino, scoprì un pugnale che teneva avvolto in uno straccio rosso e tentò di accoltellare il monarca.

Questi riuscì a deviare l'arma, rimanendo leggermente ferito a un braccio. L'attentatore venne afferrato dal primo ministro Benedetto Cairoli che rimase ferito da un taglio alla coscia destra. Al momento dell'attacco, Passannante gridò: «Viva Orsini, viva la repubblica universale». L'attentatore aveva compiuto il suo gesto con un pugnale avente una lama di 8 cm circa che aveva ottenuto barattandolo con la sua giacca. Nel fazzoletto rosso nel quale aveva nascosto l'arma, Passannante aveva scritto: «Morte al Re, viva la Repubblica Universale, viva Orsini».


Passannante, colpito con una sciabolata alla testa dal capitano dei corazzieri Stefano De Gioannini, venne tratto in arresto. Affermò di aver agito da solo; fu interrogato e torturatonel tentativo di fargli confessare una supposta congiura
Conseguenze politiche

La notizia dell'attentato produsse in tutta Italia opposti sentimenti, da una parte, con cortei di protesta contro il tentato regicidio, cui si contrapposero coloro che invece si opponevano al Re e al Governo. Il giorno successivo, a Firenze, alcuni anarchici lanciarono una bomba contro un corteo: due uomini e una ragazza restarono uccisi e più di dieci persone furono ferite. Lo stesso accadde a Pisa e la notte del 18 novembre venne assalita una caserma a Pesaro. Accanto agli attentati, si registrarono manifestazioni favorevoli all'attentatore.

Il poeta Giovanni Pascoli, intervenendo in una riunione di aderenti ad ambienti socialisti a Bologna, diede pubblica lettura di una sua Ode a Passannante. Di tale ode si conosce solo il contenuto dei versi conclusivi, di cui è stata tramandata la parafrasi: «Con la berretta d'un cuoco faremo una bandiera». Subito dopo la lettura, Pascoli distrusse l'ode; in seguito fu arrestato per aver manifestato a favore degli anarchici che erano stati a loro volta tratti in arresto per i disordini generati dalla condanna di Passannante.

All'agitazione che scuoteva il Paese, che aveva anche indotto la caduta del Governo Cairoli I, si era tentato di fare fronte con un'opera di repressione: la magistratura istruì su tutto il territorio italiano circa 140 processi contro appartenenti a circoli anarchici.

L'intera famiglia dell'attentatore - madre, due fratelli e tre sorelle - fu arrestata già il giorno dopo l'attentato e condotta nel manicomio criminale di Aversa dove fu internata fino alla morte. Solo il fratello Pasquale fuggì.

Il sindaco del paese di origine di Passannante, Salvia di Lucania, fu costretto a recarsi al cospetto del re implorando perdono e proponendo di mutare il nome del comune in Savoia di Lucania, nome che porta ancor oggi. Parenti e omonimi. Successivamente, con Regio Decreto del 29 marzo 1879, la pena gli fu commutata in ergastolo, che Passannante scontò a Portoferraio, sull'isola d'Elba. Rinchiuso in una cella alta 140 cm, priva di latrina, posta sotto il livello del mare, rimase senza poter parlare con nessuno e in completo isolamento per anni.
« Passannante è rimasto seppellito vivo, nella più completa oscurità, in una fetida cella situata al di sotto del livello dell'acqua, e lì, sotto l'azione combinata dell'umidità e delle tenebre, il suo corpo perdette tutti i peli, si scolorì e gonfiò … il guardiano che lo vigilava a vista aveva avuto l'ordine categorico di non rispondere mai alle sue domande, fossero state anche le più indispensabili e pressanti. Il signor Bertani … poté scorgere quest'uomo, esile, ridotto pelle e ossa, gonfio, scolorito come la creta, costretto immobile sopra un lurido giaciglio, che emetteva rantoli e sollevava con le mani una grossa catena di 18 chili che non poteva più oltre sopportare a causa della debolezza estrema dei suoi reni. »

(Salvatore Merlino, «L'Italia così com'è», 1891 in "Al caffè", di Errico Malatesta, 1922)

Tali condizioni di detenzione furono oggetto di una denuncia dell'Onorevole Agostino Bertani e della giornalista Anna Maria Mozzoni, a seguito della quale il prigioniero, che nel frattempo aveva contratto una malattia mentale, certificata da una perizia psichiatrica condotta dai professori Biffi e Tamburini, fu trasferito presso il manicomio criminale di Montelupo Fiorentino, ove morì.


Dopo la sua morte il corpo, in ossequio alle teorie dell'antropologia criminale, miranti ad individuare supposte cause fisiche alla "devianza", fu sottoposto ad autopsia e decapitato e si scoprì che aveva una fossetta dietro l'osso occipitale. Si cominciò pertanto a pensare che quella fossetta fosse il segnale della tendenza all’anarchia di un soggetto.

Il cervello e il cranio di Passannante, assieme a suoi blocchi di appunti, rimasero esposti sino al 2007 presso il Museo Criminologico dell'Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia di Roma, dove si trovavano dal 1936, dopo essere stati conservati presso l'Istituto Superiore di Polizia associato al carcere giudiziario "Regina Coeli" di Roma.

La permanenza dei resti in esposizione presso il Museo ha causato proteste e interrogazioni parlamentari. Il 23 febbraio 1999 il ministro di Grazia e Giustizia, Oliviero Diliberto, firmò il nulla osta alla traslazione dei resti del Passannante da Roma a Savoia di Lucania, che avvenne solo otto anni dopo.

 
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