Messaggi del 29/12/2011

La croce di fuoco

Post n°1500 pubblicato il 29 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Forse non tutti sanno che la famigerata croce di fuoco del Ku Klux Klan ha origine scozzese.
I capiclan delle Highlands la piantavano nel loro cortile e vi davano fuoco quando dovevano radunare i membri del clan per andare in battaglia.
Dopo la disfatta di Culloden del 1746,che segnò la fine della velleità di Bonnie Prince Charlie,ultimo Stuart,di riprendersi il trono,molti scozzesi emigrarono nel Nuovo Mondo ed importarono molte loro usanze,compresa questa.

 
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Teresa Borri Stampa

Post n°1499 pubblicato il 29 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Il primo matrimonio [modifica]

Teresa era nata da Cesare e Marianna Meda, entrambi nobili ma di modesti mezzi economici. Aveva due fratelli: Giuseppe, scrittore, e Giacomo, sacerdote. A 19 anni la giovane sposò il ricchissimo conte Stefano Decio Stampa. Nel novembre 1819 la coppia ebbe il figlio Giuseppe Stefano, destinato a rimanere unico: infatti il padre, colpito da una malattia grave e invalidante, spirò nel dicembre 1820. Lasciava tutte le sue sostanze equamente divise fra moglie e figlio: tuttavia sua madre impugnò il testamento e ne seguì una causa che si trascinò per anni. Tutto poi terminò con un accomodamento e una riconciliazione fra suocera e nuora.

Indole di Teresa [modifica]

Era una donna colta e informata: aveva saputo barcamenarsi bene durante la lunga lite con la suocera e aveva educato l'amatissimo figlio Stefano con ogni cura e amore. Era estroversa e spiritosa: teneva con gli amici e i parenti un epistolario torrenziale, formato da lettere lunghissime miste di italiano, francese e dialetto milanese. Ma non era certo esente da difetti: era ipocondriaca e passò tutta la vita ripiegata su sé stessa e i suoi acciacchi. Inoltre era molto egocentrica.

Il matrimonio con Manzoni [modifica]

Dopo la morte di Enrichetta Blondel, il giorno di Natale del 1833, Alessandro Manzoni era sprofondato nella malinconia. Gli amici, comprendendo che non era fatto per rimanere solo, cominciarono a darsi da fare per trovargli una moglie. Alla fine fu Tommaso Grossi, lo scrittore che viveva in casa Manzoni, a presentargli Teresa Borri. Si piacquero: e poco dopo Alessandro le propose il matrimonio. Teresa esitò un poco, poi accettò: per l'autore de I promessi sposi aveva una venerazione. Si sposarono il 2 gennaio 1837: Manzoni aveva 51 anni, Teresa 37. La neomoglie si trasferì in via del Morone, nel confortevole palazzo Manzoni, insieme al figlio Stefano.

Il rapporto di coppia Alessandro-Teresa funzionò bene: lei, come si è detto, lo venerava e considerava un onore essere sua moglie, tanto da far sospettare a quelli che la criticavano di avere un maggiore interesse verso lo scrittore celeberrimo che verso l'uomo Manzoni. Ad ogni modo fu sempre per lui una consorte devota e affettuosa. Aveva poi una qualità rara: sapeva ascoltare Alessandro quando le parlava di Enrichetta, la donna che il suo vedovo non avrebbe dimenticato mai.

I rapporti con la cerchia Manzoni [modifica]

Dove Teresa fallì, o volle fallire per una sorta di noncuranza, fu nei rapporti con la nuova famiglia. Entrando a via del Morone trovava la suocera Giulia Beccaria, ormai vicina agli ottant'anni, i figliastri Pietro (24), Cristina (23), Sofia (21), Enrico (19) Vittoria (15), Filippo (11) e Matilde (7). I più grandi si sposarono tutti negli anni immediatamente seguenti, ma Vittoria e Matilde, rifiutate dalla matrigna, dovettero restare in collegio fino quasi ai vent'anni e in seguito trovarono la vita in quella che era pure casa loro così invivibile che si trasferirono in Toscana. Solo Filippo, un bambino simpatico e accattivante che era riuscito a entrare nelle buone grazie della matrigna, rimase in casa.

Teresa iniziò subito una guerra aperta con la suocera, avvelenando gli ultimi anni della vecchia signora, che morì nel 1841. Anche Tommaso Grossi, nonostante fosse stato l'artefice del matrimonio, dopo qualche anno preferì lasciare via del Morone. Per contro, Alessandro Manzoni ebbe sempre un grande affetto per il figliastro Stefano, che lo ricambiò di cuore.

Dalla gravidanza al biennio rivoluzionario [modifica]

Gli anni passavano: nel 1844 Teresa sembrò ammalarsi di un tumore che non lasciava speranza. Almeno così avevano decretato i medici, ma nel febbraio 1845 il "tumore" si rivelò per quello che era: una gravidanza. Nacquero due gemelline, che però non superarono il giorno di vita. Teresa non si riprese mai da quel parto a sorpresa: cominciò da allora il grave ed effettivo peggioramento del suo stato di salute.

Quando arrivò il biennio rivoluzionario (1848-1849), Manzoni e Teresa si trasferirono nella villa di lei, a Lesa, che faceva parte dello stato sabaudo. Frattanto lo scrittore aveva subìto diverse traversie economiche, l'ultima delle quali causata dall'incendio che aveva distrutto le cascine e gli opifici annessi alla villa di Brusuglio (1848). In queste circostanze l'appoggio economico della moglie gli fu di grandissimo aiuto.

Gli ultimi anni [modifica]

Teresa era sempre stata ipocondriaca ma a partire dal 1845, dopo il parto gemellare, si ammalò realmente finché si ridusse su una sedia a rotelle, con le gambe atrofizzate. Il suo stato di salute declinò per diversi anni e morì il 23 agosto 1861. Manzoni prese il lutto con rassegnazione: del resto non era il solo da lui patito. Prima di lei, oltre ad Enrichetta e Giulia Beccaria, erano morti i figli Giulietta (1834), Cristina (1839), Sofia (1845), Matilde (1856), nonché tanti amici.

Teresa lasciava il figlio Stefano erede universale. Ma quell'uomo ancor giovane non volle richiedere indietro all'amato patrigno Alessandro la dote della madre, come avrebbe pur potuto fare. Stefano finì poi per sposare una delle cameriere che si erano prese cura di Teresa declinante, di nome Elisa Cernelli: rimase vedovo nel 1905 e morì nel 1907.

 
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Enrichetta Blondel

Post n°1498 pubblicato il 29 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Enrichetta nacque da Maria Mariton, una calvinista di origini francesi, e da François-Louis Blondel (1749-1812), un agnostico industriale svizzero, imparentato con dei banchieri ginevrini, emigrato in Italia nel 1771.La coppia oltre a Enrichetta ebbe altri sette figli. Blondel si stabilì prima a Bergamo e poi a Casirate, dove fondò un'industria tessile e avviò il commercio della seta, dai primi anni dell'Ottocento si stabilì a Milano in una casa acquistata dal conte Carlo Imbonati.

Malgrado le opinioni in materia di religione dei genitori, Enrichetta venne battezzata nella parrocchiale di Casirate.

Targa sulla chiesa parrocchiale di Casirate d'Adda in ricordo del battesimo di Enrichetta Blondel

A Milano fece scarsi studi - la sua conoscenza del francese, la lingua di famiglia, è molto imperfetta - e vi conobbe nel 1807 Alessandro Manzoni, figlio di Giulia Beccaria la quale, amante di Carlo Imbonati, aveva avuto occasione di frequentare i Blondel.

I due giovani si sposarono a Milano l'8 febbraio 1808 nella casa del Manzoni sia civilmente che con rito calvinista. A Parigi, dove si erano recati in giugno, il 23 dicembre nacque la prima figlia Giulia Claudia: la bambina fu battezzata secondo il rito cattolico per volontà del padre.

A seguito della richiesta del Manzoni, il 18 novembre 1809 papa Pio VII autorizzò la celebrazione del matrimonio cattolico, avvenuto il 15 febbraio 1810 nella casa dell'ambasciatore del Regno d'Italia in Francia Ferdinando Marescalchi, mentre Enrichetta entrava ufficialmente a far parte della comunità cattolica dopo aver pronunciata formale abiura del calvinismo nella chiesa parigina di Saint-Severin il 22 maggio. L'abiura provocò una dura reazione da parte della madre di Enrichetta, che arrivò a definire la figlia " ingrata e spergiura" e la scacciò dalla famiglia. Enrichetta soffrì moltissimo, dato che era molto legata a tutti i suoi e ne sentiva la mancanza: solo la mediazione del fratello Carlo, impietosito dal suo dolore, fece sì che la madre ammorbidisse la sua posizione ed Enrichetta fosse riammessa nella famiglia d'origine.

Il cattolicesimo della Blondel fu, sia per la sua stessa formazione protestante che per l'influsso del suo istruttore, l'abate Eustachio Degola, permeato fortemente di giansenismo.

La sua conversione influì molto nella decisione di Manzoni di riavvicinarsi alla fede[1]. È una protagonista dell'episodio forse leggendario del "Miracolo di San Rocco". Durante i festeggiamenti per le nozze fra Napoleone e Maria Luisa d'Austria (aprile 1810), i coniugi Manzoni, a passeggio nel centro di Parigi, furono divisi dalla folla festante. Alessandro, angosciatissimo perché non trovava più la sposa e per di più sofferente di agorafobia, si rifugiò nella chiesa di San Rocco ove ebbe l'illuminazione a convertirsi:poi, uscito dalla chiesa, si imbatté subito proprio nella giovane moglie!

Ritornati in Italia in giugno, Enrichetta condusse una vita incentrata sulla famiglia, fatta di continue gravidanze e di molte malattie: particolarmente gravi quelle avute nel 1821 dopo la nascita della figlia Clara e nel 1830, dopo la nascita di Matilde. Enrichetta ebbe dieci figli:

  • Giulia Claudia (23 dicembre 1808 - 20 settembre 1834),
  • Luigia Maria Vittoria (nata e morta il 5 settembre 1811),
  • Pier Luigi (21 luglio 1813 - 28 aprile 1873),
  • Cristina (23 luglio 1815 - 27 maggio 1841),
  • Sofia (12 novembre 1817 - 31 marzo 1845),
  • Enrico (7 giugno 1819 - 28 ottobre 1881),
  • Clara (12 agosto 1821 - 1º agosto 1823),
  • Vittoria (17 settembre 1822 - 15 gennaio 1892),
  • Filippo (18 marzo 1826 - 8 febbraio 1868),
  • Matilde (30 maggio 1830 - 30 marzo 1856).

Tuttavia Enrichetta non fu mai una donna spenta e ininfluente: fu anzi il centro e il motore della famiglia, adorata da Alessandro ed anche dalla suocera, la pur esigente Giulia Beccaria, che la considerava una vera figlia.

Divenuta quasi cieca, la Blondel morì nella villa di Brusuglio il 25 dicembre 1833. Lo strazio di Alessandro Manzoni fu tale che non gli riuscì mai di completare l'ode che si era accinto a scrivere per la morte della moglie "Natale 1833", ode che infatti ci è giunta solo in frammenti carichi di dolore e angoscia.

 
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Giulia Manzoni Beccaria

Post n°1497 pubblicato il 29 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Giulia Beccaria è stata a lungo conosciuta soltanto in quanto figlia (del grande Cesare) e madre (del grande Alessandro Manzoni). E come madre è stata dai più accusata e criticata.
Solo le ultime ricerche biografiche hanno ricostruito la sua reale condizione, di figlia-vittima dell’avarizia e dell’incoerenza ideologica del padre, e di madre dedita al genio del figlio ‘ritrovato’ fino all’annullamento della propria personalità.
Giulia Maria Anna Margarita Beccaria nasce a Milano il 21 luglio 1762 nella casa del nonno, il marchese Giovanni Saverio che ha appena perdonato e riaccolto in famiglia il padre della piccola, il primogenito Cesare, colpevole di avere sfidato le tradizioni e la sua autorità per sposare una ragazza di 17 anni, Teresa de Blasco, dalla dote e dalla condizione sociale inadeguata. Paciere e protettore della giovane coppia e della neonata è Pietro Verri, grande amico di Cesare. La bambina viene chiamata Giulia in onore dell’eroina di Rousseau (Julie ou la Nouvelle Eloise) di cui il padre e Pietro sono entusiasti lettori.
Quando la figlia ha due anni Cesare Beccaria pubblica il saggio Dei delitti e delle pene che, subito tradotto in francese, lo renderà celebre tra gli enciclopedisti francesi e gli illuministi di tutta Europa.
La madre di Giulia è bella e frivola, ama la vita mondana; ha, come d’uso a quei tempi, un cavalier servente col consenso implicito del marito. Si occupa poco o niente di Giulia come di Marietta, la secondogenita malaticcia che nascerà nel 1776 e che vivrà sempre reclusa in famiglia. Giulia non ha ancora 12 anni quando la madre muore di sifilide.
Nonostante le sue idee illuminate, Cesare Beccaria allontana da casa la primogenita, rinchiudendola nel collegio annesso al convento di San Paolo. Di lei scrive in una lettera Pietro Verri, (che l’ha definita altrove ‘impazientissima’) «è una giovane sana, sensibile, d’un carattere vivo e impetuoso, figura proporzionata e robusta, immaginati come ella soffra il lungo carcere di San Paolo!» Da quel carcere Giulia uscirà solo a 18 anni compiuti, dopo aver ricevuto dalle suore la scarsissima istruzione destinata alle ragazze dei suoi tempi. È bella e inquieta, ha i capelli rossi e gli occhi verdegrigi, è vivace, intelligente e appassionata.
Il padre intanto si è risposato e ha un figlio maschio. La primogenita costituisce per lui un fastidioso problema; non vuole, e forse non può, spendere per farle la dote.
Dopo un primo momento in cui parla di prendere i voti, Giulia comincia a frequentare il salotto di Giovanni Verri, fratello minore di Pietro, dove intellettuali di varia estrazione, ragazze aristocratiche e persino ballerine si riuniscono a suonare il clavicembalo e a discutere di filosofia. Giulia è affascinata dal padrone di casa che, a 36 anni è un uomo dal passato romanzesco: da giovane, come Cavaliere di Malta è stato nel Mediterraneo a combattere i pirati barbareschi; solo l’avarizia dei ‘vecchi di casa’ gli aveva impedito di armare una propria nave e dedicarsi alla navigazione. Giovanni Verri è un gran donnaiolo, ma di Giulia si innamora seriamente, e lei lo ricambia con trasporto. Tra i due nasce una relazione, ma Giovanni, ultimogenito, non si può sposare per non disperdere il patrimonio familiare. La società milanese in quegli anni concede una grande libertà sessuale alle donne sposate, ma non alle ragazze nubili. Spaventato all’idea che Giulia possa restare incinta, il padre le combina in gran fretta un matrimonio con l’anziano conte Pietro Manzoni, del quale si dice in giro che sia impotente. Incurante della felicità di Giulia, il padre mercanteggia sulla dote, che riesce a ridurre al minimo. Non contento, costringe la figlia a rinunciare all’eredità materna, lasciandola completamente alla mercé del marito anche per quanto riguarda il corredo e gli abiti. Nessun familiare assiste al matrimonio di Giulia, che viene celebrato il 20 ottobre 1782. Il conte Manzoni porta la giovane e ‘impazientissima’ sposa a vivere in una casa buia e triste, piena di parenti bigotti. Lui stesso è grigio e bigotto, senza alcun interesse per la cultura che invece Giulia coltiva con passione. Così, privata di ogni consolazione sentimentale, sessuale e intellettuale, la ragazza cerca conforto nella relazione con Giovanni Verri, che adesso può continuare senza problemi, seguendo l’esempio della madre e della zia paterna, sposata al conte Isimbardi, ma di cui proprio Pietro Verri è da anni il cicisbeo. Il 7 marzo 1785 Giulia mette al mondo un bambino, Alessandro, che tutti i milanesi sanno essere figlio di Giovanni Verri e non del vecchio Manzoni, che però lo riconosce e lo alleva come suo. Per più di un secolo i critici bigotti, non potendo ammettere che il più grande scrittore cattolico fosse un bastardo, daranno come certa questa versione o al massimo accenneranno a un dubbio, mentre per i contemporanei la paternità del Verri era una certezza. Giulia, seguendo l’esempio concreto e non le teorie di Rousseau, lo manda subito a balia in campagna e ce lo lascia fino a che il piccolo non compie due anni. In casa Manzoni è una zia suora smonacata a occuparsi del piccolo Alessandro, che nel 1791 verrà messo in collegio dai padri somaschi di Merate. Prima della partenza Giulia lo accompagnerà a rendere omaggio al celebre nonno Beccaria, unico incontro malinconico tra i due intellettuali che segneranno così profondamente la cultura italiana.
I rapporti tra padre e figlia non sono buoni: Giulia sopporta sempre peggio la cupa atmosfera di casa Manzoni e l’assoluta mancanza di denaro e ne incolpa il padre. Dal 1788, anno in cui è morta la sorella Marietta, è in lite con Cesare per rivendicare l’eredità materna. Anche i rapporti tra Giulia e Giovanni Verri col tempo si sono guastati; lui ha un’altra amante.
Ma finalmente un incontro fortunato imprime una svolta fondamentale alla vita finora così triste della giovane donna. LUI è il conte Carlo Imbonati, che ha undici anni più di Giulia, è scapolo, bellissimo, colto e straordinariamente ricco. Da bambino ha avuto per precettore l’abate Parini (che gli ha dedicato diverse odi), simpatizza per la Rivoluzione francese e possiede una rarissima e inusuale qualità, che tutti gli riconoscono, la bontà.
Nel 1791 tutti a Milano parlano della scandalosa decisione di Giulia, che rifiutando l’ipocrita costume che le consentirebbe, da sposata, cavalier serventi e cicisbei, ha chiesto la separazione dal conte Manzoni. Per ottenerla, Giulia deve fronteggiare molti ostacoli, e scriverà: «faccio uso di quella sola cosa che nessuno può darmi né togliermi cioè una fermezza di carattere che mi fa dire la verità sempre nello stesso tuono con chiunque io parli». La separazione viene sancita nel febbraio del 1792. Giulia è tenuta ad abitare con un anziano zio materno.
Il padre, che ha sempre continuato a negarle l’eredità, nel 1794 muore. Giulia prosegue la lite col fratello e nel 95 si arriva a un accordo, che le garantisce una piccola rendita.
Finalmente padrona di se stessa, nel 1796 la nostra eroina parte con Carlo Imbonati per Parigi, dove la coppia ‘irregolare’ trascorrerà i nove anni più felici della vita di Giulia. I due frequentano amici intellettuali con cui hanno molte affinità, ospitano italiani illustri come Vincenzo Monti, viaggiano in Svizzera e in Inghilterra.
Nel frattempo il figlio di Giulia è uscito di collegio e a Milano conduce una vita dispersiva. Carlo Imbonati, preoccupato che Alessandro sciupi così il suo talento, lo invita a raggiungerli a Parigi. Ma prima che il giovanotto vinca dubbi e tentennamenti, un fulmine sconvolge la vita felice della madre: il 15 marzo 1805, Imbonati muore improvvisamente. Sebbene abbia sette sorelle e molti nipoti, Carlo lascia tutto il suo enorme patrimonio alla compagna «per la costante e virtuosa amicizia a me professata, dalla quale riporto non soltanto una compita soddisfazione degli anni con Lei passati, ma un’intima persuasione di dovere alle di lei virtù, e vero disinteressato attaccamento quelle tranquillità d’animo, e felicità, che mi accompagnerà fino al sepolcro.» Giulia è disperata. Solo l’arrivo del figlio le dà un po’ di conforto. I due, che nel passato non avevano avuto che pochi rapporti formali, scoprono di avere molte affinità e un grande affetto reciproco. Giulia è decisa a dedicare tutta la sua vita e la nuova ricchezza alle aspirazioni artistiche e letterarie di Alessandro. Adesso che grazie alla generosità di Carlo Imbonati non ne avrebbero più bisogno, il patrimonio di entrambi viene arricchito (moderatamente) dalla morte del vecchio conte Manzoni, che aveva sempre considerato Alessandro come suo figlio e gli lascia tutti i suoi beni, includendo Giulia nei legati.
Invaghiti dall’ideale romantico della felicità domestica, madre e figlio decidono ‘a freddo’ che per la tranquillità di quest’ultimo, è bene che si sposi. Si mettono alla ricerca di una moglie adatta e la trovano nella sedicenne Enrichetta Blondel, figlia di un mercante calvinista svizzero radicato a Milano. Le nozze vengono celebrate il 6 febbraio 1808 e in dicembre nasce a Parigi una bambina che viene battezzata col nome della nonna. Giulia e Alessandro sono agnostici, ma il fervore religioso di Enrichetta li trascina alla ‘conversione’. Sempre ai fini dell’armonia domestica si faranno tutti e tre cattolici e, una volta tornati a vivere a Milano, si metteranno sotto la direzione spirituale del rigorosissimo abate Tosi. Nonostante la durezza della pratica religiosa imposta da costui ai tre convertiti, i rapporti tra Giulia e la nuora sono idilliaci. Entrambe vivono solo per facilitare la vita del genio di famiglia. In ventidue anni Enrichetta affronta 15 gravidanze e dodici parti – con sette figli sopravissuti - che ne minano gravemente la salute. Giulia si fa carico di tutte le spese e di tutte le incombenze materiali e organizzative della piccola tribù e fa vita ritirata, frequentando solo i pochi amici rimasti affezionati a lei e al figlio. Alessandro scrive e riscrive quelli che saranno I Promessi sposi e si fa accompagnare da tutta la famiglia a Firenze per "risciacquare i panni in Arno". La pubblicazione del romanzo lo rende famoso. Giulia adora i nipoti e si occupa della loro educazione con tenerezza. Quando nel 1833 Enrichetta muore, è la nonna a farsi carico di tutti quei bambini e adolescenti.
Pensando di dar loro una nuova madre, e un nuovo affetto ad Alessandro, nel 1837 Giulia sceglie per lui una vedova di mezza età, Teresa Borri Stampa. Ma questa volta la scelta non è felice come la prima: i rapporti con la nuora diventano presto tesi e ostili. Alessandro è succube della moglie, non difende la madre e trascura i figli. La famiglia è colpita da una serie di lutti, due delle nipoti, sposate giovanissime, muoiono pochi anni dopo le nozze.
Il 7 luglio 1841, avvilita e amareggiata, muore anche Giulia, all’età di settantotto anni e quando scompaiono coloro che l’hanno conosciuta, apprezzata e amata, comincia a formarsi su di lei la leggenda nera che la vuole ‘bisbetica, calunniatrice, pessima madre, interessata, promiscua in amore e contemporaneamente bigotta’, secondo il giudizio di Lombroso, ripreso e condiviso da molti altri biografi. Solo nella seconda metà del Novecento gli studiosi, attingendo direttamente alle sue carte e a quelle di chi la conobbe, cominciano l’opera della sua riabilitazione.

 
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Teresa Blasco

Post n°1496 pubblicato il 29 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Teresa Blasco Quell' amore contrastato e poi traditoNonna di Alessandro Manzoni, ebbe quattro figli: uno fu concepito fuori dal matrimonio Morì di sifilide non ancora trentenne Era sensibile ai corteggiamenti e alle lusinghe Pietro Verri la chiamava «ninfa» All' inizio la vita coniugale fu difficile tra ristrettezze finanziarie e privazioni Dopo vennero i salotti

 

Teresa Blasco, la nonna del Manzoni, non era uno stinco di santo. Lieve come una piuma, gli occhi più attenti alla moda di Parigi che ai libri sapienti, il sangue ribollente, sensibile ai corteggiamenti e alle lusinghe e fossero stati soltanto quelli. Il giuramento Cesare Beccaria, il nonno del Manzoni, l' autore Dei delitti e delle pene, gran libro della storia del mondo civile, se ne invaghì, pronubo il maestro di cappella Carlo Monza, detto il Monzino, che dava a entrambi lezioni di musica. Milano, 28 settembre 1760. Teresa Blasco aveva 16 anni, Cesare Beccaria ne aveva 22. «Io sottoscritto prometto e giuro avanti Dio e sulla parola di cavaglier d' onore alla signora Teresa de Blasco di sposarla in qualunque maniera, e qualunque contrasto mi venga fatto dalla parte de' parenti questa mia promessa intendo che abbia forza come se fosse rogata con pubblico istromento. Così Dio, che vede l' intimo del mio cuore e la rettitudine delle mie intenzioni, mi sia propizio, ed in fede Marchese Cesare Beccaria Bonesana». Dalla parte de' parenti i contrasti furono accesi. La famiglia Beccaria, ammessa da poco e con sottili artifizi al patriziato, non godeva di buona salute finanziaria, pressata com' era dai debiti e dai fedecommessi. Lamentava, dimentica della propria condizione o proprio per questo, la piccola nobiltà dei Blasco - fece condurre un' indagine da un genealogista di Firenze - lamentava soprattutto l' esigua disponibilità patrimoniale della famiglia della sposa perché una buona dote avrebbe sanato ogni difficoltà. I Blasco, originari del regno di Castiglia e d' Aragona, si erano insediati in Sicilia, a Messina. Il padre di Teresa, Domenico, era Tenente colonnello degli Ingegneri della Brigata d' Italia. Tra i suoi nove fratelli, due erano domenicani, altri due anch' essi militari, entrati nell' esercito imperiale nel periodo di soggezione del Regno di Sicilia agli Asburgo. A Milano si erano integrati nella società del tempo, non malamente se possedevano due ville in campagna, a Pizzighettone, sull' Adda, e a Gorgonzola, poco lontano da Gessate dove i Beccaria soggiornavano di frequente. Il conflitto, nutrito dalle ragioni del denaro e dell' ascesa e della discesa sociale e aggravato dall' origine forestiera dei Blasco, fu furibondo. Il marchese Gian Saverio Beccaria riuscì a ottenere gli arresti domiciliari del figlio ribelle nel palazzo della Contrada di Brera, al numero 6, dove Cesare rimase poco meno di tre mesi fin quando fu liberato dal Vicario di Giustizia. Fu allora che il giovane scrisse alla promessa sposa lettere in cui rinnegava la scelta del matrimonio per «l' invincibile dissenso del padre». Tornò sui suoi passi, si ricredette, inviò lettere appassionate, pensò a un «matrimonio di sorpresa» come Renzo e Lucia nei Promessi Sposi. Il 2 febbraio 1761 i due si sposarono. Ma la vita era grama, mancavano i soldi, i genitori vestivano a lutto, il padre aveva diseredato il figlio. Nonostante le strazianti preghiere al carissimo signor padre: «La supplico per le viscere di Gesù Cristo di non più oltre impedirmi l' esecuzione di questo matrimonio, né di più ulteriormente violentare la mia volontà e la mia coscienza». Il marchese padre non mutò giudizio. Cesare Beccaria scrisse allora due lettere al conte Carlo Giuseppe di Firmian, ministro plenipotenziario d' Austria a Milano: era «ridotto all' ultima desolazione», «ridotto all' ultima mendicità»; «costretto di vivere in continue strettezze per dovere fare casa da sé, senza che il padre gli somministri li dovuti alimenti necessari al supplicante e sua famiglia, il che dall' Eccellenza Vostra implora e spera». Scriveva anche: «Ora mi trovo colla moglie vicina al parto, con mille lire annue di solo assegnamento per vivere, circondato dalla miseria e dalla disperazione: prendo l' unico partito che mi resta, ed è di presentarmi colla moglie a' piedi di mio padre e cercare se lo spettacolo della mia rovina e le mie lagrime possono far parlar la natura. Vado quest' oggi umiliato e mendico ad implorare dalla carità di mio padre un posto per me e per mia moglie a quella tavola dove ogni giorno si usa ospitalità cogli estranei; vado a cercare ricovero in quelle stanze altre volte destinate a me ed ora vuote». La messa in scena fu efficace. Tra commedia dell' arte, tragedia e melodramma. Una sera, all' ora di cena, il marchese padre e la moglie Maria furono colti di sorpresa dal figlio mandato in esilio accompagnato dalla moglie. Cesare recitò con tono compito le sue parole di scusa, Teresa che aveva in grembo Giulia, la futura madre del Manzoni, svenne. Il ciglio asciutto dei marchesi si inumidì. I due sposi andarono ad abitare in via Brera nel palazzo severo e grigiastro dove ora, sopra il balcone e le finestre del primo piano, spuntano i medaglioni con i volti di Cesare Beccaria, di Pietro Verri, di Giuseppe Parini e di altri che furono i protagonisti dei fervori del Settecento, tra l' Accademia dei Pugni e Il Caffè, la Milano dei lumi che sembra far presentire gli slanci della Milano romantica, con le sue grandi opere - I promessi Sposi uscirono nel 1827 - e la sua intelligente, colta e progressiva classe dirigente. (Nella magnifica Edizione nazionale delle Opere di Cesare Beccaria, diretta da Luigi Firpo e Gianni Francioni, promossa da Mediobanca, dal 1984, sono raccolti in dieci volumi gli scritti e i documenti del grande illuminista lombardo). I giovani sposi Beccaria, ora, frequentavano i salotti. Pietro Verri, non insensibile alle sue grazie, chiamava Teresa Blasco «la marchesina» o «la ninfa». Nelle lettere al fratello Alessandro raccontò come in quelle festose serate gli sguardi si appuntassero su di lei: «Le cinquanta nobili matrone fissavano gli occhi sul suo copricapo appena venuto da Parigi quasi fosse l' apparizione di una prodigiosa cometa». Non era tenero, Pietro Verri, con Teresa. Definita «la ninfa», «quella testina» o, a volte, «la coglioncellina». Era geloso anche di Cesare: le sue Meditazioni sulla felicità pubblicate nel 1763 non avevano avuto di certo il successo immenso che in tutta l' Europa toccò a Dei delitti e delle pene pubblicato l' anno successivo. Nel 1766 Cesare Beccaria e i fratelli Verri - tutti quei nomi illustri, Beccaria, Manzoni, Verri, sembrano usciti, per un gioco del caso, da una pregiata macelleria milanese - andarono a Parigi. Il Beccaria fu accolto dai filosofi e dai giuristi sommi con i segni della gloria dovuta ai grandi. Conobbe d' Alembert, Diderot. Ma aveva il verme della lontananza nel cuore. A Teresa scriveva lettere appassionate: «Non credeva di amarvi tanto». «Sono in mezzo alle adorazioni, agli encomi, i più lusinghieri, considerato come compagno e collega dei più grandi uomini dell' Europa, guardato con ammirazione e con curiosità (...) e pure io sono infelice e malcontento perché lontano da te». I corteggiatori Teresa gli scriveva lettere più piatte, gli parlava della Marrianina e di Tognio, i domestici di casa Beccaria, gli parlava ogni volta del Calderara, il marchese Bartolomeo Calderara, del suo star bene, del suo star male e delle sue ville di delizia sul lago di Como. Già, perché di corteggiatori, Teresa ne aveva avuti parecchi, ricambiati, ma il marchese era l' amante. I Beccaria e Bartolomeo avevano instaurato una specie di ménage à trois. E uno dei quattro figli, Annibale, fu concepito quando Cesare si trovava a Parigi. Tra l' ironia dei Verri. Teresa Blasco morì il 14 marzo 1774, di mal francese, non ancora trentenne. Il grande amore doveva essere finito da tempo. Cesare Beccaria si risposò, tre settimane dopo la morte di Teresa, con Anna Barbò, gentildonna di un' antica nobile famiglia cremonese. «Amabilissimo sposo - scrisse Anna a Cesare -, la signora madre m' incarica di dirvi che sembra a lei non conveniente l' andare vestito a lutto a partecipare il matrimonio, e però ha dato a me il piacere di prevenirvi, acciò abbiate tempo di cambiare l' abito». Sposò Cesare Beccaria contro il volere della famiglia. Il marchese Calderara divenne il suo amante

 

 
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Ho conosciuto in te le meraviglie (Merini)

Post n°1495 pubblicato il 29 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Ho conosciuto in te le meraviglie
meraviglie d'amore sì scoperte
che parevano a me delle conchiglie
ove odorano il mare e le deserte
spiagge corrive e lì dentro l'amore
mi son persa come alla bufera
sempre tenendo fermo questo cuore
che (ben sapevo) amava una chimera.

 
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Libri dimenticati:Una carezza nella polvere

Post n°1494 pubblicato il 29 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

La storia vera di Caroline Hicks,che dedicò la sua vita a cercare di dare nomi e tombe ai caduti della Guerra di Secessione

 
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Frase del giorno

Post n°1493 pubblicato il 29 Dicembre 2011 da odette.teresa1958

Dobbiamo abituarci all'idea:ai più importanti bivi della vita non c'è segnaletica (Hemingway

 
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Ciao, serena serata
Inviato da: RicamiAmo
il 01/08/2014 alle 18:11
 
Ciao per passare le tue vacanze vi consigliamo Lampedusa...
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Buon pomeriggio.Tiziana
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il 23/04/2014 alle 18:01
 
i gatti sono proprio così.:)
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questi versi sono tanto struggenti quanto veritieri. Ciao e...
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