Messaggi del 13/01/2012

Ma che musica,maestro!

Post n°1624 pubblicato il 13 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Sia chiaro,lettori miei,io amo la musica.Ma quando la musica diventa strazio mi altero leggermente e protesto.
Con chi ce l'ho?Con Mariaeufemia e Wolfango Saponacci,ecco con chi, e viassicuro che non sono il solo.
Ma andiamo per ordine sennò mi ci mandate e fareste pure bene.
Come ricorderete,farmacista di S.Tobia è il dott.Callisto Saponacci,marito e padre di questi due esseri
Dell'insana mania della Mariaeufemia per i profumi ho già parlato,ma quello di cui non vi ho parlato è la smodata passione di madre e figlio per la musica: una si crede l'erede della Callas,l'altro il nuovo Mozart.In realtà la prima è stonata come una campana e sul secondo è d'uopo stendere un velo pietoso.
A causa loro S.Tobia ha vissuto una settimana di passione che passo a raccontarvi nei minimi dettagli da bravo cronista par mio ,modestia a parte.
LUNEDI'- Stanotte alle 3,colto dall'ispirazione,Wolfango si è messo al pianoforte,cominciando a martirizzare il povero strumento e le orecchie dei paesani.
Berengario,azzardatosi a suonare il campanello per protestare,è stato zittito con un vaso di fiori che lo ha lasciato come morto.Lo strazio si è protratto fino alle 9 del mattino
MARTEDI'- Stamattina all'alba urla disumane hanno di nuovo buttato giù dal letto i paesani.
Era la Mariaeufemia che faceva i vocalizzi.
Non vi riferisco i commenti perchè il giornale può finire in mano ai bambini
MERCOLEDI'- Wolfango ,ahinoi,suona anche il violino.
Oggi da casa Saponacci provenivano miagolii così strazianti che qualcuno ha avvertito la polizia che in quella casa si stava torturando una povera bestia.
Cuccurullo,scapicollatosi,si è sentito dire da una stizzita Mariaeufemia che il figlio stava esercitandosi e aveva bisogno della massima concentrazione.
GIOVEDI'-Oggi abbiamo scoperto che Wolfango suona anche la grancassa e che la Mariaeufemia lo accompagna con i piatti.
Stamattina all'alba madre e figlio hanno deliziato noi,pratesi e pistoiesi con un delizioso concertino,accompagnati dai 15 pelosissimi,pulciosissimi e ringhiosissimi cani di Geppo.
La Clementina,convinta che fosse arrivato il giorno del giudizio,si è buttata nel pozzo.
VENERDI'- Oggi i paesani sono stati svegliati da un violento crepitio di mitraglia.Pensando che fosse scoppiata la terza guerra mondiale il Trombettoni si è barricato in cantina,Geremia si è chiuso in una bara e Astorre,sfidando il pericolo,si è nascosto nella stalla di Cesarone.
In realtà Wolfango suonava le nacchere e la Mariaeufemia ballava il flamenco.
I moccoli si sono sentiti fino al Vaticano e Benedetto XVI ha denunciato i paesani per inquinamento acustico.
SABATO-Wolfango ha composto un'opera lirica per solo soprano,naturalmente avendo in mente la genitrice.Oggi si sono messi a provare il capolavoro dalle 5 del mattino fino alle 2 di notte.
18 paesani colti da crisi isterica sono ricoverati in ospedale a Pistoia,34 hanno un'emicrania da Guinness e gli altri,neonati compresi,girano con i tappi o le cuffie
DOMENICA- Stamattina,quando i Saponacci stavano per fare il bis, i paesani imbufaliti hanno circondato casa loro armati di doppiette,forconi,mattarelli e altri corpi contundenti.
La porta è stata sfondata,il piano gettato dalla finestra e bruciato fra grida di giubilo.Il violino è stato buttato nel water,grancassa e piatti nel fiume.
Legati e imbavagliati,i Saponacci sono stati schiaffati sul primo treno in partenza.
I paesani hanno festeggiato fino a tarda notte.
Sono passate due settimane.
La Clementina è ricoverata nella clinica Luminaris:aspetta da un momento all'altro che l'angelo Gabriele arrivi su una nuvola a forma di moto per portarla in Paradiso da viva.
I cani di Geppo sono seguiti da uno psichiatra.
Alfredino è ancora in cantina,Geremia nella bara e Astorre nella stalla.
Dei Saponacci nessuna notizia.
Cos'altro ci riserva il futuro,lettori miei?
Con questo inquietante interrogativo,passo e chiudo

 
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Scrittori dimenticati:Lucio Mastronardi

Post n°1623 pubblicato il 13 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

ucio Mastronardi nasce a Vigevano da madre lombarda[2], maestra elementare, e da padre abruzzese di Cupello provincia di Chieti, ispettore scolastico messo anticipatamente a riposo per le sue idee politiche dal Ministero della Pubblica Istruzione. A causa del carattere spigoloso e poco incline alla disciplina, dei trascorsi politici del padre, di un prevenuto ostracismo e silenziose (ma per questo non meno gravi) discriminazioni provenienti dall'interno del mondo della scuola, il percorso scolastico del giovane Mastronardi risulta oltremodo difficoltoso; dopo varie vicissitudini e una momentanea iscrizione al Ginnasio Cairoli passa alle magistrali e consegue da privatista il diploma di maestro elementare.

Mastronardi insegna per un breve periodo in forma precaria come supplente nella scuola carceraria di Vigevano, nel 1955 diventa insegnante di ruolo con incarichi nelle scuole elementari prima a Casorate Primo e poi a Vigevano. Raggiunta con il lavoro fisso di maestro una tranquillità economica, Mastronardi si dedica con entusiasmo a scrivere di narrativa, nella quale intimamente si sente più appagato, e nelle pagine del Corriere di Vigevano gli viene pubblicato Quattro racconti; intanto inizia a scrivere le bozze del suo primo romanzo, conosce Elio Vittorini il quale vede nel giovane Lucio ottime qualità di narratore, incoraggiandolo a proseguire la stesura del romanzo Il Calzolaio di Vigevano, che viene poi pubblicato nel 1959 sul primo numero del Il Menabò, rivista letteraria a circolazione ristretta per addetti ai lavori che procura a Mastronardi attenzione e considerazione dalla critica; si ricorda in particolare una favorevole recensione di Eugenio Montale sul Corriere della Sera del 31 luglio 1959.

Il romanzo, ripreso in seguito e pubblicato per la casa editrice Einaudi nella collana i Coralli, è il primo di tre libri di una trilogia vigentina; seguiranno Il maestro di Vigevano finito di scrivere nel 1960 e pubblicato due anni dopo grazie alle referenze questa volta di Italo Calvino, e Il meridionale di Vigevano terminato nel 1963 e pubblicato nel 1964.

Le storie ben delineate, il ritratto crudele e spietato della “capitale della calzatura” inserite in seguito nella sceneggiatura del film Il maestro di Vigevano di Elio Petri con Alberto Sordi suscitarono polemiche molte accese, non solo in ambito locale, e qualcuno con un po’ di cattiveria mista a un crudo realismo, trovando delle affinità caratteriali con i personaggi di Giovanni Verga, definì la trilogia i Malavoglia del boom economico italiano.

Mastronardi inizia una proficua collaborazione con il quotidiano L'Unità, ma la notorietà e la grande considerazione della critica, non vanno di pari passo con il suo instabile e suscettibile carattere, molto litigioso; in uno dei suoi spostamenti con il treno litiga con un ferroviere, viene arrestato e condannato a due anni di manicomio criminale in contumacia. In seguito trasferito ad Abbiategrasso, dispensato dall'insegnamento, relegato a un lavoro non molto soddisfacente di segreteria, chiede, e viene subito accontentato, di essere trasferito come bibliotecario a Milano.

L'arrivo a Milano sembra giovare alla sua instabilità emotiva, gli ritorna la voglia di scrivere e con la casa editrice Rizzoli pubblica il racconto La ballata del vecchio calzolaio (1969) e il suo ultimo romanzo, A casa tua ridono (1971); seguono la raccolta di racconti L’assicuratore (1975) e Gente di Vigevano (1977), che raccoglie i primi tre romanzi e due racconti estratti da L’assicuratore.

Mastronardi, quando nel 1972 viene richiamato a insegnare di nuovo ad Abbiategrasso, innervosito, si scaglia con virulenza contro il direttore scolastico; il diverbio gli costa, dopo la denuncia per oltraggio a pubblico ufficiale, la prigione: tre giorni nel carcere di San Vittore, quattro mesi con la condizionale, ma anche una profonda prostrazione che porta a peggiorare il suo già instabile equilibrio mentale.

Nel 1974, dopo un periodo di lucidità dove aveva trovato il modo anche di sposare una collega, tenta il suicidio gettandosi dal balcone di casa, e nemmeno la nascita nel febbraio del 1975 della figlia riesce a dare un valore alla sua vita e placare il senso d'inquetitudine che lo perseguita.

Mastronardi viene ricoverato al Policlinico di Pavia nel dicembre 1978 e dopo aver appreso di una diagnosi non rosea di neoplasia polmonare, si allontana disperato quasi fuggendo dall'ospedale; il 4 gennaio 1979 fa pervenire una lettera alla Rizzoli, nella quale informava la casa editrice di aver terminato la stesura di un romanzo, mai ritrovato e rimasto fino a oggi inedito.

La mattina del 24 aprile 1979 esce per una passeggiata, ma non ritorna a casa: alcuni testimoni affermano di aver visto lo scrittore passeggiare avanti e indietro sul ponte del Ticino, le ricerche si focalizzano sul fiume e la domenica dopo il 29 aprile, il suo corpo esanime venne ritrovato sul greto del fiume da un pescatore.

 
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Scrittori dimenticati:John Galsworthy

Post n°1622 pubblicato il 13 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

ohn Galsworthy è il secondogenito di quattro figli di una ricca famiglia del Surrey. Figlio di un avvocato di successo, studia all'antica scuola di Harrow (vi aveva studiato Lord Byron all'inizio del precedente secolo) e poi al New College di Oxford dove consegue il diploma in legge nel 1889. In seguito passa al Lincoln's Inn di Londra.

Si dedica ben poco all'attività professionale preferendo all'attività paterna i viaggi. Viaggia dunque per il mondo con una vaga idea di approfondire gli studi di diritto internazionale.

Di ritorno dall'Australia conosce in nave Joseph Conrad, al tempo secondo di bordo, e ne nacque un'amicizia profonda e duratura. È da questo incontro che Galsworthy si avvicina alla letteratura. Apprezza i lavori di Turgenev, Tolstoj e Kipling. Tramite Conrad conosce il critico Edward Garnett.

Comincia così a pubblicare a sue spese, sotto lo pseudonimo di John Sinjohn, i primi lavori.

Inizia la stesura del suo capolavoro, la trilogia La saga dei Forsyte, nel 1906 con la pubblicazione de Il possidente (A man of property). Del 1920 è Nella ragnatela (In chancery) e dell'anno successivo l'ultimo capitolo della saga Affittasi (To let).

A questa fece seguito una seconda serie, Una commedia moderna (A modern comedy), scritta tra il 1924 e il 1928.

Noto anche per diverse opere teatrali, tra cui Justice del 1910, che riscosse tanto successo e suscitò tanto clamore da condurre ad una modifica della legislazione sulle prigioni inglesi.

 
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scrittrici dimenticate:Vicki Baum

Post n°1621 pubblicato il 13 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Vicki Baum was born in Vienna into a Jewish family, the daughter of Hermann Baum and Mathilde Donat. She spent her childhood in bourgeois surroundings, as "the single child of a good family", but in her memoirs she has revealed that due family problems her childhood was not particularly happy. Baum's father was tyrannical and her mother had mental problems. At the age of eight Baum started to study the harp. Her first stories appeared in print when she was fourteen. Baum studied music six years at the conservatory and was educated as a harp player. Baum's first marriage to the Viennese journalist in 1914 Max Prels (1878-1926) was short lived. Some of Baum's stories, which she had written for herself, Prels published under his own name. However, he also opened her doors to the Viennese culture scene and later helped her to get the novel DER EINGANG ZUR BÜHNE (1920) published by Ullstein. Baum's first literary work, FRÜHE SCHATTEN. DAS ENDE EINER KINDHEIT, was published by Erich Reiss Publishing Company in Berlin in 1914 and reissued in 1919. After divorcing, Baum went to Germany, where she played the harp for three years in an orchestra and worked as teacher in the musical high school in Darmstadt.

During World War I Baum worked for a short time as a nurse. In 1916 she married the Viennese-born conductor Richard Lert (1885-1980) of the Darmstadt orchestra, who had been her best friend since childhood. Baum gave up music as a profession and accompanied her husband from one town to another. In 1926 she went to Berlin, where she worked as an editor for the publishing company Ullstein-Velag. Baum's novels were serialized in the Berliner Illustrirte Zeitung.

"I want to be alone... I think I have never been so tired in my life." (Greta Garbo as Grusinskaya in Grand Hotel, 1932)

Baum's literary breakthrough novel, People in a Hotel (1929) made her one of Ullstein's leading authors. The story about a fading prima ballerina, shady nobleman, and other types who in one weekend pass through an elegant hotel, was told with an acute perception of minor detail. To gather material for the novel, Baum had taken a job as a parlourmaid in a hotel for six weeks. After the book came out, Baum dramatized the story for the Berlin stage. This play, under the direction of Gustav Gründgens, turned into a sensation and its English language adaptation by William Drake gained a huge success in New York in the early 1930s. Irving Thalberg, the famous MGM producer, got its synopsis in 1930. The role of Grusinskaya, an aging prima ballerina, seemed perfect for Greta Garbo. Joan Crawford was casted as the slut-stenographer, Flaemmchen. The last line of the picture was reserved for Dr. Otternschlag (Lewis Stone): "Grand Hotel. Always the same. People come, people go. Nothing ever happens." The gala opening of the film was held at Grauman's Chinese Theater in Hollywood. Grand Hotel won a Best Picture Oscar and later Crawford told the film was her first big chance. "They told me I wouldn't be able to hold my own with the big boys, against Garbo and the Barrymores. But I proved otherwise." In London moviegoers camped out on the pavement overnight outside the Palace Theatre so they could be the first to see the film.

"Adaptation of Vicki Baum's novel Menschen im Hotel is erratically acted by the male stars, but Garbo and especially Crawford, who was never more appealing, glow – as Hollywood stars once did." (from Guide for the Film Fanatic by Danny Peary, 1986)

STUD. CHEM. HELENE WILLFÜER (1928) portrayed in the character of Helene a New Woman type, a scientist, businesswoman, and an unmarried mother, who was rationalized, yet compassionate, but the other elements of the novel – an abortion, premarital sex, interracial love – shocked many readers. The book sold well and was adapted into a film Richard Oswald. In HELL IN FAUEMSEE (1930) Baum used the successful for mula of Grand Hotel. This time she collected a group of colourful people in a bathing establishment in Thüringen at the Alps. The protagonist, Urban Hell, is a poor but talented chemist, who works as swimming instructor, and becomes acquainted with an eccentric baroness, famous actress, and industrialist who has two beautiful daughters, May and Karla. After visiting Bali in 1935, Baum wrote LIEBE UND TOD AUF BALI (1937), about a family caught in the middle of the Puputan Badung War and massacre of 1906.

Following the rise of anti-Semitism, Baum emigrated in 1932 with her family to the United States. This second wave of emigration, with stars like Marlene Dietrich, directors such as Wilhelm Dieterle and Edgar G. Ulmer, and cameramen like Karl Freund, marked the end of the golden age of German filmmaking. After traveling around the country advertising her books and giving speeches at exclusive women's clubs, Baum settled in Los Angeles, where she was treated like a media star. Baum worked first under contract to Metro-Goldwyn-Mayer. Within a few years, two of her stories were made into movies: I Give My Love (1934), producted by Universal Pictures and directed by Karl Freund, and The Night Is Young (1935), produced by Metro-Goldwyn-Mayer and directed by Dudley Murphy. From 1933, Baum's books were banned in Hitler's Germany, but some of them were published in German in exile publishing houses.

Baum often depicted powerful, self-reliant women caught up the social and economic turbulence of the 20th-century Europe or the US. Starting in 1941 with THE SHIP AND THE SHORE she wrote all her books in English, and produced a novel every two or three years. Her U.S. publisher promoted every book as "the new book by Vicki Baum, best-selling author of Grand Hotel". Due to this image-making, Baum began to feel that she was expected to produce only popular literatur. To break the mold, she wrote THE MUSTARD SEED (1953), critique of American way life. Her other later works include HOTEL BERLIN '43 (1944), set in the Nazi Germany, and THEME FOR BALLET (1958), which concerned the American career of a beautiful Viennese danseuse. Baum's books of memoir, IT WAS ALL QUITE DIFFERENT, appeared posthumously in 1964. Baum died of leukemia in Hollywood on August 29, 1960.

 
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scrittrici dimenticate:Flora Volpini

Post n°1620 pubblicato il 13 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Quando venne pubblicato, agli inizi degli anni Cinquanta, "La fiorentina" di Flora Volpini fece rumore. La spregiudicatezza di dettato e situazioni conquistò al romanzo il più vasto pubblico. C'era nella "carriera" di questa Moll Flanders piccolo borghese italiana, fiorentina appunto, un tocco di verità che d'altronde superava qualunque tranello di confezione. La folla di personaggi che accompagna la vicenda della protagonista, il loro disegnarsi e poi sparire ma non senza lasciare traccia dentro le emozioni di lei e la naturalezza con cui lei affronta la vita, fanno del libro una sorta di affresco della provincia italiana dagli anni Trenta in poi: le sue meschinità, le sue illusioni, i suoi poverissimi sogni. Si sa che il romanzo riflette passo passo una reale esperienza: Flora Volpini non ne ha fatto mistero. Della vita vissuta è rimasto in queste pagine, proprio nello stile che riprende con semplicità più d'una cadenza del toscano imborghesito e spogliato di punte gergali, qualcosa del fuoco sotto cenere, una veemenza che la parola cerca di attutire per renderne più durevole il senso. In questo spaccato di vita resiste un'allegria che tutto aveva concorso a distruggere. Esistere può avere un senso, sembra dire Flora Volpini, anche quando il destino fa di tutto per negarlo.

 
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Eva Lavalliere

Post n°1619 pubblicato il 13 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

The story of Eve Lavallière is a story of grace triumphing over sin and circumstances. It is a story of hope for anyone whose life seems to be a mess which is out of control. Eve (her real name was Eugenie Marie Fenoglio) was to become in time a great actress on the French stage but her family beginnings were far from happy.

Turbulent childhood
Born in 1866 in Toulon in France, Eve experienced a turbulent childhood, mainly due to her father. He was a tailor but also an alcoholic and frequently unfaithful to his wife. Often he would beat her, and his rages would terrorize the household. Eve's mother would then take her daughter and son away to relatives but would always return when her husband begged them to do so.

Respite came when she was sent to a boarding school and there, she received kindness and understanding. There were also moments of spiritual joy, especially when she made her first Holy Communion. It was an anticipation of things to come. The signs too, of her future career also began to make themselves known. Often she would organize her friends into a theatre group and she herself would write little plays and songs for them and even design the costumes and sets.

However real tragic drama was to occur all too soon in the family setting. Her mother finally decided to leave her husband for good, taking her children with her. One day her husband visited them, and in a moment of violent rage, shot his wife dead and then killed himself. Eve then went from relative to relative, seeking security and support. By this time she had abandoned the faith of her childhood and even at times felt full of despair and close to suicide herself.

Turning point
Eve then fell into the welcoming arms of a stranger who recognized her theatrical talents and invited her to join a theatre group.

The sudden death of one of the leading actresses of the theatre became the opportunity for Eve and she did not disappoint. Her voice was exceptional and she was able to use it to convey every sort of emotion - from silence to violence, from authority to disgust.

Listening to Eve conveyed the audience into the very heart of the tragedy or comedy whichever she was playing. Even the great contemporary actress, Sarah Bernhardt, told her, 'What you do is innate: you create - you do not copy the characters. You give birth to them from within yourself. It is very beautiful.'

At this time Eve also became the mistress of a local marquis. He changed her name to Eve Lavallière (she often wore a tie which was at that time known as the 'Lavallière tie') to avoid detection from her family. Ironically, this had been the name of a mistress of King Louis XIV who ended her days as a penitential Carmelite nun! Gifts and luxuries were now the order of the day and Eve was lavished with many as she held court in one of the most fashionable restaurants in Paris after the show.

Out of control
Despite the fame, the money and the popular acclaim Eve's life continued to spiral out of control. She left the marquis only to fall in love with a theatrical director with whom she had a child. However, this man was far from faithful and had several other women friends. Eve herself was also enjoying liaisons with a variety of men who rewarded her sexual favours. She also enjoyed the attentions of the critics who considered her musical comedy to be lively and witty.

In her time she was as famous in France as many of the Hollywood actresses are today. She was the 'Belle Dame' of the Paris stage; often she acted before the kings and queens of Europe as they visited the capital. Yet offstage Eve was miserable. Three times she decided to kill herself, each time deciding against it at the last moment.

Then one summer she was on holiday in a French village. She met the local parish priest who invited her to Mass. At this stage she was well enough known in France for the priest to know the sort of person she had become. She attended but later told the priest that she had made a pact with the Devil in exchange for twenty more years of youthfulness. The priest was outraged and immediately told her to repent. It was a moment of grace for suddenly Eve realized that if the Devil existed, so must God and she ought to follow God instead.

Conversion
The priest gave her a book about Mary Magdalene which she read with genuine contrition, covering the pages with her tears. At the entry to the chapel at Chanceaux one can read engraved on the stone, 'In this church Eve Lavallière converted and received Communion on 19 June 1917, brought back to God by Fr. Chesteigner.'
After returning to the sacraments, Eve insisted on leaving the theatre as well and began seriously to consider joining the Carmelite order. To prove her sincerity she began to give up using make-up and hair dye but her attempts to enter the order were blocked. The nuns were afraid the publicity would be too disruptive.
She returned to Paris and sold all her wealth and gave the money to the poor. Then she settled into a small country village and devoted herself to prayer and joined the third order of St. Francis. She also became part of a lay mission team which nursed Arab children from Tunisia.

It is possible for a person to become a saint in a short time. It was as if Eve was making up for lost time. In contrast to the decades of fame and promiscuity, she quickly entered into another world of prayer and silence, of service and charity.

However this period resulted in her contracting a fever peculiar to the north African region and she spent the next eighteen months struggling with its symptoms. Her beautiful features were destroyed, though her large eyes still continued to shine with light. Eve offered this to God in reparation for her previous sins.

Weakened by her exertions, Eve died in 1929. She was quietly buried at the base of the wall of the church in the town where she was born. Gone were the adoring audiences; only a few relatives were present. Part of a prayer
which she had written had indeed been realized: 'O my Redeemer, give me especially holy humility.'

 
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Liane De Pougy

Post n°1618 pubblicato il 13 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Ogni volta che Jean Chalon, amico e biografo di Natalie Barney, le chiedeva di raccontare qualcosa del suo primo grande amore lei alzava gli occhi al cielo e iniziava ogni suo intervento con quest'espressione sognante e nostalgica: "Liane, ah! Ma Liane!".
Il meno che possiamo dire è che la nostra curiosità viene allora particolarmente stimolata, e vorremmo sapere qualcosa in più su quella donna che decenni dopo, appena evocata, riesce a fare riemergere chissà quali ricordi di voluttà e passioni!
Eppure la vita di Liane de Pougy era iniziata in modo così banale... e niente davvero lasciava prevedere quello che ne avrebbe fatto: a conti fatti, lei, da sola, rappresenta quasi tutte le possibilità della condizione femminile a cavallo tra otto e novecento.


Riprendiamo dall'inizio.
Anne-Marie Chassaigne nasce in Bretagna nel 1870 in una famiglia borghese di provincia, puritana e virtuosa, ma che a stento riesce a fare tre pasti al giorno.
Come richiede la sua condizione viene educata, piuttosto bene, presso il convento di Rennes dove conosce, ovviamente, i suoi primi amori adolescenziali.
Già indisciplinata, i genitori non vedono l'ora di sposarla ad un ufficiale di Marina.
Liane ha 16 anni quando viene data in pasto a un marito brutale. Cinquant'anni dopo, il solo ricordo della notte di nozze, una vera violenza carnale legalizzata, riesce a toglierle il fiato.
Da quel matrimonio ricaverà un figlio e una cicatrice al petto (il marito geloso le spara mentre la trova a letto con un bell'efebo).


L'esperienza matrimoniale
durerà poco. Anne-Marie, per sua gloria e fortuna, scappa a Parigi dove verrà amata e protetta da un'altra grande donna il cui nome d'arte è Valtesse de la Bigne (1859-1910), cortigiana e lesbica, amante di Napoleone III e modello di Nanà, il personaggio di Zola nel romanzo omonimo.
I primi anni parigini sono piuttosto bui e Liane nei suoi diari sorvola velocemente fino all'incontro casuale con Valtesse, allora all'apice della sua gloria. Quest'ultima, Grande Sacerdotessa della Parigi lesbica, folgorata dalla bellezza di Anne-Marie, ribattezzata più esoticamente "Liane de Pougy", si ripropone in qualche modo di educarla.


Protetta da Valtesse, Liane non fa molta fatica a dare una svolta alla sua carriera: è bellissima, intelligente, colta, e vuole imparare per essere la migliore.
Lo sarà. Prima a Parigi e poi in tutta Europa.
La sua fama non conoscerà confini, da Mosca a Washington il suo nome risveglia gli appetiti sessuali del "bel mondo".
Patrimoni colossali verranno deposti ai sui piedi, gioielli straordinari e unici verranno regalati a quella che Edmont de Goncourt considera "la più bella donna del secolo". I suoi amanti sono Lord Carnavon (che non scopriva solo le tombe), Henri Bernstein (un Amante con la a maiuscola, secondo Liane), la progenitura maschia (e femmina?) dei Rothschild, e innumerevoli Conti, Duchi, e Principi delle famiglie reali europee, le quali per svezzare gli eredi, e a volte consolare i decrepiti, si offrivano, a caro prezzo, quello che c'era di meglio, e cioè colei che verrà soprannominata "le passage des Princes".


Ma Liane non è felice: non ama gli uomini.
Il suo è un mestiere che fa da perfetta professionista, con cura e coscienza, ma decisamente senza passione.
La sua è una specie di vendetta brillante e gioisce ogni volta che riesce a rovinare un banchiere, un politico, un principe. È l'epoca in cui un quarto d'ora con Liane costa 120.000 franchi, quando la sua cuoca ne guadagna 200 al mese! Eppure Liane tra parrucchiere, modista, ristorante e teatro comincia a deprimersi.


Perciò quando arriva Natalie Barney, che le fa una corte spietata e che inginocchiata le offre amore e voluttà, non resiste.


Ciò causa un po' di animazione nella Parigi convenzionale di fine secolo, perché se i protettori di Liane erano disposti a dividersi la loro Dea, se erano anche disposti a prestarla, discretamente, alle donne, non ne vogliono sapere di una rivale come la Barney, quella sfacciata che, per di più, non paga niente!
Valtesse, da brava manager, interviene con buon senso e cerca di fare ragionare la sua protetta: l'alta società comincia a rivolgersi altrove: vale la pena rovinarsi l'avvenire per questa giovane americana, tra l'altro senza soldi, e pure infedele?
A dire il vero Natalie ce l'aveva messa tutta, era pure disposta a sposare Freddy Manners-Sutton, un ricco ereditiero di Pittsburg, per liberare dalla schiavitù sessuale la sua Liane e poterle nello stesso tempo offrire lo standard di vita al quale era ormai abituata. Freddy era pure d'accordo: in un primo tempo era disposto a tutto pure di avere un rapporto anche platonico con Natalie. Ma, saggiamente, ci ripensò, e non se ne fece nulla.
Liane continuò dunque a girare i letti lussuosi d'Europa, accogliendo anche ogni tanto certe mogli compiaciute, e ciò faceva imbestialire Natalie, che correva a consolarsi in altre braccia femminili.


La loro storia d'amore, corta e intensa, è praticamente raccontata punto per punto nel romanzo autobiografico di Liane Idillio saffico, pubblicato nel 1901. È un po' il canto del cigno della loro relazione: lo stesso anno Pauline Tarn, alias Renée Vivien, pubblica Etudes et préludes, dedicato a Natalie, e Liane continua a rovinare le grandi fortune d'Europa e i cuori delle bellissime che le girano attorno.
Ma tra loro non sarà mai del tutto finito.
Avranno molti momenti di piacere insieme, faranno anche qualche scambio e sedute collettive di coccole.
Tra l'altro Liane, con la sua cerchia di amiche/amanti inventa quello che chiama "i pomeriggi della tenerezza", lì sono consentite solo le carezze al di sopra della vita. Una specie di policoccolismo ante litteram.


Liane, senza saperlo ancora, sta per perdere un titolo, quello di regina incontestata della Parigi dei piaceri, per adottare quello di principessa di sangue reale. Incontra il bell' efebo Georges Gikha, principe rumeno, più giovane di sedici anni.
Il fidanzamento durerà diversi anni (capiamo che Georges non sapeva proprio come annunciarlo alla famiglia!).
Liane, sempre molto pratica, continua nel frattempo la sua carriera: attrice, recita presso le Folies Bergères ed in altri teatri parigini (cercando di seguire il consiglio di Sarah Bernhardt: "meglio se non apri bocca, sei abbastanza bella per avere successo senza dire una parola"), scrittrice, pubblica tre romanzi di successo, cortigiana, rimane la regina incontrastata del "tout-Paris", l'amante occasionale di Natalie "che aveva delle dita così agili...", e quella di una decina di altre bellissime: Blanche d'Arcilly, Yvonne de Buffon, Lina Cavalieri, Mimì Franchetti, Yulka Radziejowska, Lilly de Gramont-Tonnere, Emilienne d'Alençon e tante, tante altre.


Nel 1910, succede come nelle favole: la pastorella smarrita sposa il Principe azzurro.
Diventata principessa, Liane decide di cambiare vita: è ricca, molto ricca (più del marito, che mantiene), porta un nome rispettato che vuole onorarem e lo farà poiché promette al marito il giorno del matrimonio "non ti tradirò mai... con un uomo".
Le donne, invece, vanno e vengono...


La cortigiana è morta, per sempre. Liane non si vende più: si dà.


La morte del figlio nel 1914 sarà un primo colpo durissimo che l'avvia al misticismo e alla religione cattolica.
Consigliata da Max Jacob, legge Claudel e l'Apocalisse.
Intanto è felice tra un marito pazzo di lei (e siccome è onanista, come si diceva allora, trova, da moglie lesbica, la cosa piuttosto comoda) e le sue adoratrici sempre numerose.


Nel 1925 s'innamora di un'ennesima giovane bellezza, Manon Thiébaut; questa volta però qualcosa non funziona, Suo marito Georges, innamorato di Manon e ricambiato, vuole essere invitato alla festa. Liane che non sopporta, in amore, di dovere dividere e di non essere più l'Unica, la Divina, invita Manon e Georges a lasciare la casa e comincia una procedura di divorzio.
Per consolarsi si tuffa più che mai nell'Isola, reintrodotta da Natalie, l'amica fedele.
A quasi 60 anni Liane continua a suscitare il desiderio di 3-4 amanti, sempre abbagliate dalla sua straordinaria bellezza e... del marito, più innamorato che mai... ("purtroppo" pensa Liane, che lo riprende per dovere).


Il 15 agosto 1928, Liane e Georges entrano curiosi in un manicomio di Grenoble, Saint-Agnes, di cui si occupano le suore. Liane è stanca, cerca qualcosa e poi crede nei segni : osserva che quel giorno è il giorno di Maria (il suo nome) e che il manicomio è stato fondato l'anno della sua nascita. Decide che deve fare qualcosa per queste povere disgraziate e comincia a raccogliere fondi per quelle che chiamerà "le mie ragazze".


Nel 1931, Liane rinuncia all'amore fisico: il marito negli ultimi tempi è riuscito a disgustarla definitivamente ma soprattutto, influenzata dalla superiora del manicomio, e da Padre Rzewuski, vuole dedicarsi totalmente alla Saint-Agnes [della San Vincenzo de' Paoli], anche se gli anni, e lo sa, non hanno tolto molto al suo fascino:

"le donne mi amano e mi cercano. Il tempo in cui riusciamo a piacere loro è piuttosto lungo.
L'ho spesso notato per altre. Le vecchie veterane dell'amore lesbico, malgrado i loro tratti rovinati, le loro carni gonfie, suscitano vere passioni femminili a quasi sett'ant'anni".

Questi anni lei li dedica alle sue ragazze e a sé.
Sente la guerra arrivare e non vuole viverla in prima fila. Col marito scappa in Svizzera, dove vivrà anni sereni, in corrispondenza con diverse persone e sempre alla ricerca di Dio.
Sembra che lo trovi finalmente nel 1943, il 14 agosto, giorno in cui la principessa Gikha diventa Suora Anne-Marie de la Pénitence, presso l'ordine terziario di San Domenico.
Nel 1945 il principe Gikha muore. La moglie passerà gli ultimi anni in solitudine volontaria (rifiuta perfino di rivedere Natalie, diventata "il mio più grande peccato") e nell'ubbidienza assoluta alla regola domenicana.
Muore nel 1950, nella devozione più completa e, come desiderava, viene seppellita nel cimitero vicino a saint-Agnes, lì dove iniziò la sua conversione.
Georges Brassens in una delle sue più famose canzoni scriveva ironicamente "on ne se fait pas putain comme on se fait nonne" ("non si diventa puttana nel modo in ui si diventa suora"): forse pensava a Liane ...


Non fu l'unico a ispirarsi a lei: l'Odette de Cressy di Proust s'ispira a Liane de Pougy, che è molto presente anche in Colette (Claudine en ménage), e in tanti altri scritti.
La sua bellezza nutrì anche l'immaginario popolare, poiché fu per decenni l'esempio più perfetto di eleganza parigina.
Le sue immagini fecero il giro del mondo sotto forma di cartoline, calendari e anche stampe su piatti in porcellana di Limoges...

 
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Marie Duplessis

Post n°1617 pubblicato il 13 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

arie Duplessis (15th January 1824 – 3rd February 1847) was a French courtesan and mistress to a number of prominent and wealthy men. She was the inspiration for Marguerite Gautier, the main character of La Dame aux Camélias by Alexandre Dumas the younger, one of Duplessis' lovers. Much of what is known about her has been derived from the literary persona and contemporary legends[1].

Contents [show
[edit] Early life

Marie Duplessis was born Alphonsine Rose Plessis in 1824 at Nonant-le-Pin, Normandy, France. Her father became her de facto pimp when she was about 12 years old. At the age of 15, she moved to Paris where she found work in a dress shop.

As recorded in art of the day [2] Marie Duplessis was evidently an extremely attractive young woman, with a petite figure and an enchanting smile. By the time she was 16, she had become aware that prominent men were willing to give her money in exchange for her company in both private and social settings. She became a courtesan and learned to read, write, and to stay abreast of world events so as to be able to converse on these topics with her clients and at social functions. She also added the faux noble "Du" to her name.

[edit] Life as a courtesan
Passport issued to Alphonsine Plessis, January 1846

Duplessis was both a popular courtesan and the hostess of a salon, where politicians, writers, and artists gathered for stimulating conversation and socializing. She rode in the Bois de Boulogne and attended opera performances. She also had her portrait painted by Édouard Viénot.

Duplessis was the mistress of Alexandre Dumas, fils between September 1844 and August 1845. Afterwards, she is believed to have become the mistress of composer Franz Liszt, who reportedly wished to live with her. Throughout her short life, her reputation as a discreet, intelligent, and witty lover was well known. She remained in the good graces of many of her benefactors even after her relationships with them had ended.[3]

[edit] Death

Marie Duplessis died of tuberculosis at the age of 23 on 3 February 1847. Two of her former lovers, Swedish Count Von Stakelberg and French count Édouard de Perregaux, whom she had briefly married, were by her side. Within a few weeks of her death, her belongings were auctioned off to pay her debts. Still, her funeral in Montmartre cemetery, where her body still rests, was said to have been lavish, and attended by hundreds of people.


 
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Mia vita (Belli)

Post n°1616 pubblicato il 13 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Certo è ch'io nacqui, e con un bel vagito
salutai 'l mondo e il mondo non rispose
andai a scuola, studiai molte cose,
e crebbi un ciuco calzato e vestito.
Una donna mi tolse per marito,
scrissi versi a barella e alcune prose:
del resto, come il ciel di me dispose,
ebbi sete, ebbi sonno, ebbi appetito.
Stetti molti anni fra gl'impieghi assorto,
e fin che non disparver dalla scena
amai gli amici e ne trovai conforto.
Oggi son vecchio e mi strascino appena:
poi fra non molti dì che sarò morto,
dirà il mondo : " Oh reo caso! andiamo a cena".

 
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Frase del giorno

Post n°1615 pubblicato il 13 Gennaio 2012 da odette.teresa1958

Lo disse Cristo nella su'scrittura lavora vecchio hai la pelle dura! (mia nonna,molto profetica visti i tempi)

 
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