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« La rosa dei "20"Il Giorno della MIA Memoria »

Meridionali e Istriano-Dalmati: italiani-zavorra

Post n°156 pubblicato il 09 Febbraio 2007 da vocedimegaride
 

di Marina Salvadore

Chi scrive è orgogliosa "meticcia", un frappe' identitario, figlia di Partenope ed anche di profughi della Venezia-Giulia dalle ascendenze ancora più complicate; dueimmagine volte gabbata dalla Storia e dal Parlamento Italiano... un'italiana-zavorra, con nel sangue la maledizione dell'emigrazione (altro che "ebreo errante"!) che ben due volte dovrebbe essere risarcita: per i danni del falso Plebiscito napoletano del 1861 e per quelli del trattato di Osimo del 1975. Ci sarebbe da scrivere una "Treccani" solo in relazione alla storia dei due genocidi ed agli effetti prodotti da questi e dalla miope e suina politica tricolore... ma... fa niente; siamo, entrambi... con i nostri genitori, una zavorra pesante nelle nebbie dei rispettivi 150 e 60 anni di voluto oblio e la vergogna ancora più pesante di fregiarci ipocritamente di un tricolore che ci stipò, entrambi italiani, nelle baracche dei campi-profughi e nelle pance capienti dei bastimenti di emigranti, come appestati dei quali negare l'esistenza. I nostri olocausti non hanno uguale dignità dell'unico OLOCAUSTO riconosciuto e, nel mentre, incombe pure asfissiante, ipocrita e meschino il duecentesimo del dogma di Garibaldi, a farci due "bolas" così.... Nel Giorno del Ricordo offro, come una rosa, un pensiero ed un affettuoso ricordo alle mie serene e belle amiche d'infanzia napoletane; molte, figlie di "profughi" istriano-dalmati che approdarono nel napoletano tra Capua e il bosco di Capodimonte, nei campi di raccolta e nelle baracche di legno e che sono ancora in attesa d'essere risarciti moralmente e materialmente. Per chi interessato (è numerosissima la "colonia" istriano-dalmata napoletana... c'era anche la bella Laura Antonelli (Antonaz) con la sua famiglia...) rimetto questa scheda tratta dal sito /www.leganazionale.it che vi invito a visitare, per approfondire un altro capitolo di Storia Negata... che mai sarà - anche questa - inserita tra le pagine dei libri di scuola dei giovani italiani.
Dobro jutro! 

Il Giorno del Ricordo

immagineAlla fine della Seconda guerra mondiale, mentre tutta l'Italia, grazie all'esercito Anglo-Americano, veniva liberata dall'occupazione nazista, a Trieste e nell'Istria (sino ad allora territorio italiano) si è vissuto l'inizio di una tragedia: la "liberazione" avvenne ad opera dell'esercito comunista jugoslavo agli ordini del maresciallo Tito. 350.000 italiani abitanti dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia dovettero scappare ed abbandonare la loro terra, le case, il lavoro, gli amici e gli affetti incalzati dalle bande armate jugoslave. Decine di migliaia furono uccisi nelle Foibe o nei campi di concentramento titini. La loro colpa era di essere italiani e di non voler cadere sotto un regime comunista.
Trieste, dopo aver subito più di un mese di occupazione jugoslava, ancora oggi ricordati come "i quaranta giorni del terrore", visse per 9 anni sotto il controllo di un Governo Militare Alleato (americano ed inglese), in attesa che le diplomazie decidessero la sua sorte. Solo nell'ottobre del 1954 l'Italia prese il pieno controllo di Trieste, lasciando l'Istria all'amministrazione jugoslava.
E solo nel 1975, con il Trattato di Osimo, l'Italia rinunciò definitivamente, e senza alcuna contropartita, ad ogni pretesa su parte dell'Istria, terra italiana sin da quando era provincia dell'Impero romano. Il 10 febbraio è il giorno che l'Italia dedica alla memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle Foibe e dell'Esodo dalle loro terre degli Istriani, Fiumani e Dalmati.

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Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 10/02/07 alle 12:23 via WEB
Gentile Marina. L’anno scorso, memore «della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle Foibe e dell'Esodo dalle loro terre degli Istriani, Fiumani e Dalmati», riprendendo la frase conclusiva del suo ammirevole intervento in concomitanza dell’odierna ricorrenza, feci una promessa a me stesso, quella di ricordare sempre due date, una delle quali vi riguarda. Non se doveva perdere nemmeno memoria anche in altri, e così trascrissi le parole di questo sacro impegno in un breve memoriale insieme a due foto ricordo, e li esposi nel mio sito «Il geometra pensiero in rete». Queste sono le cose che qui sono riportate: «Era il tempo in cui l’Italia si preparava per entrare in guerra, la Grande Guerra. Era il momento felice per l’Italia della scienza con i successi di Guglielmo Marconi, Nobel per la fisica nel 1909. Fu anche bello e ricordevole l’esperienza, che Marconi fece sulle radiocomunicazioni, per Umberto Barbella, fratello di mio nonno Gaetano, quale sottufficiale imbarcato sulla Regia Nave Napoli che servì per questa impresa. La foto accanto con la firma autografa del famoso scienziato ne attesta l’avvenimento (1). Era il 13 marzo 1914. La guerra divampò feroce di lì a poco e furono tre anni di immani sacrifici. La Grande Guerra finì e ci fu la presa di possesso della Base del Comando Navale dell’armata austro-ungarica dislocata ad Abbazia d’Istria. Il caso volle che fosse il sottufficiale Umberto Barbella, imbarcato sul R.C.T. Acerbi della Real Marina Italiana, a sbarcare ad Abbazia per issare il nostro tricolore sul pennone dell’ex Base Navale degli austro-ungarici. In quei giorni di giubilo, mai si potevano supporre gli estremi sacrifici cui furono soggetti i residenti italiani ivi dislocati nel futuro non tanto lontano che li aspettava dopo la seconda guerra mondiale. Eppure fu un bel giorno quel 4 novembre 1918 che la foto accanto immortalò (2). Domani si fa festa perché ricorre il sessantesimo anniversario della nascita della nostra Repubblica, ma le cose di Abbazia e dell’esperimento di Marconi tocca a me, come pronipote di chi ne fu interprete e testimone oculare, onorarle e tenerle salde nella memoria. Fin che vivrò prometto di farlo. Gaetano Barbella - Brescia, 1 giugno 2006». Feci contemporaneamente un’altra cosa per onorare l’Italia nell’occasione della festa dell'indomani della Repubblica, chiesi al Sito internet delle Forze Armate di pubblicare un’altra mia cara memoria, quella di mio nonno Gaetano, sopra menzionato. Egli amava tanto la sua Patria, al punto di idealizzarla nella sua Gina, colei che divenne la sua sposa, chiamandola in una lettera a lei indirizzata, Italia. Il sito «ForzeArmate.org» fu così sollecito da esporre proprio il 2 giugno 2006 la lettera in questione. Chi volesse leggerla, l’indirizzo internet è questo: ForzeArmate.org (1)- Didascalia della foto: «Augusta lì, 13 marzo 1914. Regia Nave Napoli. La firma autografa è di Guglielmo Marconi, Nobel per la fisica nel 1909». (2)- Didascalia della foto: «Abbazia lì, 4 novembre 1914. Presa di possesso del Comando della Base Navale austro-ungarica. L'alzabandiera della vittoria».
 
 
vocedimegaride
vocedimegaride il 10/02/07 alle 12:31 via WEB
Grazie, a nome di tutti gli italiani di serie B, per il suo magnifico e nobile ricordo. Attendiamo altre interessanti sue testimonianze.
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 10/02/07 alle 16:05 via WEB
Mi chiedete altre memorie? Anche se non fanno tanto onore ad una certa Italia per la quale fu versato tanto sangue nella Grande Guerra, molto del quale era di tanti italiani del Sud che non sapevano nemmeno perché erano lì al fronte a morire? E sia. Era il 1951 ed avevo 13 anni e vivevo con la mia famiglia a Trento. Fra le cose di quel periodo che ricordo è la frequentazione di un piccolo laboratorio di uno scultore del legno, proprio accanto alla mia casa di un corridoio al primo piano di una ex caserma adibita a civile abitazione. L’artista gradiva la mia compagnia perché forse si sentiva solo, ma anche perché intravedeva in me un ragazzo abbastanza intraprendente nel genere di cose che faceva. E così mi capitò di seguire le fasi di lavoro di un’opera che gli era stata commissionata. Mi fu detto, ma è una cosa che ricordo con vaghezza, che era il dono, di alcuni del Sud Tirolo della Venezia Tridentina, destinato in occasione del matrimonio di Otto d’Asburgo-Lorena, l’ultimo erede al trono d’Austria. Il regalo simbolico era un piatto non tanto grande sul fondo del quale c’erano delle raffigurazioni che non ricordo, però mi è rimasto indelebile nella mente la scritta che era stata prodotta sul suo bordo. Si trattava della stampigliatura di tre nomi delle città più significative della Venezia Tridentina che prima della Grande Guerra era sotto l’Impero degli Asburgo d’Austria. Erano, naturalmente, Ala, Trient e Bozen e scritte per giunta in tedesco! Il piatto poi fu colmato della terra dei tre luoghi e posto nelle mani di Otto d’Asburgo. Ecco ho detto quanto basta perché possa destare un legittimo senso di disgusto se posto in rapporto al fatto istriano per il quale oggi si commemora il ricordo. Non che si debba però fare di tutta erba un fascio. Gaetano Barbella
 
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 11/02/07 alle 11:44 via WEB
Gaetano, mi perdoni ma non ho capito il nesso tra queste sue personali memorie del 51 con i fatti del Giorno del Ricordo. Anche all'ultimo re d'Italia esule a Cascais furono donate zolle di terra di regioni italiane sulle quali era stato sovrano e certamente tanto il Savoia quanto l'Asburgo-Lorena non si può dire fossero italiani! Invece gli italiani cacciati da Tito e riparati giustamente in quel che restava dell'Italia furono trattati come bestie dai loro compatrioti. Ne deduco che il concetto di nazionalismo o di identitarismo è un optional proprio per gli italiani! Claudia
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 12/02/07 alle 10:23 via WEB
Cara Claudia, infatti non ha torto - ma a prima vista - nell’avere delle perplessità su quel “piatto” visto, per giunta, in base ad una memoria di un ragazzo in me , piuttosto vaga al momento sulle circostanza relative. Non è così che si può ravvisare una relazione di ciò che ho raccontato con i fatti del «Giorno del Ricordo». Tuttavia a monte di quel “piatto”, prima d’altro ci sono altri ricordi di quando vivevo a Trento. Non erano in pochi, sopratutto gli abitanti dell’Alto Adige, a non riconoscersi italiani. In generale quelli del Meridione, poi, erano chiamati, come si sa, “terroni”, quasi con disprezzo e questo era molto discriminante. Per altro, non si può negare che il Trentino e Alto Adige godono di un’autonomia di privilegio, frutto di un vero miracolo dell’allora intraprendente e sagace De Gasperi, Trentino per eccellenza. Non bastò il Trattato di Parigi, l’accordo De Gasperi-Gruber, ma ci volle ben altro per tacitare il terrorismo del BAS e così, fu siglato il cosiddetto “Pacchetto” per privilegiare definitivamente nel 1972 l’autonomia delle provincie in questione. Tanto c’è voluto solo per sbiadire - badi non annullare del tutto - il ricordo di un Trentino e Alto Adige province del Reich, della stagione brigatista di Mara Cogol e degli anni delle bombe in Sudtirolo. Da parte mia, riallacciandomi al suo nesso in questione, vedo due realtà apparentemente slegate fra loro, ma che ho inteso legare emblematicamente con quel “piatto” della terra di “Ala, Trient und Bozen”. Terre speciali ci sarebbe da dire, se c’è stato un gran daffare, abbastanza turbolento, in favore dei trentini “accasati” da De Gasperi in una casa non loro, con un Trattato dalla raffinata ambiguità degli “italiani”. Ma è la rievocazione dei primi quarant’anni di autonomia speciale dell’obmann della Svp, Magnago. L'aveva iscritta tra i meriti-demeriti di Alcide De Gasperi, rispetto a Karl Gruber, il ministro degli esteri austriaco, autore con lui del celebre accordo del 5 settembre 1946. Quindi è una visione di parte e non è di quella veramente italiana, che però allora non fu vigorosamente rintuzzata. Quale dunque il nesso fra tutto questo guazzabuglio in favore di una certa gallina dalle uova d’oro, non per quelli degli “italiani di serie B”, cui si riferisce spesso Marina, e l’altra gallina, quella istriana, anch’essa dalle uova d’oro, ma per gli “eredi” di Tito? Il nesso - è una mia idea - sembra avere origine da una sorta di baratto che sembra sia servito ai dispositori dell’accordo di Parigi del 5 settembre 1946 per accontentare la Jugoslavia di Tito nel modo che sappiamo, e ammansire l’Italia assicurandole in cambio il Trentino e l’Alto Adige del Reich. Con la differenza, però, che gli altoatesini di lingua tedesca della vecchia Venezia Tridentina sono stati trattati, direi, con i guanti gialli e non come gli esuli istriani riparati in Italia e trattati invece come bestie dai loro compatrioti. Da notare che oggi il Trentino-Alto Adige, addirittura, formano con il Land austriaco del Tirolo una Euroregione (Euregio Tirolo-Alto Adige-Trentino). Chiaramente non osteggio questa interessante realtà che valica le identità nazionali sia dell’Italia che quella dell’Austria, pur non arrecando tordo a entrambe, e per giunta dovrei anche gioirne poiché sono nato proprio a Bolzano. Ma questa nascita, avvenuta nel 1938, trattandosi di un figlio di meridionali da poco ivi trasferiti per lavoro, non era altro che uno dei modi previsti per attuare la politica di assimilazione delle minoranze di lingua tedesca e ladina ed una progressiva italianizzazione dell'intera regione ex-tirolese, perseguita dal governo fascista. Italianizzazione che, però, doveva tener debito conto che era anche il tempo del «passo dell’oca» messa su dal Nazismo proprio nel 1938, come si sa. Perciò non mi sottraggo dal domandarmi questo: ma quelli del Trentino-Alto Adige e dell’Istria ora slava, non erano entrambi figli della stessa Italia? Ma a me sembra un “Italia”, alla luce di questo atroce dilemma, quella di un cristianesimo del sacrificio cruento, che ricalca la scelta di Barabba dei giudei al posto di Gesù, destinato quindi alla crocifissione sul Golgota e, traslando la cosa, per molti istriani italiani alle Foibe. Dunque è questo il mistero svelato cui va incontro l’Italia cristiana nei momenti critici della sua storia? Oppure, scavando nel Mistero, emerge tutto un passato della prima Italia delle memorie di Erodoto ed altri noti storici. Un Italia che fu sottratta alla pastorizia dai siculi di re Italo, chiamati gli “uomini della falce”, chiaramente adoratori del dio Saturno, perché imparassero a coltivare la terra. E così l’Italia in questione si chiamò Saturnia Tellus. Ma i sensibili alle cose dell’esoterismo non amano tanto questo dio che viene descritto come il distruttore, il padre che si mangia i suoi figli. E «Il Tempo – dice il famoso maestro di questioni esoteriche, il napoletano Giuliano Kremmerz (Antonio Formisano) - è una divinità saturniana; vi si agita dentro lo stesso Saturno. A mezzanotte, la falce dell’inesorabile e famelico Dio si solleva e cade sulle cose compiute che non hanno più ritorno: L’onnipotenza di qualunque Nume non può distruggere né cancellare le cose che sono passate realmente nella vita. L’uomo può dimenticarle, ma nessun Dio distruttore può fare che non siano state. Saturno solo può troncarle, falciarle, farle spegnere, ma non può decretare che non siano esistite. È lui stesso che vi si oppone - ...». Meno male! Insomma, a quanto pare, l’Italia, di quelli di serie “B”, “comme ‘a mitte mitte”, è un 69, a causa o a ragione sia del lato ascoso del cristianesimo, sia del corrispondente lato dell’agreste paganesimo saturniano. Ma chi bada a queste cose definibili “poco serie”? Di “serio”, ho letto proprio poco fa sul «Giornale di Brescia» di oggi di che razza sono i “parenti” slavi della misera Istria del vile baratto, quelli di Belgrado. Si racconta di una giovane donna del Montenegrino, Sonjia Roganovic, che ha dato alla luce un bimbo all’ottavo mese di gravidanza. Il parto è avvenuto però in un ospedale di Belgrado che ha trattenuto il nascituro fin tanto che la donna non pagherà il salato conto di ben 550mila dinari (6500 euro), non essendo in regola con le assicurazioni locali poiché è in stato di clandestinità. Naturalmente, povera come si trova quella madre, mai potrà riavere il suo figlioletto. Staremo a vedere come andrà a finire. Saluti, Gaetano.
 
adriatiko66
adriatiko66 il 04/06/13 alle 11:44 via WEB
Vorrei contattarla! può inviarmi la sua mail a: brecevich.marco@libero.it Grazie Marco
 
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Motivazione: “Pregate Dio di trovarvi dove si vince, perché chi si trova dove si perde è imputato di infinite cose di cui è inculpabilissimo”… La storia nascosta, ignorata, adulterata, passata sotto silenzio. Quella storia, narrata con competenza, efficienza, la trovate su “La Voce di Megaride” di Marina Salvadore… Marina Salvadore: una voce contro, contro i deboli di pensiero, i mistificatori, i defecatori. Una voce contro l’assenza di valori, la decomposizione, la dissoluzione, la sudditanza, il servilismo. Una voce a favore della Napoli che vale.”…

 

PREMIO INARS CIOCIARIA 2006

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A www.vocedimegaride.it è stato conferito il prestigioso riconoscimento INARS 2006:
a) per la Comunicazione in tema di meridionalismo, a Marina Salvadore;
b) per il documentario "Napoli Capitale" , a Mauro Caiano
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