Profondità di campo

In scena

Non è diversa l'emozione di sedersi davanti alla tastiera da quella di stendere il foglio bianco su cui scrivere.

Che si scrivano poesie, o racconti, o semplicemente la cronaca di un frammento della propria esistenza, il risultato alla fine sarà il medesimo: una finestra, che per quanto piccola, rende visibile una porzione del nostro "paesaggio interiore" al pubblico.

I motivi per cui si fa questo sono diversi per ciascuno. Rifiutando ipocriti pudori, confesso che il mio è il mondo avvolto da una perlacea nebbia opalescente, sempre più rarefatto e incomprensibile che vedo quando guardo intorno a me.

Scrivo perché mi illudo di incontrare qualcuno che me ne indichi la via d'uscita.

Ma c'è almeno una condizione ncessaria a chiunque per rendere tutto ciò sopportabile: che un pubblico, se non desideroso almeno disposto ad osservarti, ci sia.

Diversamente, il risultato di scrivere, di esporsi, sarà quello di evidenziare ancor di più come il motivo per cui lo si è fatto, è insanabile.

Che come ho appena letto in un altro blog, per quanta folla ci circondi c'è una frontiera del nostro essere oltre la quale la nostra voce, per quanti sforzi si facciano, non può essere udita se non da noi stessi. Il palcoscenico di un teatro sempre vuoto.

Benvenuti al sempre vuoto teatro mio.

P., Digiland ottobre 2012