Creato da DifettoDiReciprocita il 13/11/2011

Profondità di campo

"Confesso che ho vissuto"

 

 

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La Belle Aurore

Post n°201 pubblicato il 21 Novembre 2014 da DifettoDiReciprocita

 


Tutto così conosciuto.

La sua camminata, il gesto di sistemarsi la tracolla della borsa sul braccio, il suo sfilarsi il cappotto.

L’avevo seguita da quando aveva varcato la porta a vetro del mio bar abituale, la Belle Aurore, dove mi aveva dato appuntamento e dove io, arrivato per l'ansia con molto anticipo, l'aspettavo ormai da mezz’ora seduto ad un tavolo defilato.

Lei non mi vide subito. Stava per sedersi ad un altro tavolo, di sbieco come sempre, ed era sul punto di accomodarsi la gonna, quando si accorse di me.

Un sorriso sorpreso le allagò gli occhi, e i rumori, la musica, le chiacchiere che avevano affollato la sala fino a quel momento, si fecero da parte.

Si rialzò, prese la borsetta, e venne a sedersi di fronte a me.

Aggrottò la fronte come a trattenere i pensieri, poi spostò una ciocca di capelli e lentamente, si fece più vicina sbirciando fra le mie mani.

«Vediamo, lasciami indovinare ... caffè doppio, poco zucchero». Una breve pausa e un sorriso che mi sospese il respiro. «Ti assomiglia molto questo caffè.»

Io rimasi con un groviglio di parole a incresparmi le labbra, e riuscii solo a dire: «Sono amici di infanzia. Te li ho presentati quando ... sì, ha un arredamento un po' retrò.»

Si guardò intorno, come a cercare fra i tavoli una prova di quanto le avessi appena detto, poi prese distrattamente a scorrere la lista delle consumazioni.

Decise di non scegliere e la posò.

«Ordina tu per me».

Io lasciai che la mia attenzione si dilatasse, fino a comprendere il cameriere che ci aveva raggiunto. Ma solo per un attimo, giusto il tempo di ordinare.

«Un the speziato, chiodi di garofano se possibile. Niente latte ... avete del miele?».

Lei ricominciò a parlare, ed io seguivo il suono della sua voce, senza quasi ascoltare quello che diceva.

Vedevo la sua bocca muoversi, lenta, quasi inutile, e leggevo le sue mani, il ritmo del suo respiro, il suo continuo cambiar posizione.

La teiera comparve d’improvviso fra le sue mani, e io non mi accorsi di quando o chi l’avesse portata.

«Mi sposo a fine Aprile ... ».

Non so perché, ma la vidi vestita di bianco, con un vortice d’aria e di luce a spettinarle i capelli.

«Sarà un giorno bellissimo, pieno di sole e di vento», ascoltai le parole provenire dalla mia bocca.

«Si, forse ...e tu? Come sei messo?»

«Non lo so. Non riesco a vedermi vecchio con nessuno».

Non c’era sorpresa, né compiacimento nel suo sguardo.

Solo la consapevolezza di essere ancora presente, intatta, nelle consuetudini dei miei giorni.

E che anche io ero lì, nei gesti che consumavano i suoi minuti, dietro i pensieri che riempivano i tempi di attesa tra la vita reale e quella sognata.

Il tempo di quel the si perse ad osservarci, in equilibrio, fra il solo passato che ci era stato concesso, e la possibilità di scegliere quale domani progettare.

E così ci salutammo in fretta, quasi senza guardarci.

Da qualche parte, in me, un'assurda speranza non ne voleva sapere di zittirsi, una volta per tutte. Ancora immaginavo un altro appuntamento.

Che ci sarebbe stato senza bisogno di stabilirne un motivo, un giorno o un luogo.

E non immaginando invece che la strana, crudele geometria delle nostre strade, ci avrebbe fatto camminare distanti ma affiancati solo per pochi passi, alla fine dei quali, la giostra colorata dei suoi giorni si sarebbe interrotta con lo schiocco metallico di un’auto contro un albero. 

Restai a guardarla mentre usciva, moltiplicata dai riflessi nei bicchieri e nelle gocce di pioggia sulle vetrine.

Fuori, il freddo la rimpicciolì nel cappotto, pochi istanti prima che il nostro futuro potesse raggiungerci.

E senza sentire ragioni, ci portasse via.

Insieme.


                                     Milano, 21 novembre 1991

 

 
 
 
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