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Post N° 89
Studio per Nostra Signora dei Pesci, Cinzia De Lorenzi - Care Estinte
Io Cinzia l'ho vista la prima volta almeno tre anni fa, ad una tavola rotonda sull'improvvisazione. Portava il suo bagaglio di Danza Sensibile (e la sua personalissima e profonda sensibilità) in un contesto assolutamente fuori da ogni margine di fruizione viviva. L'avevo trovata dolcissima, mi aveva fatto quasi tenerezza, in quell'aula, davanti a quel tavolo da conferenzieri, a danzare senza un benchè minimo appiglio coreografico o drammaturgico. Avevo pensato che non la capivo, la sua danza, in quel momento, ma che sentivo che lei la parlava come se fosse il suo unico modo per dire. Con la stessa urgenza e necessità con cui si risponde ad una domanda.
Venerdì sera ho finalmente visto una performance del suo gruppo, le Care Estinte. Non era un teatro, era uno spazio espositivo, completamente pieno per l'occasione. Sarà che il suo ormai è un nome di richiamo, la gente va pazza per lei non solo artisticamente, ma anche umanamente, e sarà che le care estinte hanno un sacco di amici, fatto sta che la galleria era piena, e nessuno si aspettava un'affluenza simile, tant'è che lo spazio performativo era stato organizzato come se quasi non ci dovesse essere pubblico. E allora mi sono fatta una domanda: dove stanno i confini della necessità di qualcosa?
La domanda esula dalla performance in sè. Guardavo quelle ragazze in scena e mi chiedevo: chi ha diritto di decidere e riconoscere se quello che stanno facendo queste ragazze abbia una necessità oppure no? E soprattutto, perchè qualcuno dovrebbe avere diritto di decidere una cosa simile? Capita spesso che serate di questo tipo non siano pagate. Ma se vado da un calzolaio a farmi aggiustare un tacco, non posso mica dirgli, no, guarda, questo lavoro non te lo pago, è per la promozione. Sembra quasi che la cultura, poichè non si ha la certezza che paghi (in termini ideologici), possa essere richiesta gratuitamente, come se non costasse nulla. Sforzi, tempo, lavoro. E' un lavoro, cazzo, la cultura. Produrre cultura. E anche gli artisti mangiano.
Eppure impera l'atteggiamento che vede gli artisti come gente che ha un di più nella vita, che sia dipingere, recitare, cantare, danzare. Scrivere. E quel di più devono trovare il modo di coltivarselo in un tempo altro, che non sia quello del lavoro, perchè il lavoro è un'altra cosa.
Salvo poi quando uno arriva, e allora ha il diritto di cominciare a chiedere soldi, e la gente si spella le mani per darglieli, i soldi. Ma anche così, boh, a me non sembra un lavoro. A me così sembra solo un'ipocrisia tremenda, un servilismo senza dignità e senza capacità critiche. Questo penso quando vedo che la Hunziker porta in teatro un musical glorioso come Cabaret (e mica per presentarlo: ci canta persino!); oppure vedo in libreria un altro libro di Moccia (un altro?!!) alto il triplo di quell'altro, si vede che ora ha tempo per scrivere.
Ecco, in fondo anche agli artisti basterebbe poter lavorare.
Che tutto sommato anche l'arte possa essere considerata un lavoro?
La domanda è ironica, meglio che lo dica.
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Inviato da: cassetta2
il 13/12/2020 alle 14:30
Inviato da: Randle.P.McMurphy
il 26/04/2011 alle 22:42
Inviato da: MaryRead
il 16/11/2009 alle 13:01
Inviato da: a.
il 13/07/2009 alle 04:20
Inviato da: vegetableman
il 13/05/2009 alle 08:23