Nel 1968 il Living Theatre partecipa al Festival di Avignone con lo spettacolo Paradise Now. Si trattava di una sorta di happening che utilizzava il teatro nelle sue istanze rituali per creare situazioni in cui agli attori era lasciato il compito di stimolare le reazioni del pubblico.
Il Living richiese la partecipazione aperta del pubblico e l'ingresso gratuito: lo spettacolo in quell'occasione si trasformò in uno scontro aperto con le istituzioni e le forze dell'ordine.
La direzione del Festival di Avignone impose la sospensione delle rappresentazioni, ma poichè il Living era un gruppo troppo riconosciuto e di larga fama per lasciarlo escluso da un festival che si voleva illuminato come quello di Avignone, venne loro proposto di rappresentare Antigone, uno spettacolo già in tour da diversi anni e riconosciuto dalla critica internazionale.
Ecco cosa disse Julian Beck, una delle guide del gruppo:
Non si può recitare Antigone, in cui una ragazza rifiuta di obbedire agli ordini arbitrari dello stato compiendo un atto santo, per sostituirlo ad uno spettacolo proibito.
E' venuto il tempo di liberare l'arte e di farla uscire dal tempo dell'umiliazione e dello sfruttamento.
(Dichiarazione di Avignone, 29 luglio 1968)
Il Living si ritirò immediatamente dal festival.
Paradise Now non ha mai smesso di far parte delle pratiche attorali del Living Theatre.
Oggi in questa community è stata vinta una battaglia.
Ma la libertà di espressione è davvero salva?
Che si vada o che si resti, libertà.
l'arte è libera
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MirtilloGirl il 16/05/07 alle 21:30 via WEB
Questo è un intervento molto bello e interessante. Su cui ci sarebbe da discutere molto. Era un'annata particolare, quella, non credo che oggi, ci fosse un altro Living (un Living adatto ai tempi), verrebbe "bannato" da un qualsivoglia festival. Però questo tuo intervento solleva l'interrogativo: chi dovrebbe finanziare l'arte? chi ne fruisce? chi la produce? Personalmente, quando uno spettacolo teatrale mi interessa davvero, non ci bado nemmeno al biglietto. Già per le mostre di arte ci bado un po' di più, forse perchè non è il mio linguaggio. Ritengo eccessivi i prezzi praticati dal Teatro Piccolo, ad esempio, considerate le sovvenzioni statali di cui gode, ma suppongo anche che si giustifichino con i grossi nomi internazionali che arrivano a Milano ad ogni stagione. Certo è un peccato non potermi concedere più di un paio di spettacoli a stagione, al Piccolo, e per forza di cose scelgo i mostri sacri, Brook e Nekrosius quest'anno, ma almeno un'altra decina di spettacoli avevo proprio voglia di vedermeli lì. Ne frequento altri di teatri. Pago 15 euro per Antonella Bertoni, senza rimpiangere neanche un centesimo, in un teatro (il CRT) che pare sempre sia sull'orlo della crisi ma ogni anno programma una stagione intensa e rassegne di tutto rispetto. E avolte chicche come Tiziano Scarpa che legge una propria meravigliosa opera poetica a 5 euro.
Poi magari conosco qualcuno che va ad un noto festival di danza femminile con tutta la compagnia, ma la produzione offre il cachet solo per la coreografa. E le danzatrici? aggratis. Poi però la coreografa è una persona onesta, e divide il cachet con le danzatrici. Io dico che piuttosto non ne inviti dieci, di compagnie, ne inviti 5, ma paghi tutti. Mi si risponde che allora le altre cinque compagnie non avrebbero avuto visibilità. Non avrebbero avuto la possibilità di comunicare, che a questo serve l'arte. E allora ci vanno, gratis o a cachet ridottissimi. Sono questo gli artisti. Persone che pur di comunicare non si interessano, a volte, di denaro. C'è chi poi accanto all'artista si occupa di far quadrare i bilanci e di pagare i conti dell'artista, come dici tu. E' sempre stato così. Un tempo c'era il corego, poi il mecenate. Oggi abbiamo l'IMPRESArio. Qualcuno dovrà pur occuparsi dei soldi, dato che non riusciamo a toglierci l'abitudine di mangiare. Ma che gli artisti si occupino d'arte, insomma.
(Rispondi)
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il 13/12/2020 alle 14:30
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il 26/04/2011 alle 22:42
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