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L' "equa" riforma pensionistica

Post n°182 pubblicato il 12 Dicembre 2011 da lafarmaciadepoca
 

Oggi vorrei essere seria per un momento, e parlare di un argomento piuttosto spinoso, ovvero la nuova riforma pensionistica, in relazione ad alcune considerazioni poco piacevoli.

La nuova riforma pensionistica innalza l’età pensionabile oltre i sessantacinque anni per ambo i sessi per avvicinarli alla media europea.
Questo cosa comporta per i legislatori? Meno pensioni da pagare e più soldi nelle casse dello Stato. Palle, alla lunga porterà il Paese allo sfacelo. Garantito al limone.

Osserviamo il tutto in un’ottica più ampia, se i lavoratori non vanno in pensione, è vero che lo Stato non deve pagare le pensioni nell’immediato, ma allo stesso tempo ritarda l’ingresso di nuova forza lavoro sul mercato. Questo alla lunga fa sì che i giovani lavoratori entrino più “tardi” sui posti di lavoro, e quindi debbano lavorare di più, per raggiungere i fatidici quarant’anni.

Ma non è solo questo, la prospettiva di andare in pensione a settant’anni non è sicuramente allettante, così più giovani non continueranno gli studi dopo il liceo (riscattare l’Università costa!), condannandosi ad un’eternità di lavoro di basso profilo, senza possibilità alcuna di far carriera. Inoltre, la mancanza di laureati sull’”Italico suol” renderà necessario l’importazione di lavoratori specializzati dall’estero . Attirare laureati e ricercatori per l’Italia è piuttosto difficile, dal momento che qualunque altro Paese europeo offre possibilità migliori ai possessori del tanto sudato foglietto.
Così, tra trent’anni, trovare un medico (o un pediatra!) sarà un’impresa ardua.

Sempre in quest’ottica è necessario tenere conto di un importante fattore: è vero che un lavoratore anziano ha esperienza, ma un operaio o un muratore sessantaseienne non avrà certo la prontezza dei riflessi di un ventenne, un contabile sessantatreenne  non avrà l’attenzione di una ragazzetta appena uscita da ragioneria. Se gli anziani hanno l’esperienza, i giovani hanno l’entusiasmo e la voglia di lavorare bene per far carriera, chi ormai è vicino alla pensione, lavora il minimo indispensabile per mantenere il posto.

Ora veniamo alle note dolenti: ma conviene mantenere sul posto di lavoro coloro che si ammalano di malattie debilitanti, oppure si ritrovano con un tumore (sappiamo benissimo che i sessantenni sono i più a rischio) e devono sottoporsi a lunghe sedute di chemioterapia?

La scienza non  è onnipotente e posso assicurarvi che la vita media non si è allungata per nulla, anzi, la vita riproduttiva femminile si è ridotta di dieci anni.

I veri sconfitti di questa riforma, sono proprio coloro che soffrono, che si ritroveranno incatenati sul loro posto di lavoro, oppure lo perderanno(senza  possibilità di ricevere un’indennità) , perché stanno male.
Non per colpa loro, intendiamoci, ma perché per un’azienda non sono più convenienti.

La cosa che veramente mi dispiace è che nessun giornalista si sia accorto di questo fatto, non ci va una laurea, basta confrontare i dati statistici sulle insorgenze dei tumori: la fascia di età più a rischio è quella tra i sessanta e i settanta anni.

Chi contrae un tumore, oltre i sessant’anni,  dovrebbe avere la sacrosanta opportunità di andarsene in pensione senza subire ingiusti trattamenti, come per esempio la riduzione dell’assegno pensionistico.

Perciò, per una volta mi piacerebbe che se ne parlasse ai più alti livelli: conoscete qualche sindacalista? Sbattetegli sotto il naso questo foglietto, affinché siano tutelati i diritti di chi sta male e ha bisogno di tempo per curarsi.

Ribadisco che questa riforma pensionistica è “equa”, perché è stata partorita da degli equini, anzi, trovo indegno paragonarli ai nobili animali, perché un tal Gondrano, cavallo nella “Fattoria degli animali” di Orwell, si spaccava la schiena dalla mattina alla sera.
 E sapete cosa gli è successo, quando era diventato vecchio e non poteva più lavorare? Fu venduto alla fabbrica di colla.

Grazie per aver letto il post.

 
 
 
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