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Post N° 248
Lo chiamavano Lupo (tre di quattro)
Trascinò la barca sulla riva e camminò esitante su quella sabbia granulosa e scricchiolante. Il sole era caldo e si tolse la cerata e poi anche i vestiti e restò nudo.
Felice.
In pace.
Lui era il primo uomo a camminare sull’Isola.
L’Isola lo aspettava e lo accoglieva.
Si faceva ventre e lui tornava bambino a respirare l’acqua della madre.
Sdraiato su quella sabbia ruvida e calda per la prima volta dopo tanti anni guardò il suo corpo e gli anni scavati nella pelle secca e sui muscoli tesi. Le stagioni e il sole avevano colorato le mani, le braccia, i piedi, le gambe fino al ginocchio, la testa, il collo, il petto, la schiena. Bianche erano le carni della pancia e delle cosce. Guardò il suo membro come se lo vedesse per la prima volta. Come lo guardava da ragazzetto che diventava grande e duro e si sentiva già uomo.
Si pensò uomo e le innumerevoli volte che aveva fatto l’amore con amore oppure senza amore e nessuno dei visi di donne possedute gli svegliava un ricordo o un brivido. Nemmeno Maria era un volto, ma solo un’indistinta sfumatura sbiadita dalla dimenticanza.
Provò freddo, un gran freddo sotto quel sole abbagliante, il freddo di quella sua vita passata veloce sul mare, nel mare, per il mare, senza più ricordi.
Adesso c’era l’Isola.
Si alzò in piedi e gridò senza parole un urlo come quello dei gabbiani e rise forte e a lungo fino alle lacrime e poi pianse a singhiozzi profondi come non faceva più da quando, bimbo, sua madre lo aveva abbracciato forte, dicendo che papà se l’era portato il mare.
Piangendo camminava lungo la spiaggia e a poco a poco il pianto si placava e osservava attento le conchiglie mescolate alla sabbia e poi deviò verso l’interno e l’ombra fitta della verde macchia gli asciugò le ultime lacrime.
Camminò a lungo tra piante mai viste con fiori rossi e carnosi come arance mature.
Il profumo di terra umida e di verde scaldato dal sole era forte e cancellava quell’odore di pesce che da sempre era attaccato alla sua pelle.
Ritornò sulla spiaggia e le ombre erano lunghe e il sole già basso sull’orizzonte.
Per una frazione di secondo il suo pensiero fu quello di fermarsi in quel pezzo di terra che galleggiava sul mare.
Ebbe paura del buio della notte e dello spavento che fosse già morte e solo morte quell’Isola.
Scappò e spinse in mare la sua barca con un terrore come non aveva mai provato. Accese il motore e puntò dritto verso ovest. Riattraversò la nebbia fitta, ma questa volta a folle velocità, come inseguito da quei fantasmi che non aveva visto sull’Isola.
Quella sera quando arrivò nel porto non aveva pescato nulla e sopportò con indifferenza le bonarie prese in giro dei suoi amici.
Tutta la notte si rigirò nel letto senza dormire pensando che quell’Isola era stata un’illusione, una visione. Ma certo, si era addormentato e aveva sognato.
Ostinato decise di tornare in quel pezzo di mare e scoprire che la vecchiaia, oltre ai dolori alle ossa, portava anche le visioni.
Il mattino dopo andò ancora verso est.
Rideva forte quella mattina mentre andava deciso.
C’era il sole limpido delle belle giornate d’autunno.
Successe tutto come il giorno prima.
La nebbia fitta, il silenzio, il sole.
L’Isola.
Lupo fece come il giorno prima.
Nudo e felice esplorò l’Isola.
Al tramonto il dubbio se restare lo riassalì, ma lo scacciò come una mosca molesta. Durante il ritorno calò la rete e prese quel poco pesce che gli sarebbe bastato per vivere.
Da quel giorno e per dieci anni ogni volta che andava per mare, trovava l’Isola.
Aveva elaborato ormai una sua teoria che era l’Isola a trovare lui. Anche se si dirigeva a ovest la trovava e passava la giornata nudo e felice ad esplorarla. La sua pelle, adesso, era tutta dello stesso colore di cuoio vecchio.
Chet Baker "Almost blue"
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DA LEGGERE
Antonio Gramsci "La Città Futura" (1917)
" Odio gli indifferenti: credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e partigiano. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il rinnovatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che circonda la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scoraggia e qualche volta li fa desistere dall’impresa “eroica”. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. ".......
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