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Post N° 277

Post n°277 pubblicato il 04 Novembre 2006 da liberante
Foto di liberante

Il giardino è curato.                      (1 di 3)

Il giardino è curato. Nel suo statico ordine sembra finto. La fontanella con le finte rocce di gesso e il finto muschio disegnato stride con la felce e il capelvenere che nel mezzo, sono l’unica illusione di natura selvaggia. Dalla porta finestra della sua stanza può andare nel giardino. Adesso è chiusa chè il novembre è già troppo inverno e il freddo si vede nella foschia del cielo. Lei sta dietro i vetri. Guarda fuori. Non vede fuori. Lei vede altro. Ha una percezione fragile e frammentaria dei vialetti di ghiaia bianca e degli alberi spogli. La stanza dietro di lei è arredata con mobili chiari e quasi allegri, in ordine e se non fosse per il letto alto con le sponde e per la mattonella d’acciaio, che nasconde la presa dell’ossigeno, non si capirebbe che non è la normale camera di una normale casa. Le sonorità sono attutite e il passo dell’infermiera che le si avvicina è solo un leggero fruscio. Lei sente altro.

Pensano tutti che non capisca nulla. Pensano che ormai sia rincretinita dall’età. E non cammino. E non parlo. E non sento. E non penso.
E invece tutto è ben presente e tutto mi attraversa con una precisione che nella vita di quando ero fuori di qua non avevo mai avuto. Ogni giorno rivivo un giorno della vita passata. Lo scelgo a caso, al mattino, quando mi portano il caffè.
Il caffè?
Non si può dire caffè quel liquido trasparente senza sapore, senza odore e se non fosse per lo zucchero che ci mettono non saprebbe proprio di nulla.
Quella stupida donnetta tutte le mattine viene da me con una faccia diversa e pensa che io non la riconosca.
È proprio stupida.
Si mette una maschera e crede che non capisca che è sempre la stessa. Ne ha sette o otto di maschere. Fa finta di essere bionda e giovane, oppure brizzolata e saggia, castana e allegra, ma è sempre la stessa.
E quella voce sottile, sgradevole, come un’unghia sul vetro.
E quella nenia “dai nonnina bevi il tuo bel cafferino e poi ti vesto e andiamo a fare un giretto”.
Se sapesse la rabbia che provo scapperebbe lontano.
Se avessi un coltello le taglierei le dita, ad una ad una. Odio quelle sue dita che mi toccano con forza e senza attenzione per la mia carne. Mi lava e pensa che i brividi che mi scuotono siano per il freddo “dai nonnina ancora poco e ti vesto così non avrai più freddo”.
Non è freddo, è schifo.
Mi fa schifo che mi tocchi con i guanti, viscidi e bianchi.
Voglio un coltello per tagliarle le dita e sentire il suo sangue che mi cola addosso e forse urlerebbe come un essere umano e non con quella vocetta smielata e smetterebbe di dirmi “dai nonnina”. Mi guarderebbe con terrore e non con quello sguardo che di me vede solo la mia carne morta.
Carne morta, così mi sento.
Carne che era stata carne ed ora è solo pelle vizza, più bianca del lenzuolo, più bianca di questa luce bianca, più bianca del cielo che vedo da questa vetrata. Questa mia carne che ho amato e che ora mi pesa come pietra.
Hanno amato la mia carne, hanno affondato le mani dentro e ne hanno pescato i tesori del piacere e le risate, i baci, le carezze e i miei figli hanno nuotato nella mia pancia e mi hanno mangiato.
I miei tanti figli e quell’unico figlio che quando viene a trovarmi ha perfino paura ad avvicinarsi troppo chè la vecchiaia ripugna e puzza. Entra dalla porta spaventato, come se il pavimento potesse aprirsi sotto ai suoi piedi.

A. Dvoràc "Requiem Aeternum"

 
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DA LEGGERE

 

Antonio Gramsci "La Città Futura" (1917)   

 

" Odio gli indifferenti: credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e partigiano. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il rinnovatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che circonda la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scoraggia e qualche volta li fa desistere dall’impresa “eroica”. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. ".......

..... continua qui  

 

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