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Post N° 311

Post n°311 pubblicato il 29 Gennaio 2007 da liberante
Foto di liberante

Ho ricevuto un regalo.
Mi piace ricevere regali soprattutto quando sono inaspettati, un regalo di natale in ritardo.
E bella forza!
A chi non piace ricevere regali?
A me piace sempre e indipendentemente dal fatto che sia una cosa gradita oppure una delle inutili paccottiglie che tengo in casa per un po’ e poi o elimino o nascondo in un cassetto.
Chi mi fa il regalo nel momento in cui lo compera e se lo mette in tasca pensa a me. E il fatto che mi abbia pensato e abbia deciso di dedicarmi quel tempo della sua mente è già di per sé un dono. È un contatto, un toccarsi, un voler appena un po’ di bene e quel bene a volte basta per farmi felice.
È ovvio che sto parlando di regali che vengono da persone che mi sono almeno simpatiche, gli altri, quelli fatti perché si devono fare, come obbligo e dovere, li considero per quello che sono, vuote ipocrisie e inutili perdite di tempo.
Ci sono dei regali che mi fanno mancare il respiro e mi lasciano estasiata e muta.
Sono quelli di chi sa di me più di quanto sappia io stessa.
Ho ricevuto in regalo una penna, una biro.
In assoluto la penna più bella al mondo.
Regalo magnifico, di pregio, elegante, esclusivo.
Non è solo quello.
Chi me l’ha regalata sa il mio amore per le parole.
Sa che per me lo scrivere con una penna su un foglio di carta è ancora l’unica maniera per essere esattamente quello che scrivo.
Ormai mi sono abituata alla tastiera, ma non è la stessa cosa.
Sul foglio quello che scrivo resta, posso tirarci su una riga, cancellarlo con una gomma, ma ne resta traccia. Posso bruciarlo, farne pezzetti piccoli e buttarli al vento, ma resta, resta la cenere, resta una particella di carta nel remoto angolo di strada dove cadrà.
Resta.
È come la vita.
Qualsiasi atto compia dal soffiarmi il naso ad uccidere un amore resta il segno.
Resta fissato nel tempo e dentro di me.
Su questa tastiera e in questo schermo l’errore si corregge da solo, la frase che mi è uscita troppo diretta, pesante, involuta, sparisce e non esiste più.
Chi me l’ha regalata sa tutto questo e che la terrò preziosa per le parole difficili, notturne, quelle che scrivo con la fatica dell’anima e con il leggero scivolare della penna sul foglio.
Chi me l’ha regalata sa che amo il tratto limpido e deciso, chiaro e nitido come il suono del violino, e l’inchiostro nero.
Chi me l’ha regalata ha accettato il mio scrivere.

 
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DA LEGGERE

 

Antonio Gramsci "La Città Futura" (1917)   

 

" Odio gli indifferenti: credo come Federico Hebbel che “vivere vuol dire essere partigiani”. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e partigiano. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. E’ la palla di piombo per il rinnovatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che circonda la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scoraggia e qualche volta li fa desistere dall’impresa “eroica”. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. ".......

..... continua qui  

 

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