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Conflitti sociali

Post n°68 pubblicato il 27 Aprile 2009 da acori
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Sentiamo ripetere sino alla noia che viviamo nell’era dell’informazione, della globalizzazione, della tecnoscienza, dei diritti umani, ma se non ci fermiamo solo alla superficie di questi messaggi, ci accorgiamo che viviamo piuttosto nell’era di una diffusa e crescente incertezza e ignoranza, nell’era della società del rischio e delle minacce globali incombenti.

La tecnoscienza stessa è diventata una delle fonti principali di controversie e di conflitti. Si osserva, da tempo, che su problemi sufficientemente complessi e globali, scienziati, tecnici ed esperti sono sempre in disaccordo tra loro e le controversie scientifiche si trasformano in conflitti sociali quando si passa dal campo della ricerca a quello dell’applicazione che coinvolge la cittadinanza nel processo decisionale.

Gli esempi di tali conflitti sono numerosissimi: dalla questione energetica e nucleare al caos climatico, dagli OGM alle “grandi opere”, dagli inceneritori ai sistemi di trasporto via terra e aerei. Su ciascuno di questi temi si creano gruppi di pressione che sostengono tesi e soluzioni contrapposte.

Per dirimere tali questioni si chiama in causa l’autorità degli scienziati, dei tecnici e degli esperti, ma poiché essi danno pareri diversi e persino opposti, il processo decisionale si inceppa. Le difficoltà che si incontrano nell’affrontare in modo democratico e consensuale queste controversie aumentano poiché sono sempre in gioco anche questioni di carattere più ampio, relative ai modelli economici, di sviluppo, di sostenibilità, agli stili di vita, ai principi etici di equità estesi non solo a tutti gli umani, ma anche agli altri esseri viventi. Siamo di fronte a concezioni e visioni del mondo che implicano una molteplicità di fattori che non si possono trascurare.

La tentazione da parte delle attuali strutture di potere decisionali è quella di intervenire in modo autoritario, senza facilitare la partecipazione dei gruppi sociali coinvolti e senza tenere in debito conto gli interessi e le visioni del mondo di cui essi sono portatori.

Paradossalmente, sia i fautori di soluzioni tecnocratiche centralizzate e autoritarie, sia i gruppi di protesta sostengono che le nostre società soffrono di un diffuso analfabetismo scientifico. Ma gli uni e gli altri si riferiscono ad una diversa concezione della conoscenza scientifica e del modo con cui essa si produce e si dovrebbe trasmettere e comunicare.

I sostenitori della concezione tecnocratica mantengono una fiducia ingenua e cieca in un progresso lineare, basato su un’idea di scienza nella quale prevale ancora oggi un’immagine di certezza e di verità assoluta.

In coloro che si oppongono a questo schema lineare e riduttivo dell’indagine scientifica prevale invece l’“arte del dubbio”, della complessità, della non linearità dei processi naturali.

Occorre pertanto riprendere con grande pazienza il cammino interrotto di un’educazione scientifica critica, non semplicemente nozionistica ma capace di suscitare al tempo stesso il fascino della continua esplorazione del mondo in cui ci troviamo a vivere, il gusto della sperimentazione e la costante riflessione sulle grandi domande che fanno da ponte tra ricerca scientifica, speculazione filosofica, scelte etiche ed esistenziali.

È con questo spirito che da tempo ricercatori e ricercatrici, educatori ed educatrici sperimentano nuove metodologie didattiche che utilizzando i giochi di ruolo intendono presentare i problemi concreti della nostra società in chiave critica, aperta, non dogmatica, facendo conoscere le tecniche di trasformazione costruttiva e nonviolenta dei conflitti.

È una sfida ardua ma affascinante e indispensabile per le generazioni future, oltre che per quelle presenti.

Vincere l’analfabetismo scientifico, apprendere metodologie più rigorose per la gestione e mediazione nonviolenta dei conflitti, acquisire le conoscenze di base del complesso intreccio tra scienza, economia, sostenibilità ambientale, ecologia dei sistemi viventi è diventata la nuova sfida che le democrazie debbono affrontare per non trasformarsi in democrature autoritarie incapaci di risolvere i problemi di crescente e pressante complessità che questa nostra fragile umanità deve affrontare.Finalmente lo stiamo capendo: il nostro pianeta è finito ed è limitata la sua possibilità di soddisfare i bisogni dell'umanità, soprattutto se vivesse tutta la sua parte più ricca e spensierata. Insomma la coscienza dei limiti rende ancora più evidente la disparità - nel possesso e nell'uso - di ciò che natura offre.
Eppure, appena scoppia un conflitto ecologico, sia la costruzione di un termovalorizzatore sia la realizzazione di un'infrastruttura stradale "pesante", non si fa altro che delegare tutto all'autorità degli scienziati, dei tecnici e degli esperti, regolarmente non concordanti.
Invece, le controversie ambientali non sono solo questione di scienza e tecnica, ma anche di democrazia. Perchè attraverso la decisione stabiliamo che "tipo di vita scegliamo di vivere". La democrazia è con urgenza chiamata a tradurre la domanda di partecipazione e di inclusione nello scenario globale.
La strada democratica e consensuale è obbligata ma difficile poichè entrano in gioco questioni relative ai modelli economici, di sviluppo, di sostenibilità, agli stili di vita, ai principi etici di equità estesi non solo a tutti gli umani, ma anche agli altri esseri viventi.


 
 
 
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