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Un blog creato da CarloBajaGuarienti il 04/05/2008

Il Libro di Sabbia

Libri e dintorni...

 
 

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FRASI SPARSE.

«Per sopravvivere agli assalti degli atei come dei veri credenti mi sono tenuto nascosto nelle biblioteche, tra pile di volumi pieni di polvere, per nutrirmi di miti e cimiteriali leggende. Ho fatto festini di panico e terrore di cavalli imbizzarriti, di cani latranti, di gatti impazziti... briciole scosse da lapidi tombali. Col passare degli anni, i miei compatrioti del mondo invisibile svanirono uno a uno, mentre i castelli crollavano o i nobili affittavano i loro giardini visitati dagli spiriti a club femminili o a tenutari di tavole calde con alloggio. Privati delle nostre dimore, noi, spettrali errabondi dell'universo, siamo sprofondati nel catrame, nelle latrine, in sfere di incredulità, di dubbio, di mortificazione, o di assoluta derisione.»

Ray Bradbury, Sull'Orient, direzione nord.

 

FRASI SPARSE

«… nella carrozza entrò un uomo che cominciò a suonare un violino che sembrava fatto con una vecchia scatola di lucido da scarpe e, nonostante io non abbia proprio senso musicale, quei suoni mi colmarono delle più strane emozioni. Mi pareva di udire una voce di lamento provenire dall’Età dell’Oro. Mi diceva che noi siamo imperfetti, incompleti, non più simili ad una bella tela intessuta, ma piuttosto come un fascio di corde annodate insieme e gettate in un angolo. Diceva che il mondo era un tempo interamente perfetto e generoso e che quel mondo perfetto e generoso esisteva ancora, ma sepolto come un cumulo di rose sotto tante palate di terra. Gli esseri fatati e i più innocenti tra gli spiriti vi avevano dimora e si dolevano del nostro mondo caduto nel lamento delle canne mosse dal vento, nel canto degli uccelli, nel gemito delle onde e nel soave pianto del violino. Diceva che presso di noi i belli non hanno senno e gli assennati non sono belli e che i nostri momenti migliori sono offuscati da qualche volgarità, o dalla trafittura di un triste ricordo, e che il violino deve rinnovarne sempre il lamento. Diceva che soltanto se coloro che vivono nell’Età dell’Oro potessero morire per noi sarebbe possibile essere felici perché quelle voci tristi si acquieterebbero, ma loro debbono cantare e noi lacrimare finché le porte eterne non si spalancheranno.»

William Butler Yeats, Il crepuscolo celtico.

 

AREA PERSONALE

 

 

Le ombre dei giorni perduti

Post n°64 pubblicato il 15 Giugno 2009 da CarloBajaGuarienti
 
Foto di CarloBajaGuarienti

(H. Mantel, I fantasmi di una vita, Einaudi 2006)

Carlo Baja Guarienti

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L’autobiografia – qualora non sia solo autocelebrazione - è un’impresa coraggiosa; ma quando una vita è stata segnata dal dolore, scintilla dell’arte, l’atto di ricostruire e narrare ad altri diviene quasi taumaturgico. Si riaprono le ferite, certo, ma solamente per poterle curare definitivamente.

Per Hilary Mantel, scrittrice d’origine irlandese, la finestra sul passato si apre con la decisione di vendere Owl Cottage, la casa di campagna nel Norfolk sulle cui scale si aggira il placido fantasma di un patrigno mai conosciuto fino in fondo. Un fantasma a suo modo familiare, uno dei tanti spettri che affollano la vita di chi non dimentica il proprio passato e – anzi – lo trasforma in nutrimento per lo spirito.

Riaffiorano così i primi ricordi di un’infanzia in campagna, fra nonne e zie irlandesi, vecchie canzoni di ribellione e grandi scoperte: l’esistenza, soprattutto, di un mondo segreto, un’essenza nascosta delle cose che gli adulti non riescono a vedere. Aneddoti all’apparenza slegati fra loro, ma in realtà pervasi da un’intima coerenza, che l’autrice ricorda con l’ironia seria di chi comprende l’importanza delle piccole stranezze dell’infanzia.

Con il passare degli anni, tuttavia, lo stile muta in accordo con la tonalità dominante degli eventi: la tavolozza assume tinte più scure mentre la realtà mostra il suo volto meno tenero. L’Inghilterra dei primi anni ’60 non è un buon posto per una donna cattolica, i suoi tre figli e un uomo che non è un marito e frequenta le chiese anglicane. I legami famigliari si dissolvono fra incomprensioni che non saranno mai superate e la fine dell’infanzia è per Hilary l’inizio di un vagare fra indirizzi mai definitivi; una vita quasi clandestina, nel continuo timore che i pettegolezzi distruggano il fragile equilibrio faticosamente raggiunto.

Le stagioni scorrono: gli studi, l’occasione di costruire un futuro negato a molte figlie della classe operaia, il matrimonio affrontato con l’avventatezza dei diciott’anni. Poi la malattia, che si annida nel corpo e contagia la mente: un tarlo che consuma entrambi senza rivelare il suo vero volto, camuffandosi per sfuggire alle diagnosi e lavorare indisturbato nell’ombra. Il dolore annebbia i pensieri e devasta il fisico, la magrezza di un tempo lascia il posto a una dilagante obesità. L’ironia dell’autrice sembra incrinarsi, suggerisce che accettare la radicale trasformazione dei propri lineamenti è troppo anche per chi è abituato a combattere.

Alla fine di questo I fantasmi di una vita (Einaudi) l’autrice tira le somme della propria vita riconoscendo alla scrittura la capacità di donare un’effimera consistenza alle ombre di tutto ciò che è andato perduto fra le pieghe degli eventi; e la prima ombra è la maternità, simulacro illusorio d’immortalità, consolazione di un’incombente vecchiaia vissuta – condanna di ogni ateo – come un capolinea senza uscita.

«Il paese dei figli non nati è attraversato da strade mai prese, da quei sentieri cui abbiamo girato le spalle. Complice la condizione dell'essere solo ipotesi, quelle creature si acquattano nel buio delle occasioni mancate».

(Gazzetta di Parma, 28 febbraio 2007)

 
 
 

Un volume sulle antiche misure del Ducato.

Post n°63 pubblicato il 05 Giugno 2009 da CarloBajaGuarienti
 
Foto di CarloBajaGuarienti

(Ragguaglio delle antiche misure col sistema metrico decimale nei ducati di Modena-Reggio e Parma-Piacenza, Antiche Porte 2009)

Carlo Baja Guarienti

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«Il sistema de’ pesi e delle misure è una compassione, variando questi secondo luoghi e cose». Così scriveva, negli anni Trenta dell’Ottocento, il geografo Lorenzo Molossi introducendo nel suo «Vocabolario topografico dei ducati di Parma, Piacenza e Guastalla» la complessa tematica dei mezzi di misurazione in uso nelle terre parmensi. Nel corso del XIX secolo, prima con l’arrivo delle truppe napoleoniche e poi con l’unità d’Italia, giunge a compimento il processo di omogeneizzazione dei sistemi metrici: scompaiono il braccio da panno, quello da seta e quello da legno, la pertica e il trabucco, lo staio e la tavola, l’oncia e il quadretto e le altre misure tradizionali per lasciare spazio al metro con i suoi multipli e sotto multipli. È una rivoluzione non solo scientifica, ma anche culturale e sociale: la lotta alla selva di sistemi che rende difficile il calcolo negli scambi fra Stati diversi è spesso percepita come volontà di cancellare le tradizioni locali e, per questo, a lungo osteggiata.

La casa editrice reggiana Antiche Porte (www.anticheporte.it) ha curato un «Ragguaglio delle antiche misure col sistema metrico decimale nei ducati di Modena-Reggio e Parma-Piacenza» (77 pagine, 8 €) dedicato soprattutto a chi si avventura nelle ricerche sugli Stati preunitari, ma certamente interessante anche per i curiosi di storia e tradizioni del territorio. Il volumetto descrive la geografia dei due ducati (quello di Modena e Reggio e quello di Parma, Piacenza e Guastalla) e riporta le tavole elaborate nell’Ottocento per convertire le misure tradizionali nel nuovo sistema; inoltre le misure austriache e quelle napoleoniche in uso nelle città emiliane. Il tutto è accompagnato da un bell’apparato iconografico di mappe, piante e tabelle conservate negli Archivi di Stato di Parma e Modena.

(Gazzetta di Parma, 17 maggio 2009)

 
 
 

«Il libro degli esseri immaginari» di Borges.

Post n°62 pubblicato il 28 Maggio 2009 da CarloBajaGuarienti
 

Riletture borgesiane.

(J. L. Borges, Il libro degli esseri immaginari, Adelphi 2006)

Carlo Baja Guarienti

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«Il titolo di questo libro potrebbe ammettere l’inclusione del principe Amleto, del punto, della linea, della superficie, dell’ipercubo, di tutti i termini generici e, forse, di ciascuno di noi e della divinità.»

Così, con un’ipotesi di mise en abyme assolutamente coerente con il suo stile, Borges introduce il lettore al Libro degli esseri immaginari; ma prosegue precisando di aver voluto scrivere solo uno dei bestiari possibili, necessariamente incompleto e centrato sui mostri reperibili nelle opere letterarie. Opera d’erudizione, dunque, che segue i gusti dell’autore molto più che un progetto di preordinata completezza: si va da luoghi familiari al lettore di Borges, come Le mille e una notte o l’epica scandinava o l’opera di Swedenborg, alla letteratura cinese e indiana, ma c’è anche spazio per la latinità e l’Ottocento. Il tutto è accostato con grazia e ironia, punteggiato di osservazioni che potrebbero sembrare serie e quasi professorali se non s’intuisse il sorriso nascosto fra le righe. Perfetta, in questo senso, la copertina scelta per il volume Adelphi, che raccoglie l’edizione ampliata del Manual de zoología fantástica: il quadro di Dalì intitolato «Shirley Temple, più sacro mostro del cinema del suo tempo», che ritrae il piccolo fenomeno del tip tap in veste di sfinge antropofaga.

Ma è nell’appendice che lo scrittore argentino inserisce la sua pagina più autentica, là dove illustra la strana eresia metafisica dei «Laudatores temporis acti» descritti nel Seicento dal portoghese Luiz da Silveira: adoratori del passato, questi filosofi lo intenderebbero non come una porzione trascorsa del presente, calata nell’inarrestabile fiume della cronologia, ma come un’entità compiuta in sé e a noi inconoscibile, priva di qualsiasi rapporto con il nostro vissuto. Chiedendosi se questa setta senza nome esista ancora da qualche parte nel mondo oppure – come è probabile – sia ormai relegata nel passato, Borges si diverte a mettere in gioco, con una versione ridotta di un procedimento a lui familiare, un’ulteriore prospettiva capace di moltiplicare l’effetto del paradosso.

(Gazzetta di Parma, 19 dicembre 2006)

 
 
 

Convegno di studi: BOIARDO, IL TEATRO, I CAVALIERI IN SCENA

Post n°61 pubblicato il 14 Maggio 2009 da CarloBajaGuarienti
 
Foto di CarloBajaGuarienti

 

 

Per il programma e le informazioni:

http://www.letteratura.it/boiardo/programma.htm

Convegno di studi

BOIARDO, IL TEATRO, I CAVALIERI IN SCENA

Scandiano (Reggio Emilia), Rocca dei Boiardo, 15-16 maggio 2009

 
 
 

Due civiltà, un mare ribollente di sangue.

Foto di CarloBajaGuarienti

(Niccolò Capponi, Lepanto 1571. La Lega Santa contro l’impero ottomano, il Saggiatore 2008)

Carlo Baja Guarienti

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La battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571 rimane, in qualche modo, un nodo irrisolto nella storia dei rapporti fra l’Europa l’impero ottomano. Celebrata da alcuni come un trionfo dell’Occidente cristiano sull’Oriente musulmano e liquidata da altri come un episodio trascurabile gonfiato dalla propaganda, questa battaglia è stata caricata come poche altre di fortissime connotazioni ideologiche. Oggi il dibattito sullo «scontro di civiltà» divide gli accademici – da una parte gli eredi di Samuel Huntigton, dall’altra nomi come Tzvetan Todorov – e la battaglia combattuta alle isole Curzolari torna sotto i riflettori.

A questo argomento è dedicato Lepanto 1571. La lega santa contro l’impero ottomano (il Saggiatore, 358 pp., 20 €) di Niccolò Capponi, specialista di storia militare. Il titolo, come spiega la prefazione, è volutamente provocatorio e punta l’indice sulle differenze religiose – e in senso lato antropologiche – che dividevano i due schieramenti, ma la lettura del volume – molto documentato e scritto in una prosa vivace – riduce l’impressione di una presa di parte univocamente filo-occidentale: non solo Capponi precisa che «il pensiero occidentale è alla base della democrazia e del progresso scientifico, ma ha anche argomentato il razzismo su basi biologiche e partorito le armi di distruzione di massa», ma l’ammirazione per la macchina amministrativa e militare ottomana è esplicita e lo studio stesso è dedicato alle figlie dell’autore, «i cui antenati hanno combattuto da entrambe le parti». Inoltre, le crepe nella compattezza dello schieramento cristiano non sono occultate: l’Europa del XVI secolo era divisa dalla politica più di quanto fosse unita dalla religione, molti cristiani greci militarono nelle file dell’esercito ottomano e gli Stati europei (non solo Venezia, ma persino i «Cristianissimi» re di Francia e gli stessi papi) non esitarono in diverse occasioni a stringere alleanze con la Sublime Porta.

Un saggio, dunque, «a tesi», ma certo non una lettura a senso unico di un episodio importante – sul piano della percezione se non su quello strettamente militare – dell’incontro/scontro fra culture nel Mediterraneo.

(Gazzetta di Parma, 30 aprile 2009)

 
 
 

La biblioteca fantasma. Codici bobiensi esposti a Bologna - secc. X-XVII

Post n°59 pubblicato il 22 Aprile 2009 da CarloBajaGuarienti
 
Foto di CarloBajaGuarienti

Oggi sarò a Bologna all'inaugurazione di una mostra di codici provenienti da Bobbio organizzata dalla Soprintendenza Archivistica per l'Emilia Romagna.

Ministero per i Beni e le Attività Culturali

SOPRINTENDENZA ARCHIVISTICA PER L’EMILIA ROMAGNA

BOLOGNA

La biblioteca fantasma

Codici bobiensi esposti a Bologna

secc. X-XVII

 

a cura di Leandra Scappaticci

 

organizzata in collaborazione con gli

Archivi Storici della Diocesi di Piacenza-Bobbio

e della Casa dell’Arte al Teatro in Piacenza

che si terrà nella nuova sede della Soprintendenza

 Archivistica per l’Emilia Romagna,

Sala di Enea, Strada Maggiore 51, Bologna

 

Mercoledì 22 aprile 2009 alle ore 16

 

In occasione della XI Settimana della Cultura  

La mostra sarà visitabile fino al 15 maggio

dalle ore 9 alle ore 12,30 dal lunedì al venerdì;

per gruppi con prenotazione

 tel. 051.261107 – fax 051.239400 e-mail sa-ero@beniculturali.it

 
 
 

Scrittori paralleli

Post n°58 pubblicato il 20 Aprile 2009 da CarloBajaGuarienti
 
Foto di CarloBajaGuarienti

Mi è tornato fra le mani un libro di tre anni fa, uno dei migliori romanzi che io abbia letto negli ultimi anni.

(R. Fresán, I giardini di Kensington, Mondadori 2006)

Carlo Baja Guarienti

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Essere scrittori a Buenos Aires oggi significa necessariamente confrontarsi con un modello letterario, quello di Borges, ingombrante e pericoloso: seguire le orme del grande bonaerense significa infatti inserire nella propria tavolozza un colore sempre affascinante quanto immediatamente riconoscibile. Ma, nonostante la nota di copertina del volume Mondadori suggerisca questo pericolo («Fresán è un Borges pop»), I giardini di Kensington è l’opera di un autore pienamente capace di esprimersi con la propria voce.

Né solamente romanzo né, tantomeno, puro saggio biografico, il libro è in realtà un monologo lungo quattrocento pagine, una sorta di viaggio all’inseguimento dei pensieri e ricordi di un protagonista insolito: Peter Hook, scrittore di best seller per ragazzi, che in preda ad una lucida follia ricostrisce la genesi del suo estremo, spettacolare atto di narcisismo raccontando la propria vita e quella di James Matthew Barrie, l’autore di Peter Pan.

Due vite, dunque, come filo conduttore. Una reale per quanto a tratti incredibile, l’altra immaginaria benché ricostruita nei minimi particolari. Due epoche e – forse – due città che, pur condividendo il nome di Londra, sono diversissime: una - la Londra del primo Novecento - percorsa da un inarrestabile fermento letterario e artistico, l’altra – la swinging London degli anni Sessanta – immersa nella multicolore epopea kitsch del rock and roll.

Nella prima città un giovane giornalista introspettivo e di bassa statura, una sorta di elfo perso nella metropoli, giunge in sordina per sconvolgere il mondo della letteratura. L’impero britannico conosce in quegli anni una fioritura culturale senza precedenti: è il tempo di Rudyard Kipling e Henry James, di William Butler Yeats e George Bernard Shaw, di Hardy, di Wells con la sua macchina del tempo e di Conan Doyle con il suo infallibile Sherlock Holmes. Classici viventi della letteratura inglese, figli del lungo e prospero regno di una regina chiamata (nomen omen) Vittoria. In mezzo a questi nomi, alcuni dei quali sono suoi amici e ammiratori, Barrie si muove con tutta la carica anticonformista del suo carattere: convince Chesterton e Shaw ad interpretare una coppia di grotteschi cow-boys in un filmino casalingo, forma con Arthur Conan Doyle e Jerome K. Jerome una squadra di cricket battezzata «Allahakbarries», passeggia con il suo gigantesco san Bernardo Porthos nei giardini di Kensington. Proprio qui, mentre simula incontri di boxe con Porthos per il divertimento dei bambini, Barrie conosce i fratelli Llewelyn Davies: è l’inizio di una grande amicizia fra uno scrittore eternamente bambino e una famiglia segnata da un’interminabile sequenza di lutti. È l’inizio della storia di Peter Pan, il bambino che nei giardini di Kensington si nasconde per sfuggire al tempo.

Nell’altra Londra, quella anni Sessanta, nasce Peter Hook: pseudonimo ambiguo e ironico di uno scrittore la cui strana infanzia psichedelica inizia con Bob Dylan intento a vomitare su una collezione di soldatini. L’infanzia di Hook, divisa tra le feste delle stelle del rock e i loro funerali, è in qualche modo quella di un Batman cinico e antieroico, perso nei meandri delle sue stesse creazioni letterarie; e nella biografia fittizia s’inserisce così la bibliografia fittizia, l’epopea del giovane Jim Yang amato e odiato dal suo creatore. In questo gusto per la ricostruzione minuziosa di particolari inventati, certamente, Fresán ricorda le complesse architetture narrative di Borges.

Ma al di là della passione letteraria, che traspare da ogni pagina, stupisce la capacità che Fresán dimostra nel difficile compito di inseguire con la penna i pensieri del suo protagonista. I ricordi si annodano, procedono a salti tra il passato e il presente, talvolta prendono direzioni del tutto inaspettate; ma il meccanismo della narrazione padroneggia tutto e anche le stravaganze (come un interminabile e divertito elenco di celebrità scatenate ad una festa) sono architettate con intelligenza misurando attentamente ironia e riflessione. Perché la vita di Barrie, come quella di Hook e come tutte le altre, è un palcoscenico sul quale la commedia può in qualsiasi momento, inaspettatamente, lasciare il posto alla tragedia.

(Gazzetta di Parma, 9 giugno 2006)

 
 
 

Legge e imparzialità: iconografia e storia di un nobile ideale.

Foto di CarloBajaGuarienti

(Adriano Prosperi, Giustizia bendata. Percorsi storici di un'immagine, Einaudi 2008)

Carlo Baja Guarienti

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Una donna bellissima, dagli occhi bendati, sta ferma sulle scale di un tempio; stringe in una mano una spada – con cui trafigge a caso torme di innocenti – e nell’altra una bilancia carica dell’oro di chi schiva i suoi colpi. All’improvviso un giovane dal berretto rosso le strappa la benda: gli occhi della donna, corrosi e imputriditi, rispecchiano «la follia di un’anima morente».

Così, all’inizio del XX secolo, Edgar Lee Masters rappresentava la giustizia nella sua Antologia di Spoon River. Qualche anno prima Masters, avvocato, aveva tentato invano di difendere un giovane simpatizzante anarchico: nell’aula di un tribunale la legge aveva mostrato apertamente il proprio vero volto colpendo senza ragione, solo per ossequio al potere, un innocente.

La benda, la bilancia, la spada: a questi attributi, la cui associazione i tribunali del mondo anglosassone conoscono molto meglio di quelli italiani, è dedicato l’ultimo libro di Adriano Prosperi, Giustizia bendata. Percorsi storici di un’immagine. Prosperi, docente alla Scuola Normale Superiore di Pisa, in questo volume studia la storia attraverso le immagini e le immagini attraverso la storia in quanto, come lo stesso autore sottolinea, il gioco dei simboli è storicamente determinato e dietro a ogni particolare di un’iconografia si nasconde un significato.

Osserviamo, così, la bilancia passare dalle mani della dea egizia Ma’at a quelle della giustizia dei pittori umanisti: in mezzo, a congiungere con una linea questi punti lontanissimi, la Bibbia e le rappresentazioni medievali del Giudizio Universale. Qui la bilancia è attributo dell’arcangelo Michele, pesatore di anime, che punisce i peccatori con la spada; spada che ritorna, in alcune raffigurazioni del Giudizio, come forma visibile della sentenza pronunciata da Cristo.

Molto più problematico il ruolo della benda, che copre gli occhi di Cristo nella Passione e che ancora oggi è imposta ai condannati a morte. Nell’iconografia della sinagoga ebraica essa rappresenta la cecità di chi non seppe riconoscere il figlio di Dio e, analogamente, al suo primo apparire come attributo della giustizia ha un significato negativo: nella Nave dei folli di Sebastian Brant, opera pubblicata a Basilea nel 1494, è proprio un folle a nascondere la verità agli occhi della giustizia. Nel giro di pochi anni, tuttavia, la cecità della giustizia diviene garanzia di equità: il giudice, bendato, applica la legge senza che le apparenze del mondo possano indirizzare la sua sentenza.

Ma quale volto ha oggi la giustizia? Quello impassibile attribuitole dal Giambologna e da Battista Dossi o quello folle e corrotto intravisto da Lee Masters? Lo spettacolo offerto dai tribunali, quello spettacolo che le telecamere mostrano al pubblico e che spesso divide gli spettatori in ultras della condanna o dell’assoluzione, è una rappresentazione di equità o di parzialità? Difficile rispondere. Ma forse non è un caso che anche in Italia gli storici (fra gli autori di importanti studi recenti troviamo anche Ottavia Niccoli, Cesarina Casanova e Giancarlo Angelozzi) si interroghino sulla nascita, sulla natura, sui limiti d’azione di quella misteriosa e terribile donna bendata.

 

(Gazzetta di Parma, 1 aprile 2009)

 
 
 

Nuova luce per un antico splendore. Gli affreschi di Lelio Orsi, 21 e 28 aprile 2009

Post n°56 pubblicato il 21 Marzo 2009 da CarloBajaGuarienti
 
Foto di CarloBajaGuarienti

Oggi sarò all'inaugurazione dell'ex canonica del borgo di Castello Querciola, affrescata dal giovane Lelio Orsi negli anni Quaranta del Cinquecento e oggi restituita all'antico splendore grazie a un eccezionale lavoro di restauro.

Dal sito del comune di Viano:

Ex Canonica di S. Maria Castello Querciola-Viano

Inaugurazione
sabato 21 marzo 2009
Borgo di Castello Querciola - Viano
ore 16.00_Inaugurazione degli spazi della Ex-Canonica e della Sala con gli affreschi restaurati di Lelio Orsi , alla presenza delle Autorità e rappresentanti della Cultura.
ore 21.00_Concerto per flauto e chitarra del Duo Puddu-Maffizzoni - Rassegna "Concerti di Primavera" Circolo Didattico Musicale "Ferruccio Busoni"
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Sempre a Querciola sabato prossimo, 28 aprile, interverrò alla tavola rotonda in cui saranno discussi i lavori e le ricerche.
sabato 28 marzo 2009
Tavola rotonda sui lavori di restauro
Borgo di Castello Querciola - Viano
ore 16.00_ Nuova luce per un antico splendore. Tavola rotonda: i restauri della canonica del Vescovo e del fregio di Lelio Orsi
Saluti di Roberto Lucenti (Sindaco del Comune di Viano) e di Clementina Santi (Assessore alla cultura della Comunità Montana)
Intervengono:Mons. Tiziano Ghirelli (Direttore Museo Diocesano di Reggio Emilia-Guastalla), dott. Angelo Mazza (Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico per le province di Modena e Reggio Emilia), arch. Maria Cristina Costa (Responsabile del recupero architettonico), dott. Sabino Giovannoni (Responsabile dei restauri pittorici), dott.ssa Vittoria Romani (Storica dell’arte). Interverranno anche: ing. Azzio Gatti, dott. Carlo Baja Guarienti, arch. Francesco Lenzini.
 
 
 

"La reggia di Rivalta". Incontro con Alberto Cadoppi.

Foto di CarloBajaGuarienti

Circolo del Casino, via Gabbi 16, Reggio Emilia

Giovedì 5 marzo 2009, ore 18.30

Ciclo di incontri a cura di Carlo Baja Guarienti

 

Giovedì 5 marzo 2009 alle ore 18.30 si terrà presso il salone Vellani del Circolo del Casino di Reggio Emilia la quinta conferenza del ciclo di incontri dedicati dalla Società del Casino alla storia di Reggio.

Il tema trattato dal prof. Alberto Cadoppi dell’Università di Parma, ospite dell’incontro, sarà “La reggia di Rivalta”: la storia della “piccola Versailles” sarà ricostruita a partire dalle origini per giungere all’apice dello splendore e, infine, all’attuale decadenza.

L’incontro è gratuito e aperto al pubblico.

 

Alberto Cadoppi, professore ordinario di Diritto penale presso l’Università di Parma, è autore anche di numerosi saggi di storia e storia dell’arte.

 
 
 

Il quarto “Giornale dei viaggi” di Francesco IV d’Austria-Este.

Foto di CarloBajaGuarienti

Presenta Angelo Spaggiari (Deputazione di Storia Patria – Archivio di Stato di Modena)

Giovedì 19 febbraio 2009, ore 18.30

Circolo del Casino, via Gabbi 16, Reggio Emilia.

All’interno del ciclo di incontri culturali promossi dal Circolo del Casino di Reggio Emilia si terrà giovedì 19 febbraio 2009 la presentazione del volume “Giornale dei viaggi – IV” di Francesco IV d’Austria-Este, duca di Modena e Reggio, pubblicato da Antiche Porte.

I giornali di viaggio che Francesco IV d’Austria-Este ha lasciato tra i documenti d'archivio a Modena, capitale del ducato, regalano a studiosi e appassionati preziose informazioni ed emozioni del XIX secolo, raccolte dall'autore direttamente lungo i tracciati dei percorsi effettuati.

Due i tour riportati nell'ultimo volume: 1826, da Reggio a Genova e in val d’Aosta, e 1828, da Modena alla Garfagnana. In entrambi la solita attenta, precisa e curiosa descrizione di luoghi, monumenti genti e abitati visitati dal duca.

Ne nasce non solo una fotografia inedita di quei territori oggi quasi irriconoscibili, ma anche un reportage sul modo di viaggiare (pur d’élite) dell’epoca che spinge il lettore ad un raffronto con i viaggi odierni.

Presenta l'opera Angelo Spaggiari, presidente della Deputazione di Storia Patria per le Antiche Province Modenesi.

 

 

La conferenza, aperta al pubblico, avrà luogo alle ore 18.30 di giovedì 19 febbraio 2009 presso il salone Vellani del Circolo del Casino in  via Gabbi 16.

 
 
 

"La giustizia criminale in una citta' di antico regime" di Cesarina Casanova e Giancarlo Angelozzi.

Post n°53 pubblicato il 12 Febbraio 2009 da CarloBajaGuarienti
 
Foto di CarloBajaGuarienti

Segnalo l'uscita di un ricchissimo studio di Cesarina Casanova e Giancarlo Angelozzi: La giustizia criminale in una citta' di antico regime. Il tribunale del Torrone di Bologna (secc. XVI-XVII), Clueb 2009. Dalla quarta di copertina:


Questo libro consta di due parti distinte ma interdipendenti. La prima ricostruisce le negoziazioni quotidiane intercorse tra Bologna e Roma sul tema più scabroso sia per il Senato sia per il papa re: l'esercizio della piena giurisdizione criminale per quest'ultimo, la difesa delle prerogative della città per il primo, affrontando la questione 'giustizia' nei suoi termini più specificamente politici, quindi dando conto di come il ceto dirigente bolognese si rapportò e reagì alla giustizia dei "Superiori", e come questi risposero alle sue sollecitazioni, in un arco temporale che va dagli anni Trenta del XVI secolo agli anni Settanta del XVII. Il lavoro ha così potuto documentare le condizioni concrete mediante le quali il potere pontificio riuscì a imporre un controllo effettivo sulla città, quasi sempre senza ledere e senza negare apertamente i suoi privilegi, ma nel contempo senza mai riconoscerli in modo esplicito e incondizionato. Nella seconda parte, incentrata soprattutto sugli ultimi decenni del XVII secolo, sono state messe a fuoco le procedure adottate dal tribunale criminale di Bologna: si è cercato cioè di ricostruire sia le pratiche forensi che scandivano i passaggi dell'iter processuale - dalla denuncia alla sentenza - sia le auctoritates dottrinali seguite nelle tecniche degli interrogatori, nel vaglio delle prove, nell'uso che veniva fatto della tortura, nei margini concessi alla difesa dei rei. Dallo spoglio dei fascicoli, ampio come mole ma forzatamente limitato nel numero degli anni, sembra emergere un atteggiamento cauto nei giudici, già disposti, parecchi decenni prima di Beccaria, a interrogarsi sulla illusoria certezza delle prove, sui limiti dell'arbitrio dei giudici e persino sulla inevitabilità o meno dell'uso della tortura.

 
 
 

L’università a Reggio nel Medioevo.

Post n°52 pubblicato il 03 Febbraio 2009 da CarloBajaGuarienti
 
Foto di CarloBajaGuarienti

Conferenza di Simone Bordini (Università di Parma)

Giovedì 5 febbraio 2009, ore 18.30

Circolo del Casino, via Gabbi 16, Reggio Emilia.

 

All’interno del ciclo di incontri culturali promossi dal Circolo del Casino di Reggio Emilia si terrà giovedì 5 febbraio 2009 una conferenza su “L’università a Reggio nel Medioevo”.

Il relatore affronterà la breve ma significativa storia della scuola giuridica reggiana
guardando al rapporto da questa mantenuto con la società cittadina e sottolineando il rilievo, spesso sottovalutato, che lo Studium avrebbe potuto avere nella politica condotta - anche attraverso le armi della cultura - da Federico II nel Nord Italia. Sarà dato rilievo, inoltre, ad alcune figure di docenti di diritto che insegnarono a Reggio facendo della città un  centro di cultura superiore.

 

La conferenza, aperta al pubblico, avrà luogo alle ore 18.30 di giovedì 5 febbraio 2009 presso il salone Vellani del Circolo del Casino in  via Gabbi 16.

 

Simone Bordini è nato a Reggio Emilia nel 1972, si è laureato in Lettere moderne e addottorato in Storia medievale presso l'Università degli Studi di Parma, dove è stato anche assegnista di ricerca presso i dipartimenti di Storia e di Italianistica. Dal 2000 collabora con il Consorzio Interuniversitario ICoN ( Italian Culture on the Net ) per la didattica in Rete, per il quale, dal 2004, è tutore delle e-classrooms di Storia medievale, Storia moderna e Storia della Chiesa. Coordina lo stage di "Comunicazione storica e pratiche digitali", afferente all'insegnamento di Storia medievale tenuto da Roberto Greci, con il quale, dal 2005-2006, divide l'insegnamento di Storia e metodologia delle scienze storiche II, presso la sezione di Parma della Scuola di Specializzazione per l'Insegnamento Secondario (SSIS). Sempre nell'ambito della SSIS insegna "Didattica della Storia". Dirige la collana editoriale "Itinerari Medievali per la Didattica" per l’editrice Clueb di Bologna.

I suoi interessi di studio sono rivolti principalmente alla storia delle università e alle scritture memorialistiche. Fra le sue pubblicazioni La storia mediata. Il Medioevo visto dal Web: percorsi di ricerca e di didattica, Bologna, CLUEB, 2008.

 
 
 

Il gotico palustre di Karen Russell.

Post n°51 pubblicato il 29 Gennaio 2009 da CarloBajaGuarienti
 
Foto di CarloBajaGuarienti

(Karen Russell, Il collegio di Santa Lucia per giovinette allevate dai lupi, Elliot 2008)

Carlo Baja Guarienti

-

Sulla Mongolfiera dell’Insonnia di Thomas Edison - una gigantesca lampadina sospesa sopra un cesto di vimini - Emma ed Elijah si abbandonano al volo semicosciente che accompagna gli umani verso il sonno: persi, come gli altri bambini del Campo di Z.Z. per Sognatori Disturbati, fra visioni del passato e sonnambuli errabondi, attendono inconsapevoli che la fine dell’estate si porti via gli ultimi bagliori dell’infanzia.

E poi Ava e Osceola fra spiriti e alligatori nella palude notturna, Waldo e Timothy alla ricerca di un fantasma nel Cimitero delle Barche, Jacob al seguito di un padre minotauro nella migrazione verso l’Ovest: i bambini protagonisti del sorprendente Il collegio di Santa Lucia per giovinette allevate dai lupi, raccolta di racconti pubblicata in Italia da Elliot, sono creature innocenti e inquietanti, spaventate e feroci, comunque bizzarre come i paesi in cui sono cresciute. L’isola palustre che fa da teatro a metà delle storie è un mondo al crocevia fra gli scenari desolati di Julio Ramón Ribeyro (si pensi alla discarica di Avvoltoi senza piume) e quelli gotico-grotteschi di Tim Burton, una sorta di luna park in rovina in cui si fondono orrori e meraviglie.

L’esordiente Karen Russell, classe 1981, possiede una voce già matura, uno stile personale ed evocativo: nelle sue pagine, sempre pervase da una sottile inquietudine, una pecora morta giace «come una nuvola assassinata» e le due teste di un mostruoso cucciolo di renna piangono all’unisono sotto le fucilate dell’allevatore. La giovane autrice si inserisce, così, senza debiti stilistici nella tradizione di autori americani come Ray Bradbury, il miglior Stephen King e Joe Lansdale: narratori che attraverso la letteratura di genere - e in particolare quella fantastica – scrivono di angosce e illusioni che tutti conosciamo. Scrivono, soprattutto, della fine dell’innocenza, il momento in cui ognuno, come le «giovinette allevate dai lupi» del titolo, deve lasciarsi alle spalle sogni e incubi dell’infanzia per aprire gli occhi sulla realtà.

(Gazzetta di Parma, 28 gennaio 2009)

 
 
 

Conferenza: gli eretici di Modena.

Post n°50 pubblicato il 19 Gennaio 2009 da CarloBajaGuarienti
 
Foto di CarloBajaGuarienti

Martedì  20 Gennaio 2009 ore 17


presso l’Accademia di Scienze, Lettere e Arti
c.so Vittorio Emanuele II, 59 - Modena


 prof. Marco Cattini, dott. Matteo Al Kalak
Modena: una città eretica tra fede e commerci


 Conferenza e presentazione del volume


Gli eretici di Modena, Milano, Mursia, 2008  


INVITO


informazioni : Accademia di Scienze, Lettere ed Arti
tel. 059.225566 – info@accademiasla-mo.it


 


Durante l'incontro verranno presentati in forma di dibattito i molteplici profili di una città che nel corso del Cinquecento si trovò al centro di importanti trasformazioni. Verranno posti in luce la presenza di focolai di discussione religiosa e culturale, la repressione predisposta dall'Inquisizione romana e i vistosi mutamenti nell'assetto socio-politico della città e del suo governo. Durante l'incontro, aperto alle domande del pubblico, sarà presentato il libro di M. Al Kalak, Gli eretici di Modena. Fede e potere alla metà del Cinquecento.

 
 
 

La Londra sotterranea di Neil Gaiman.

Post n°49 pubblicato il 12 Gennaio 2009 da CarloBajaGuarienti
 
Foto di CarloBajaGuarienti

 (Neil Gaiman, Nessun dove, Fanucci 2008)

Carlo Baja Guarienti

-

«Ci sono elefanti e leoni a Piccadilly Circus?»

La domanda di un immaginario studente straniero, creatura partorita dalla fertile mente dei Jethro Tull, potrebbe essere il punto di partenza per il viaggio di Richard Mayhew, impiegato dalla sbiadita esistenza, che per un gesto di incauta pietà vede aprirsi le porte di una Londra sotterranea nascosta alla vista della gente comune: un mondo bizzarro dove le stazioni della metropolitana rivelano il vero significato del proprio nome – a Blackfriars dimorano i frati neri e presso Earl’s Court vive il Conte con la sua corte in un vagone abbandonato – e la geografia della City appare insieme familiare e stravolta. Nel mondo di sotto, fra cunicoli deserti e canali di scolo, si aggira un folle caleidoscopio di vite: uomini rifiutati dal mondo che conosciamo, mostri mitologici affamati di carne umana, angeli e demoni e creature che da sempre si nascondono all’occhio dell’umanità. E il male e il bene, nel cuore oscuro della metropoli, si mascherano confondendosi e sfumando uno nell’altro.

Nessun dove, romanzo di Neil Gaiman apparso per la prima volta nel 1996, è oggi riproposto in una nuova stesura curata dall’autore e tradotta in Italia da Fanucci; attesissima dagli appassionati del padre di American gods e del fumetto di culto Sandman, questa versione mantiene intatta la capacità di stupire il lettore con invenzioni inesauribili e, allo stesso tempo, rende giustizia alle doti narrative di Gaiman grazie a una maggiore scorrevolezza del testo. Il romanzo, un’equilibrata miscela di atmosfere fantasy ed elementi dark con una certa dose di umorismo, guarda alla città – anzi, alla Città per antonomasia del mondo anglosassone – con una sorta di straniamento che fornisce una spiegazione logica e insieme surreale ai dati della realtà (come i nomi delle stazioni della metropolitana) mentre mostra l’assurdità di alcuni comportamenti che la nostra società ritiene del tutto normali. L’effetto, come accade anche in altri romanzi di Gaiman, è di produrre una letteratura fantastica di facile lettura ma intelligente, divertente ma capace di andare oltre la pura evasione.

(Gazzetta di Parma, 11 gennaio 2009)

 
 
 

"San Prospero patrono di Reggio Emilia: culto e iconografia"

Post n°48 pubblicato il 09 Gennaio 2009 da CarloBajaGuarienti
 
Foto di CarloBajaGuarienti

di Chiara Codeluppi

Civici Musei di Reggio Emilia.

Portico dei Marmi di palazzo S. Francesco - via Spallanzani, 1

Sabato 31 gennaio, ore 17

 
 
 

Il mostro marino di Hauptmann.

Post n°47 pubblicato il 28 Dicembre 2008 da CarloBajaGuarienti
 
Foto di CarloBajaGuarienti

(G. Hauptmann, Il mostro marino, Sellerio 2006)

Carlo Baja Guarienti

-

Il racconto di un marinaio è, per antica tradizione, iperbolico: il resoconto di viaggi in terre lontane giustifica la messa in scena dell’esotico e del curioso, a volte del mostruoso. Ma la storia che un viaggiatore si trova un giorno ad ascoltare in una città portuale italiana, all’interno di un club frequentato da una misera umanità, pretende in qualche modo di essere creduta: forse per la presenza magnetica di una polena scolpita in forma di sirena, tangibile testimonianza di un viaggio per mare, forse per la forza delle parole dello spettrale marinaio di nome Cardenio. Parole evocative, che lentamente disgregano la realtà rivelando quella zona, intermedia fra il mondo degli umani e quello degli dei, in cui mortali e immortali possono sfiorarsi. Cardenio si è affacciato su quel mondo e ora, come il visionario Hanrahan di Yeats, non appartiene più interamente al mondo degli uomini.

Il mostro marino, scritto da Gerhart Hauptmann nel 1934 e ora pubblicato da Sellerio, è pervaso da atmosfere vicine per certi versi a quelle di Ludwig Tieck: anche qui il soprannaturale, nella forma di una creatura la cui apparenza umana è solo un inganno, irrompe nella vita degli uomini per imprimerle una direzione  imprevista e drammatica. L’autore, Nobel nel 1912, ha esplorato con le sue opere i territori del romanzo naturalista e del dramma a sfondo sociale, ma in questa fiaba macabra si abbandona a fantasie simboliste e reminiscenze romantiche creando una sirena, Chimaera, che pare una risposta sepolcrale all’Ondina di La Motte-Fouqué. Chimaera sconvolge la vita di Cardenio con la forza dell’eros, che rovescia le leggi naturali e dissolve i legami umani; come per altri protagonisti di Hauptmann, anche per il marinaio è impossibile sottrarsi a questa forza che trascina l’uomo in un naufragio senza speranza.

«Non voglio essere umana», grida ossessivamente la sirena davanti alle miserie del mondo degli uomini, tanto diverso dalla perfetta esistenza sul fondo del mare. E alcuni commentatori, fra le righe, hanno letto in questo grido, in questo rifiuto della corruttibile natura mortale, l’opposizione ad una condizione non astratta e universale, ma contingente e ben nota all’autore: quella del popolo tedesco, l’umanità che abitava la Germania del 1934.

(Gazzetta di Parma, 10 gennaio 2007)

 
 
 

Il Medioevo attraverso il web.

Post n°46 pubblicato il 17 Dicembre 2008 da CarloBajaGuarienti
 
Foto di CarloBajaGuarienti

(S. Bordini, La storia mediata, Clueb 2008)

Carlo Baja Guarienti

L’avvento di internet ha innescato nella ricerca storica – come in ogni altro campo in cui lo scambio di dati e la reperibilità di fonti rivestano un ruolo di rilievo – una profonda trasformazione. Cataloghi di biblioteche, repertori di fondi archivistici, raccolte iconografiche e riviste di studi consultabili online non hanno semplicemente cancellato la distanza fisica fra lo studioso e il materiale esaminato, ma hanno avviato un processo di mutazione nell’approccio stesso ai dati: la digitalizzazione dei libri, per esempio, consente oggi di interrogare velocemente testi di migliaia di pagine ricevendo in pochi secondi da un software risposte che fino a pochi anni fa avrebbero richiesto molte ore di ricerca. La mole dei dati consultabili online è certamente, oggi, ancora una goccia nel mare delle fonti che uno storico deve conoscere, ma il processo avviato lascia intravedere nel futuro una crescita vertiginosa delle risorse accessibili attraverso un computer.

Il rovescio della medaglia, tuttavia, è ben noto a chiunque abbia tentato almeno una volta di interrogare il web: i motori di ricerca, giganteschi cervelli privi di senso critico e competenze specifiche, non possono selezionare le risposte e finiscono per mietere, insieme al grano, ogni sorta di erba cattiva.

Il rapporto fra la storia (quella medievale in particolare) e il web è al centro del volume La storia mediata (Clueb 2008) di Simone Bordini, giovane docente di Storia e metodologie delle scienze storiche presso l’Università di Parma: uno studio il cui obiettivo è fornire agli storici – ma anche ai non specialisti – una bussola per navigare nell’oceano di internet senza perdersi. Partendo dalla storia del web, le cui origini sono a molti sconosciute, si arriva alla storia nel web, ovvero a una mappa delle risorse online disegnata con il senso critico dello storico. Ma non solo: Bordini riflette anche sulla parentela, all’apparenza inesistente o al limite lontanissima, fra il Medioevo e l’era della tecnologia digitale rilevando, per esempio, l’analogia fra gli ipertesti del XXI secolo e i sistemi di glosse e rimandi interni tipici dei testi medievali. Nel flusso della storia, spesso, le soluzioni di continuità sono più apparenti che reali e ogni fenomeno ha radici nel passato: radici nascoste, magari, ma non per questo meno solide.

(Gazzetta di Parma, 16 dicembre 2008)

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Viaggio nei misteri d'acqua.

Post n°45 pubblicato il 04 Dicembre 2008 da CarloBajaGuarienti
 
Foto di CarloBajaGuarienti

(Maria Savi-Lopez, Leggende del mare, Sellerio 2008)

Carlo Baja Guarienti

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Il mito, hanno scritto studiosi di storia della cultura come Jean-Claude Schmitt, esprime le verità essenziali di una società. Scavando nei miti, andando al cuore delle narrazioni conservate dalla memoria collettiva e rielaborate attraverso i secoli, si può talvolta scorgere un nucleo antico di convinzioni profonde, di paure o fascinazioni ancestrali; e ci sono oggetti mitici – eroi, luoghi, trame – capaci di attraversare i secoli e le frontiere per emergere con uguale forza nel patrimonio folklorico di popoli lontani nel tempo e nello spazio.

Uno di questi oggetti è il mare, sublime potenza distruttrice di civiltà, da sempre crocevia di attrazione e repulsione: l’uomo, pur temendo le tempeste e le maree, non ha mai saputo reprimere il desiderio di scoprire che cosa si trovi oltre le immense distese d’acqua o, almeno, di immaginare all’orizzonte terre favolose. Dai viaggi di Ulisse, incarnazione quasi archetipica del desiderio di conoscenza, ai vagabondaggi della narrativa moderna e contemporanea (si pensi solo a Melville, Conrad o Hemingway), il mare è stato scelto come teatro dell’ultima sfida, la prova che può consacrare l’eroe o annientarlo.

I diversi volti di questo nemico/amico dell’umanità sono ritratti nelle Leggende del mare, opera riscoperta dal catalogo Sellerio (la prima edizione risale al 1894) e dovuta alla penna di Maria Savi-Lopez, studiosa di folklore nata nel 1846 e morta nel 1940: appartenente, dunque, alla generazione di Giuseppe Pitrè, quella generazione di raccoglitori di storie e leggende popolari le cui ricerche hanno aperto la via agli studi di antropologi come Giuseppe Cocchiara ed Ernesto De Martino.

L’autrice, tuttavia, non guarda alle storie con l’occhio analitico dell’antropologo: è soprattutto la poesia dell’opera collettiva del popolo, «poeta sovrano», a conquistarla. Le leggende si susseguono quindi, come sottolinea Antonino Buttitta nella nota conclusiva, per accostamenti tematici che non tengono conto di ottiche diacroniche (si passa senza soluzione di continuità dall’antichità al Novecento) o diastratiche (il racconto popolare è posto sullo stesso piano della poesia colta); tutto è dominato dalla passione narrativa, dal piacere di lasciarsi trasportare sul mare burrascoso della tradizione favolistica. Entrano così in scena sirene e vascelli fantasma, mostri biblici e divinità pagane, città sommerse da maremoti come Atlantide o isole dell’eterna felicità come Thule: visioni che popoli lontani fra loro, come i greci creatori dell’epica omerica e i finni autori del Kalevala, hanno consegnato alla posterità sotto forma di poemi, fantasiosi racconti di viaggio, storie tramandate oralmente. Al centro di tutto un solo protagonista dai molti nomi: che sia chiamato Baltico o Mediterraneo, Atlantico o Pacifico, il deserto d’acqua divide i continenti e unisce le culture nel segno del fascino che le sue immense distese esercitano sull’uomo.

(Gazzetta di Parma, 22 novembre 2008)

 
 
 
 

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