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dal libro: UN ALTRO GIRO DI GIOSTRA di Tiziano Terzani - Ed Longanesi Milano

Post n°208 pubblicato il 11 Maggio 2016 da loredanafina1964

 

QUINTA PUBBLICAZIONE

"Quel Tale nello specchio"  PAG. 27

LA SITUAZIONE era quella di un acquario. E io ero il pesce. Con gli occhi sgranati, respirando a bocca aperta, in silenzio, protetto da tutte le intemperie, rimpinzato di antibiotici, persino vaccinato contro un possibile raffreddore che i medici dicevano nel mio caso avrebbe potuto essere pericoloso, stavo da solo, al sicuro nella mia vasca ad osservare, a volte immobile per ore, il mondo che si agitava appenna fuori dalla mia parete di vetro: New York. 

PAG. 30

A New York è sempre tempo di svendite. L'ultima trovata per spingere la gente a consumare sempre di più e a comprare quel di cui non ha assolutamente bisogno è l'offerta di "Due al prezzo di uno". Su una delle strade che facevo, cercando ogni giorno di cambiare percorso fra casa e ospedale, avevo scoperto un grande magazzino dal nome che sembrava fatto apposta per i miei gusti: Duffy's cheap clothes for millionaires. Milionario non sono mai stato, ma mi sono sempre sentito tale. Quanto ai vestiti, ne ho sempre avuti da poco prezzo, perchè andare in un negozio elegante a comprare quelli costosi mi pareva non fosse una gran scoperta. Lì invece, fra gli scarti delle grandi ditte e le cose passate di moda, c'era un sacco da scoprire, e in pochi minuti, per pochi soldi, riuscii a mettere assieme tutti gli elementi per una mia nuova uniforme: due tute da ginnastica, una blu e una nera; scarpe da tennis, calzerotti, guanti e due bei berretti di lana, uno nero e uno viola, per coprirmi la palla da biliardo che presto sarebbe diventata la mia testa.

L'idea della chemioterapia è semplice: le cellule del cancro hanno una loro maligna caratteristica, quella di sdoppiarsi e di riprodursi. La chemioterapia è una mistura - un "Cocktail", si dice con un eufemismo - di fortissimi componenti chimici che, introdotti nel sistema sanguigno, vanno a giro per il corpo e distruggono tutte le cellule di quel tipo. Il problema è che le cellule del cancro non sono le sole ad avere quella caratteristica. Le cellule dei capelli, del palato, della lingua e di altre superfici mucose, come quelle all'interno dell'intestino, sono dello stesso tipo, per cui anche loro pur utili e sane, vengono aggredite allo stesso modo di quelle malate. "Insomma, è come bombardare col napalm una giungla e distruggere migliaia di alberi per cercare di uccidere una scimmia appollaiata su una palma", dicevo all'infermiera intenta a preparare con cura il primo cocktail con cui mi avrebbe bombardato.

PAG. 31

Avevo una scimmia, ma in verità avevo pensato ai vietcong e a come gli americani in Vietnam, durante la guerra, avevano defogliato intere foreste, distrutto enormi distese di vegetazione, semplicemente per impedire ai guerriglieri di nascondersi e alimentarsi. La logica era la stessa. In Vietnam l'avevo odiata, ma ora mi affidavo a quella stessa logica per cercare di salvarmi.

E già alle prime gocciole rosso fuoco che osservavo, una a una, scendere da un sacchetto trasparente ed entrarmi lentamente nelle vene attraverso un ago affilato nel dorso della mano sinistra, mi pareva che funzionasse.

L'effetto fu immediato e travolgente: la bocca mi si avvampò come investita da una zaffata di napalm e in ogni angolo del corpo, nella punta di ogni dito, sentii arrivare quella fiamma. Stavo seduto in una comoda poltrona che pareva quella di un'astronave , godevo di un vasetto di fiori, modesti ma veri, sul davanzale della finestra e ascoltavo la carissima, giovane infermiera che mi raccontava del suo sogno di andare a vivere in una casa al mare in California. Mi sentivo a mio agio, in buone mani; mi pareva un segno della sua efficacia - e restai male quando, finito quello, la ragazza attaccò all'alimentatore un nuovo sacchetto, l'ultimo componente del cocktail, con dentro una roba incolore come l'acqua che non riuscivo a immaginare potesse farmi alcunchè. Suggerii che tingessero quel liquido scialbo di un bel verde smeraldo o di viola per aggiungere una sua forza psicologica a quella chimica. L'infermiera rise. "E' un'idea!"

Era una attenta. Osservava i pazienti e aveva notato  come ognuno ha un suo modo di affrontare la chemioterapia.

C'è chi la fa meditando, chi si porta dietro un walkman per farla ascoltando la sua musica preferita; c'è chi invece si agita, ne soffre come di una tortura perchè psicologicamente non la vede come una possibile cura e sopratutto non ne accetta le conseguenze, gli effetti negativi - che - si sa - verranno. 

PAG. 32

Grosso modo, l'intero lavoro degli "aggiustatori" mi avrebbe preso sei o sette mesi. Con la dottoressa che coordinava tutta la "riparazione" avevo cercato di contrattare, di ridurre i tempi, di rimandare alcune fasi. "Non potrei aspettare un anno a fare l'operazione?" avevo chiesto. Ma quella, fissandomi negli occhi, non mi aveva lasciato scampo:

"Mister Terzani, you wait - you die".

Se aspettare significava davvero chiudere con questo mondo, non avevo scelta e così smisi anche di discutere. 

Per questo la chemio mi piaceva e mi ci attaccavo come a una corda che qualcuno mi aveva gettato per salvarmi dalla tigre che avevo sopra di me e dal baratro che avevo sotto. Per questo intendevo farla prendendo coscienza di ogni goccia, osservando ogni suo effetto, partecipando alla sua azione con tutta la mia concentrata attenzione. La chemioterapia era l'inizio di un possibile altro pezzo di esistenza, ...un altro giro di giostra. E mi piaceva che nel gergo dell'ospedale il giorno dell'iniezione fosse chiamato "Day One", e che a cominciare da quello si stabilissero le scadenze dei vari esami e dei vari altri trattamenti da fare. Anche per me quello era il "primo giorno"....della nuova era, della mia seconda vita.

PAG. 35

Ho sempre trovato convincente l'idea che con una forte volontà si possa essere liberi anche in una prigione. Uno degli esempi più belli è quello recente di Palden Gyatso, il monaco tibetano che è riuscito a sopravvivere a trentatrè anni di torture e di isolamento nelle galere cinesi, restando libero di spirito. Ma in che misura si riesce a essere liberi quando si è prigionieri del proprio corpo? E comunque, che cosìè questa benedetta libertà di cui oggi tutti parliamo così tanto? In Asia la risposta sta in una storia vecchia di secoli. 

Un uomo va dal suo re che ha grande fama di saggezza e gli chiede: "Sire, dimmi, esiste la libertà nella vita?"

"Certo", gli risponde quello. "Quante gambe hai?"

L'uomo si guarda, sorpreso della domanda. "Due mio Signore". 

"E tu sei capace di stare su una?"  "Certo."

"Prova allora. Decidi su quale."

L'uomo pensa un pòm poi tira su la sinistra, appoggiando tutto il proprio peso sulla gamba destra.

"Bene", dice il re. "E ora tira su anche quell'altra."

"Come? E' impossibile, mio Signore!"

"Vedi? Questa è la libertà. Sei libero, ma solo di prendere la prima decisione. Poi non più."

E io che scelta avevo? Fino a che punto io ero il mio corpo? Che rapporto c'era fra noi due? Ma eravamo davvero due? O la mia mente, con la quale io-io preferivo identificarmi, era semplicemente una delle tante funzioni di quel corpo, per cui assolutamente legata a lui? Il pormi queste domande, con la morte sempre più presente cone una reale possibilità, coi dolori, gli smarrimenti, le malinconie da affrontare, faceva un gran senso, anche se ovviamente non avevo le risposte.

__________________________________________

 

PROSSIMA PUBBLICAZIONE AL PIU' PRESTO.

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 



 
 
 
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