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dal libro: UN ALTRO GIRO DI GIOSTRA di Tiziano Terzani - Ed Longanesi Milano

Post n°210 pubblicato il 24 Maggio 2016 da loredanafina1964

 

S E T T I M A     P U B B L I C A Z I O N E 

 

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Se il corpo è in gran parte quel che ci si mette dentro, il cibo era la cosa principale di cui mi ero dovuto occupare ma l'altra era certo l'aria. Senza mangiare, il corpo può andare avanti per giorni - e gli fa anche bene ogni tanto - , ma senza immetterci aria non dura più di un paio di minuti. Siccome non potevo scegliere la qualità dell'aria che respiravo, potevo almeno imparare come respirarla meglio.

L'idea mi venne da un annuncio pubblicitario che lessi nel giornale: un "maestro"  cinese, durante il fine settimana, avrebbe tenuto un seminario di qi gong (letteralmente "lavoro dell'aria"). Potevano partecipare "persone di tutte le età e in qualsiasi condizione fisica". Mi ci iscrissi, pagai, e alle nove di un sabato mattina mi ritrovai in uno stanzone dal pavimento di legno e le colonne di ferro in uno dei grandi edifici ex industriali in quello che è oggi uno dei quartieri più simpatici e alla moda di New York: la Bowery. Vecchie fabbriche tessili e magazzini dalle belle facciate del primo Novecento sono ora diventati grandi negozi di moda, soprattutto per giovani, gallerie d'arte, centri di cultura "alternativa" e palcoscenico delle più varie attività e affari legati alla new age.

Il seminario di Master Hu era un ottimo esempio di questo nuovo  tipo di consumismo. Al posto di centinaia di ragazze neoimmaginarie messe davanti ad altrettante macchine per cucire, che un tempo in quelle "fabbriche del sudore" avevano fatto la fortuna dell'industria americana delle confezioni, c'erano ora una cinquantina di donne giovani e di mezza età - io e un altro tipo eravamo l'eccezione - intente ad ascoltare Master Hu che in un elementarissimo inglese, spesso con interventi integrativi di un suo assistente-imbonitore, spiegava "uno dei più antichi segreti della Cina". Dall'accento capii subito che l'imbonitore era italiano; la ragazza coreana alla cassa era la sua compagna. Il qi-gong, allo stesso modo del pranayama praticato in India, è l'arte di controllare il proprio respiro e di indirizzare la forza vitale nelle varie parti del corpo, al di là, ovviamente, dei polmoni. Essendo vissuto per tanti anni in mezzo ai cinesi, avevo visto nei giardini pubblici, all'alba, molta gente, specie anziana, fare quei lenti, concentratissimi movimenti e avevo sentito dire delle loro grandi qualità terapeutiche.  A Pechino, un'amica di Angela, dopo essere stata operata di cancro, era stata mandata dalla sua unità di lavoro a un corso di qi-gong e raccontava di averne tratto un gran beneficio. 

Quando venni arrestato e poi espulso dalla Cina avevo appena incominciato a prendere lezioni di questa antica ginnastica del corpo e dello spirito. Mi sarebbe stato utile aver finito quel corso a Pechino tenuto da un vecchio operaio che aveva praticato quell'arte tutta la vita. Invece mi ritrovavo nel mezzo di New York a sentire le banalità di Master Hu che diceva: "il qi-gong che vi insegno, se praticato correttamente, cambia il vostro carattere, vi rende più amabili e, nel caso delle donne, rende loro molto più facile trovare marito". Povero Master Hu: era arrivato in America da poco e non si era ancora reso conto che lì quel ragionamento non funzionava, anzi era "politicamente scorretto".

Trascorsi la giornata imparando vari esercizi: i primi per rendersi conto che si respira perchè si allarga il petto e non viceversa, altri per imparare a respirare non solo aprendo la cassa toracica, ma anche la pancia e il basso ventre. Un esercizio particolare fu quello di stare con le ginocchia leggermente piegate, i piedi separati, così da essere in linea con le spalle, e di tenere un'immaginaria palla di energia fra le mani immobili, sospese all'altezza dell'ombelico. Dopo una decina di minuti bisognava immaginare che la palla girasse prima in un senso, poi nell'altro. "Ora provate a separare le mani e vedrete quanto è difficile. Per alcuni di voi sarà impossibile", disse Master Hu. Alcune donne, entusiaste, riconobbero che era davvero così. Le loro mani si erano immobilizzate in un "campo magnetico". Non le mie.

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Un ultimo esercizio fu quello di chiudere gli occhi e, tenendo sempre le ginocchia leggermente piegate, immaginare d'essere coi piedi per terra e con la testa altissima per aria. Questo mi piacque perchè quello era il mio ideale di uomo realizzato: radicato nelle cose, ma sognatore.

Alla fine della prima giornata mi presentai al Maestro, gli chiesi di raccontarmi la sua storia e presto mi ritrovai a far parte del suo seguito, assieme all'italiano-imbonitore e alla ragazza coreana, in un ristorante vegetariano. Per strada l'imbonitore mi raccontò di essere venuto negli Stati Uniti subito dopo il servizio militare, a cercare lavoro come orafo. non c'era riuscito, ma aveva scoperto, come mi disse lui stesso, che "fare il guaritore era più interessante". Certo era anche più facile e redditizio. Aveva frequentato vari corsi di arti marziali, dal kung-fu al judo, dall'aikido al tai ji quan; poi aveva incontrato Master Hu e i due si erano appaiati, usando bene l'uno dall'altro. La ragazza coreana si era accodata. Era stata appena licenziata da un'azienda farmaceutica e ora aspirava anche lei a diventare guaritrice. 

L'imbonitore mi parlò molto dei "miracoli" del Maestro. Mi disse che era capace di muovere cose a distanza e di far volare fogli di carta e altro semplicemente con la sua energia. "Io ho appena imparato a curare l'emicranea, ma lui è capace di tutto", concluse. La cura del cancro era ovviamente una delle specialità vantate dal Maestro e l'imbonitore giurò di aver visto personalmente dimezzare, già dalla prima seduta, il volume di certi tumori sottoposti alla "energia" di Master Hu. Il Maestro era ugualmente convinto di poter aiutare Giovannino Agnelli, che proprio in quelle settimane era lì a New York, all'MSKCC, ma non sapevano come mettersi in contatto con lui. Mi guardai bene dal dire che anch'io ero un cliente di quella istituzione e che era un caso ben strano quello di ritrovarmi col giovane Agnelli, dopo il nostro bell'incontro-intervista in India e dopo tutta una serie di inspiegabili coincidenze, sotto lo stesso tetto, con un simile malanno, nelle mani degli stessi aggiustatori.

Il Maestro e il suo seguito erano ovviamente alla ricerca di un'occasione per diventare famosi; avevano bisogno di fare un "miracolo" e volevano "miracolare" qualcuno la cui notorietà potesse dar loro prestigio. Potevo avercela con loro? Tutto il mondo funziona ormai così: il mercato è tutto quel che conta, la sola moralità è quella del profitto e ognuno arranca come può per sopravvivere in questa giungla. Al momento pare impossibile cambiare alcunchè. Posso solo dire che non mi piace.

In fondo, la storia di Master Hu era bella e patetica. Nato nella provincia di Gansu, una delle più remote e povere della Cina, era cresciuto in un villaggio dove la famiglia da secoli era vissuta grazie a un suo "segreto": la cura contro le bruciature. Il segreto era semplice: prendevano le bucce dei meloni e le mettevano in otri di terracotta. Gli otri, sigillati, venivano messi tre metri sotto terra e lasciati li per mesi. Il liquido prodotto dalle bucce era miracoloso. Bastava passarlo sulla pelle bruciata e quella guariva. Mi immagino la strada di un vecchio, classico villaggio cinese: le case basse coi tetti di lavagna e i pavimenti di terra battuta, i contadini che passano, quelli con le bruciature che arrivano da lontano per farsi curare. Tutto aveva un senso, tutto era a misura d'uomo e aveva una sua magia. E ora, ecco la globalizzazione, il libero mercato, la libera circolazione delle idee e dei desideri che hanno spinto il giovane Hu a diventare "Master Hu" e a mettersi sulla piazza del mondo a vendere il bene più richiesto: la speranza. La speranza di guarire le bruciature? Ovviamente no. Per quelle ci sono ormai pomate in ogni farmacia. La speranza di guarire il cancro, contro cui non è ancora stato trovato niente di sicuro.

"Ha notato quella donna in fondo alla stanza, proprio vicino a lei?" mi chiese l'imbonitore. "Non vuole che lo si sappia, ma a lei posso dirlo: quella ha il cancro al seno. Ha deciso di non farsi operare, di non fare la chemioterapia e di affidarsi alle cure di Master Hu." Certo che l'avevo vista pallida, impaurita. All'ora del pranzo si era seduta per terra contro la parete, da sola. Dalla borsa aveva tirato fuori una ciotola con dentro una brodaglia verdastra, probabilmente frutto di qualche altra saggezza cinese o macrobiotica, e in silenzio, senza gioia, si era messa a sorseggiarla. Che mondo!

Il giovane imbonitore italiano avrebbe forse fatto bene l'orafo al suo paese, il giovane Hu avrebbe potuto continuare la tradizione di famiglia, la ragazza coreana sarebbe forse rimasta felicemente nella sua Corea; invece, spinti dall'orribile vento dei tempi, erano tutti finiti come naufraghi su una spiaggia lontana, momentaneamente uniti a cercare di sopravvivere vendendo fumo in un loft di New York e dando a una povera donna sola l'illusione che la loro ciarlataneria era meglio della chemio e di quello che la scienza occidentale, pur coi suoi limiti, poteva offrirle.

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PROSSIMA PUBBLICAZIONE AL PIU' PRESTO.


 

 

 

 

 

 



 

 

 

 

 

 

 


 
 
 
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