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dal libro: "Un altro giro di giostra" di Tiziano Terzani - Le pagine più interessanti.

Post n°212 pubblicato il 13 Giugno 2016 da loredanafina1964

 

9^  PUBBLICAZIONE

Pag. 48

A New York mi incuriosiva l'insistenza giornalistica con cui la morte di ognuno veniva attribuita a una causa specifica. Di nessuno si scriveva: " E' morto perchè è nato".

Pag. 49

Anche nei giorni di grande stanchezza - il decimo dopo il bombardamento era il peggiore - facevo di tutto per mantenere la routine che mi ero imposto come segno del mio non mollare. Ci sono ammalati che smettono di lavarsi i denti, di pettinarsi, come se niente più valesse la pena o come se quel corpo, causa di tutti i malanni, non potesse essere più amato e diventasse oggetto di disprezzo e di odio. Non volevo essere di quelli. Per cui: passeggiata a Central Park, mexx'ora immobile sotto un'albero, un po' di ginnastica, colazione, l'iniezione nella pancia. E poi una camminata più lunga possibile, anche di cinquanta strade: avanti e indietro a passo svelto, finchè ce la facevo. Quello, anche se a volte stentavo a riconoscerlo, era dopo tutto il solo corpo che avevo e tenerlo in esercizio era il meglio che potessi fare.

C'erano giorni in cui, rientrato a casa, ero così stanco che non riuscivo neppure ad accendere il computer per mandare ad Angela quel messaggio quotidiano che era uno dei miei legami più autentici col mondo. Il solo a cui veramente ancora tenevo. La decisione di passare questo periodo da solo, lontano dalla famiglia, senza nessuno accanto di cui avrei goduto, ma di cui avrei dovuto anche tener conto, era stata istintivamente saggia. Non avevo da preoccuparmi delle preoccupazioni altrui e potevo concentrare meglio tutte le mie energie, tutta la mia attenzione.

Come un vecchio veliero che, cercando di non andare a fondo in mezzo a una tempesta, butta a mare tutta la zavorra - le casse della polvere, i barili del rum e tutto quel che prima era sembrato indispensabile -, io riducevo all'essenziale i rapporti umani e tagliavo via tutti i legami inutili, quelli tenuti per abitudine, per opportunismo, o per semplice cortesia.

Il mio era diventato un mondo di silenzi, di ore vuote, di piccoli gesti, di rigiri inutili, di un'instabile pace mantenuta tenendo a bada ogni soffio dei tanti venti che si agitavano fuori da quelle belle finestre. Passavo ore a guardare il mutare di un grattacielo nell'Est Side: nero all'alba, come un birillo contro il cielo arancione e terso, grigio poi nella grande luminosità del giorno, splendido come un cero ardente la sera, quando appena dopo il tramonto, gli si accendevano i piani altri, come volesse diventare una torcia per risciarare le mie notti a volte insonni.

C'erano giorni che passavano senza che dicessi o sentissi una sola parola, e quasi non riuscivo a dare il "buongiorno" o la "buonasera" al portiere dominicano di turno quando uscivo per la mia passeggiata o per andare a fare la spesa.

Godevo di una testa che era sempre più vuota, di un cuore che era sempre meno conflittuale e di quel tempo che passava così velocemente come mai prima. Per giunta, senza darmi angosce di inutilità e sensi del dovere. Non avevo nulla da fare, nulla da sognare, nulla da sperare, tranne stare lì dov'ero: in silenzio.

Pag. 50

Adoravo questo non dover parlare, non dover andare a cena o a pranzo con qualcuno, non dover ricorrere alla parte che avevo fatto tutta la vita. Che gioia non dover recitare lo stesso repertorio! Quante chiacchiere ho fatto! Quanta gente, tornando da un viaggio, ho intrattenuto a cena con storie e impressioni che andavano via come le bottiglie di vino!

Ce l'avevo con l'essere stato giornalista, con quella continua necessità di farsi accettare da un ministro o da un presidente per avere un'intervista, da un ambasciatore per ottenere un visto per il suo inospitale paese. Mi pareva che la professione mi avesse deformato: sempre quel mettere il piede nella porta, ingraziarsi, essere ricordato, accettato, quel raccogliere informazioni, aneddoti o semplicemente una citazione con cui impinzare un articolo! Era finalmente finita. Quel Tiziano Terzani (quel me lì) non c'era più, finalmente bruciavo via dal bel liquido rosso fosforescente della chemio. Non dovevo più fare telefonate, non dovevo più andare a una qualche "colazione di lavoro"! Che assurda abitudine, questa nostra, di socializzare, conoscere gente,  lavorare.....mangiando! Perchè, se si ha bisogno di vedere qualcuno o di conoscere una nuova persona, lo si deve fare biascicando qualcosa? Perchè non facendo una passeggiata lungo un fiume o andando assieme a giocare a bocce?

Pag. 51

Avevo cominciato Un indovino mi disse scrivendo: "Una buona occasione nella vita si presenta sempre. Il problema è saperla riconoscere". Nel 1993 l'avevo riconosciuta nella profezia che mi voleva morto in un incidente aereo se avessi volato - e non volai. Mi pareva che il cancro fosse un'altra buona occasione.

Avevo spesso scherzato dicendo che il mio sogno era quello di chiudere la mia bottega giornalistica, tirare giù il bandone e metterci il cartello "Sono fuori a pranzo". C'ero finalmente riuscito. Ero ormai definitivamente "fuori a pranzo". Quel cancro era come se me lo fossi andato a cercare.

Presto diventai fisicamente come Marlon Brando in Apocalisse Now e proprio come lui mi sentivo "una lumaca che scivola lungo un filo del rasoio". Ero obbiettivamente orripilante, ma mi costrinsi a dirmi che non ero poi così male, che ero in forma, e questo, ne sono certo, mi fece bene davvero. Entravo in ospedale tenendomi il più diritto possibile e sorridendo. A chiunque mi chiedesse come stavo rispondevo: "Meravigliosamente"., e il sorriso divertito di chi non era costretto a compiangermi e poteva risparmiarsi le solite  banalità vagamente consolatorie contribuiva a farmi star meglio. D'altro canto che alternative avevo, a parte quella di fare o non fare la vittima? Per istinto preferivo non farla.

Visto che mi capitava, tanto  tanto valeva che facessi buon uso di quell'esperienza. Per ricordarmelo m'ero attaccato sul tavolo, dove ogni giorno cercavo di tenere il mio diario, i versi di un monaco zen coreano del secolo scorso:

Non chiedere di avere una salute perfetta

Sarebbe avidità

Fai della sofferenza la tua medicina

E non aspettarti una strada senza ostacoli

Senza quel fuoco la tua luce si spegnerebbe

Usa la tempesta per liberarti.

 

Cominciai a prendere quel malanno come un ostacolo messomi sul cammino perchè imparassi a saltare. La questione era se ero capace di saltare in su, verso l'alto, o solo di lato o, peggio ancora in giù. Forse c'era un messaggio segreto in questa malattia: m'era venuta perchè capissi qualcosa! Arrivai a pensare che quel cancro, inconsciamente, l'avevo voluto io. Da anni avevo cercato di uscire dalla routine, di rallentare il ritmo delle mie giornate, di scoprire un altro modo di guardare le cose: di fare un'altra vita. Ora tutto quadrava. Anche fisicamente ero diventato un'altro.

_____________________________

PROSSIMA PUBBLICAZIONE AL PIU' PRESTO.

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 


 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
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Ciao, bel post, complimenti. Ti auguro una dolce notte....
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Il verso della lepre o il raglio dell'asino invece non...
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grazie :) NMHRK
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