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dal libro: UN ALTRO GIRO DI GIOSTRA di Tiziano Terzani - Ed Longanesi Milano

Post n°204 pubblicato il 24 Aprile 2016 da loredanafina1964

PRIMA PUBBLICAZIONE

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Pag. 9  

UN CAMMINO SENZA SCORCIATOIE

Si sa, capita a tanta gente, ma non si pensa mai che potrebbe capitare a noi. Questo era sempre stato anche il mio atteggiamento. Così, quando capitò a me, ero impreparato come tutti e in un primo momento fu come se davvero succedesse a qualcun altro. 

<>, disse il medico, ma era come non parlasse a me, tanto è vero - e me ne accorsi subito, meravigliandomi - che non mi disperai, non mi commossi: come se in fondo la cosa non mi riguardasse. 

Forse quella prima indifferenza fu solo un'istintiva forma di difesa, un modo per mantenere un contegno, per prendere le distanze, ma mi aiutò. Riuscire a guardarsi con gli occhi di un sè fuori da sè, serve sempre. Ed è un esercizio, questo, che si può imparare. 

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Pag. 10

Quella notte in ospedale, nel silenzio rotto solo dal frusciare delle auto sull'asfalto bagnato della strada e da quello delle suore sul linoleum del corridoio, mi venne in mente un'immagine di me che da allora mi accompagna. Mi parve che tutta la mia vita fosse stata come su una giostra: fin dall'inizio mi era toccato il cavallo bianco e su quello avevo girato e dondolato a mio piacimento senza che mai - me ne resi conto allora per la prima volta - mai qualcuno fosse venuto a chiedermi se avevo il biglietto. No. Davvero il biglietto non ce l'avevo. Tutta la vita avevo viaggiato a ufo!  Bene: ora passava il controllore, pagavo il dovuto e, se mi andava bene, magari riuscivo anche a fare ......un altro giro di giostra.

 

Arrivato a casa, proposi ad Angela che mi aspettava di andare assieme a fare una passeggiata nel bosco. Dopo quasi quarant'anni di vita in comune fu semplice parlarsi e tacere. Le promisi di impegnarmi a farcela, e quello, credo, fu l'unico momento in cui mi commossi.

Si trattava di decidere presto cosa fare. Il primo istinto fu quello di un animale ferito: ritirarsi in una tana. D'un tratto mi parve di avere poche forze e di doverle concentrare al massimo. Decisi di non dire niente a nessuno, tranne ai figli e a quegli amici che avrebbero trovato incomprensibile il mio scomparire dal mondo. Volevo mettere a fuoco la mia mente, non essere distratto da nulla e da nessuno. 

Innanzi tutto dovevo scegliere dove curarmi e in particolare come curarmi. Chemioterapia, radioterapia, chirurgia con tutte le loro - si dice - devastanti conseguenze non sono più le sole alternative. Anzi, oggi che tutto è messo in discussione, che tutto quel che è ufficiale è visto con sospetto, che ogni autorità ha perso prestigio e che ognuno si sente in diritto, senza alcun ritegno, di giudicare tutto e tutti, è diventato sempre più di moda dir male della medicina classica e un gran bene di quella "alternativa". I nomi se non altro suonano più attraenti: ayurveda, pranoterapia, agopuntura, yoga, omeopatia, erbe cinesi, reiki, e - perchè no? - i guaritori, filippini o no. C'è sempre un sentito dire, una persona di dui qualcuno racconta, una storia che sembra essere fatta apposta per essere creduta e dare speranza in una di queste sempre più numerose "cure". Non le presi sul serio neanche per un attimo. Eppure molte di queste pratiche vengono dall'Asia, dove ho vissuto per trent'anni; alcune hanno le loro radici in India, dove ora ho casa!

Non avevo cambiato idea, ma quando si trattò della mia sopravvivenza non ebbi un momento di esitazione: dovevo affidarmi a ciò che mi era più familiare, alla scienza, alla ragione occidentale. Non era solo una questione di tempo, e in questi casi non se ne ha tanto da sprecare, visto che tutte le cosidette medicine alternative agiscono, quando agiscono, a lungo termine. Era che nel fondo non mi fidavo. E l'aver fiducia nella cura e in chi la somministra è un fattore importantissimo, direi fondamentale, nel processo di guarigione. La fortuna nella vita aiuta e io ne ho avuta in generale più della normale dose. Anche questa volta la fortuna fu dalla mia, o almeno io la sentii così; il che è in fondo esattamente la stessa cosa. Fra i colleghi giornalisti, vecchi d'Asia, ce n'era uno, corrispondente del New York Times, due volte premiato col Pulitzer, a cui ero legato da un'amicizia nata da alcune esperienze comuni: tutti e due eravamo stati arrestati ed espulsi dalla Cina; tutti e due, contro ogni logica di carriera, avevamo scelto, dopo dedi molto più "importanti", l'India come paese di cui occuparsi. Ora ci legava un'altra coincidenza: un paio di anni prima l'amico aveva avuto lo stesso tipo di malanno ed era sopravvisuto. L'andai a trovare a Delhi e gli chiesi consiglio.

Quelli che avevano aggiustato lui, i "fixers" come li chiamava, erano a suo parere i migliori sul mercato. Gli credetti. Un paio di telefonate, un fax e nel giro di pochi giorni ero a New York, diciottesimo nella lista di un nuovo trattamento sperimentale, nella punta probabilmente più avanzata della medicina moderna occidentale: il Memorial Sloan-Kettering Cancer Center o meglio l'MSKCC, come viene suggerito di scrivere sugli assegni, così che sulla presenza in quella istituzione possa essere mantenuta una certa discrezione anche con la propria banca.

Dopo l'uscita di Un indovino mi disse, a chi mi chiedeva che libro volessi ora scrivere rispondevo che i libri sono come i figli, che bisogna almeno essere incinta per pensare di farli e che volentieri, se mi capitava l'occasione, dopo tanti anni in Estremo Oriente mi sarebbe piaciuto fare un gran viaggio di riscoperta nell'Occidente più estremo: gli Stati Uniti. Con la scusa che ero andato in America a cercare di "restare incinta", riuscii a farmi dimenticare. 

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PROSSIMA PUBBLICAZIONE AL PIU' PRESTO.

 

 

 

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