Creato da loredanafina1964 il 10/10/2011

loredanafina

scrivere scrivere scrivere!

 

 

dal libro: UN ALTRO GIRO DI GIOSTRA di Tiziano Terzani - Ed Longanesi Milano

Post n°207 pubblicato il 03 Maggio 2016 da loredanafina1964

QUARTA  PUBBLICAZIONE

 

PAG. 20

 

Decisi di passare tre mesi in un ashram a studiare un po' di sanscrito e a riflettere su quella che è ovviamente la sola, grande domanda che l'uomo si è sempre posto e che è al centro del Vedanta, la parte finale dei Veda, il succo filosofico delle più antiche scritture sacre dell'India: "Io, ci sono?" Siccome la risposta non era certo "Io sono un giornalista del tal giornale, l'autore di quel libro, o l'ammalato di quella malattia", provai anche formalmente, a non essere più quel che ero stato, a non chiamarmi più col mio nome, a non avere un passato e a diventare semplicemente "Anam", il Senzanome: un nome approssimativo, mi parve, per concludere una vita tutta spesa a cercare di farmene uno!

E' uno strano esperimento quello di non esssere più il sè a cui si è abituati, di non poter più ricorrere a quel che si è stati, a quel che si è fatto, a dove si è nati o a chi si conosce, per identificarsi, definirsi e stabilire dei rapporti, anche elementari, con chi si incontra. E' un esercizio, questo, da provare: magari durante le vacanze!

 

PAG. 21

 

Come tanti altri, sono uno che senza troppi pregiudizi, senza paura del nuovo o del ridicolo, cerca. Cercando, ho forse trovato la cura perfetta per il mio cancro? Certo no, ma almeno ora son sicuro che quella cura non esiste, perchè non esistono scorciatoie a nulla: non certo alla salute, non alla felicità o alla saggezza. Niente di tutto questo può essere istantaneo. Ognuno deve cercare a modo suo, ognuno deve fare il proprio cammino, perchè uno stesso posto può significare cose diverse a seconda di chi lo visita. Quel che può essere un amedicina per uno può essere niente o addirittura un veleno per l'altro: specie quando si lascia il campo, in qualche modo collaudato, della scienza e ci si avventura in quello, ormai affollato, di profittatori, ciarlatani e impacchettatori d'aria fritta, delle "cure" alternative.

Son tornato, dopo tanto viaggiare, al punto di partenza? A credere solo nella scienza e nella ragione? Son tornato a pensare che il modo occidentale di affrontare i problemi è il migliore? Niente affatto. Ora più che mai penso che miente è da escludere a priori e che è sempre possibile trovare qualcuno o qualcosa di prezioso nei luoghi e nelle circostanze più imprevedibili. I miracoli? Certo che esistono, ma sono convinto che ognuno deve essere l'artefice del proprio miracolo. Sopratutto sono convinto che la nostra conoscenza del mondo e di noi stessi è ancora estremamente limitata e che dietro le apparenze, dietro i fatti, c'è una verità che davvero ci sfugge, perchè sfugge alla rete dei nostri sensi, ai criteri della nostra scienza e della nostra cosiddetta ragione.

Indubbiamente l'Occidente ha fatto grandi progressi nel conoscere il corpo, anche se mi lascia sempre più perplesso il fatto che alla radice della nostra medicina c'è l'anatomia, una scienza fondata sulla dissezione dei cadaveri, e mi chiedo come sia possibile capire il mistero della vita partendo dallo studio dei morti.

Ma l'Occidente non ha fatto alcun progresso, anzi, forse è andato a ritroso nella conoscenza di tutto quell'invisibile, immisurabile, imponderabile che sta dentro e al di là del corpo, che lo sostiene, che lo lega a tutte le altre forme di vita e lo rende parte della natura. Psicanalisi e psicologia sono scienze che si muovono ancora soltanto sulla superficie di quell'invisibile, come si sentissero imbarazzate davanti al gran mistero che nessuna scienza, proprio perchè tale, potrà mai affrontare.

 

PAG. 22

Per questo la ricerca medica non ha altra scelta che quella di scendere sempre più nel particolare, di passare dal piccolo al sempre più piccolo. Ma non dovrebbe una qualche altra ricerca non necessariamente scientifica, andare in senso opposto: dal più piccolo al grande?

Forse perchè inconsciamente volevo vedere il mio problema anche in una dimensione diversa da quella della cellula impazzita, e forse perchè cercavo una soluzione diversa da quella di un interruttore guasto in un codice DNA, son finito in una piccola casa di pietra dalle pareti di fango nell'Himalaya. E là, col cuore più leggero che abbia mai avuto, senza desideri, senza ambizioni e con una grandissima pace addosso, ho visto sorgere il primo sole del nuovo millennio come fosse quello della Creazione, mentre alcune delle pià alte vette del mondo uscivano da un'oscurità cosmica per accendersi di rosa come per ridare speranza nell'eternità del mascere e del morire. Mai prima avevo sentito gli dei così vicini.

Per settimane e settimane, a volte con un sole primaverile, a volte con la neve alta un metro fuori dalla porta e i lecci e i rododendri come immobili giganti di ghiaccio, sono stato ospite di un ultraottantenne, coltissimo indiano che nella sua vita non ha fatto nient'altro che riflettere sul senso della vita e che, dopo aver incontrato tutti i grandi maestri del suo tempo, vive lì da solo, convinto che il vero, grande Maestro è quello che ognuno ha dentro di sè. La notte, quando il silenzio è talmente denso che sembra rimbombare, si alza, accende una candela e ci si siede dinanzi per un paio d'ore. A che fare?

"A cercare di essere me stesso", hi ha risposto. "A sentire la melodia" 

 

PAG. 23

Ogni tanto, dopo la sua passeggiata del pomeriggio nella foresta sulle orme del leopardo che una notte gli aveva mangiato il cane da guardia, saliva le mie scale di legno e io su una piccola bombola a gas riscaldavo l'acqua presa da una fonte vicina per preparare due tazze del tè cinese che mi porto sempre dietro.

"Tutte le forze, quelle visibili e quelle invisibili, quelle tangibili e quelle intangibili, quelle maschili e quelle femminili, quelle negative e quelle positive, tutte le forze dell'universo hanno fatto sì che noi due in questo momento potessimo sederci qui, dinanzi al fuoco del camino, a bere tè", diceva, scoppiando in una risata che di per sè era una gioia. E da lì, citando Plotino o Boezio, le Upanishad, un verso della Bhagavad Gita, di William Blake o di un mistico sufi, partiva per delle sue personalissime teorie sull'arte e la musica o per una confessione del suo "peccato originale": quello di aver sempre considerato l'"essere" molto più importante del fare".

"E la melodia?" gli ho chiesto un giorno.

"Non è facile. Bisogna prepararsi e a volte la si sente: è la melodia della vita dentro, la vita che sostiene tutte le vite, la vita dove tutto ha il suo posto, dove tutto è integrato: il bene e il male, la salute e la malattia, la vita interna dove non c'è nascita e non c'è morte". 

 

PAG. 24 

Col passare dei giorni, da solo a guardare le straordinarie montagne, sempre li, immobili, simbolo della più grande stabilità, eppure anche loro continuamente diverse e impermanenti come tutto in questo mondo, e con sullo sfondo la presenza di quella bella, vecchia anima incontrata per caso, ho sentito che quel mio lungo e tortuoso viaggio, cominciato nell'ospedale di Bologna, era finito.

Ho deciso di raccontarne la storia, innanzitutto perchè so quanto è incoraggiante l'esperienza di qualcuno che ha fatto già un pezzo della strada per chi si trovasse ora ad affrontarla; e poi perchè, a penssarci bene, dopo un pò il viaggio non era più in cerca di una cura per il mio cancro, ma per quella malattia che è di tutti: la mortalità.

Ma anche quella è davvero una "malattia"? Qualcosa di cui temere, un "male" da cui star lontani? Magari no.

"Immagina come sarebbe affollato il mondo se fossimo tutti immortali e dovessimo restare a giro per sempre, e con noi ci dovessero essere, anche loro immortali, tutti quelli che ci hanno preceduto nei secoli!", disse un giorno il mio vecchio compagno durante una passeggiata nella foresta. "Si tratta di capire che la vita e la moste sono due aspetti della stessa cosa."

Arrivare a questo è forse la sola vera meta de viaggio di cui io stesso non so granchè, tranne che la sua direzione - ora ne sono convinto - è dal fuori verso il dentro e dal piccolo sempre più verso il grande. 

Le pagine che seguono sono il racconto dei miei passi incerti.

 

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PROSSIMA PUBBLICAZIONE AL PIU' PRESTO.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

dal libro: UN ALTRO GIRO DI GIOSTRA di Tiziano Terzani - Ed Longanesi Milano

Post n°206 pubblicato il 01 Maggio 2016 da loredanafina1964

TERZA PUBBLICAZIONE 

PAG. 17

Non persi mai fiducia nei medici a cui mi ero affidato, anzi. Ma più li conoscevo, più sentivo che erano come violini cui mancava una corda e che loro stessi erano intrappolati in una visione estremamente meccanicistica del problema e perciò della sua soluzione. Alcuni capivano le mie perplessità e si divertivano a certe mie osservazioni. Ad esempio: perchè non rivedere le parole con cui ci si esprime? Potrebbe servire, dicevo. Tutto il linguaggio che circonda questa malattia è un linguaggio di guerra e io stesso all'inizio l'avevo usato. Il cancro è un "nemico" da "combattere"; la terapia è una "battaglia". Il "male" è sempre visto come qualcosa di estraneo che viene dentro di noi a far pasticci e che quindi va distrutto, eliminato, cacciato via. Già dopo alcune settimane di frequentazione col cancro, quella visione non mi piaceva, non mi soddisfaceva più.

A forza di starci assieme, quel mio interno visitatore mi pareva fosse diventato parte di me, come le mie mani, i piedi e la testa su cui, a causa della chemioterapia, non avevo più un capello. Più che dargli addosso, a quel cancro, nelle sue varie incarnazioni, mi veniva da parlarci, da farmelo amico; se non altro perchè avevo capito che in un modo o in un altro lui sarebbe rimasto lì, magari sonnolento, a farmi compagnia per il resto del cammino.

"La mattina quando vi alzate, fate un sorriso al vostro cuore, al vostro stomaco, ai vostri polmoni, al vostro fegato. Dopo tutto, molto dipende da loro", avevo sentito dire da Thuch -Nhat Hanh, un famoso monaco buddista vietnamita, passato una volta da Delhi a parlare di meditazione. Non sapevo, allora, quanto quel consiglio mi sarebbe stato utile. Ogni giorno mi misi a sorridere all'ospite dentro me. 

Più stavo con la scienza e la ragione, più mi cresceva dentro la curiosità per la magia e la follia delle "alternative" che avevo scartato all'inizio. Non certo perchè credessi di aver sbagliato strada (è la prima che suggerirei a tutti di prendere in considerazione), ma perchè sentivo che quella strada, pur essendo probabilmente la migliore, aveva i suoi limiti e che altrove, percorrendo altre vie, potevo trovare qualcos'altro: non certo qualcosa di "alternativo", ma forse qualcosa di complementare.

E così, appena i medici-aggiustatori di New York mi dissero di aver completato le loro riparazioni e che per tre mesi non volevano rivedermi - tre mesi! mi parevano un'eternità -, corsi via in quella direzione.

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PAG. 18

Dopo tutti i colpi che gli avevo inferto, dovevo ridare al mio organismo un pò di pace; dovevo disintossicarlo da tutti i veleni che gli avevo somministrato come cura e sopratutto dovevo mettere la mia mente, abituata ormai alla solitudine, in sintonia con il mondo. Viaggiare era per me il modo più ovvio di farlo. 

Così mi misi in cammino con l'idea di andare a vedere tutti gli altri tipi di medicine, di cure e di miracoli che avrebbero potuto servire al mio caso.

La prima cosa che feci fu tornare in India dove la vita è sempre più naturale, dove l'umanità è ancora la più varia, dove il tempo è più lungo, dove il vecchio sopravvive accanto al nuovo e dove il vivere e il morire sembrano essere un'esperienza più antica che in ogni altra parte della Terra. 

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PROSSIMA PUBBLICAZIONE AL PIU' PRESTO


 

 

 

 

 

 

 

 


 
 
 

dal libro: UN ALTRO GIRO DI GIOSTRA di Tiziano Terzani - Ed Longanesi Milano

Post n°205 pubblicato il 28 Aprile 2016 da loredanafina1964

SECONDA PUBBLICAZIONE

PAG. 13

 

A parte Angela e quelli dell'MSKCC, nessuno sapeva dov'ero. Il telefono non squillava mai, nessuno suonava alla porta; la sola via di comunicazione che avevo lasciato aperta col mondo era quella della posta elettronica coi suoi messaggi in bottiglia che approdavano di tanto in tanto sulla spiaggia cibernetica del mio computer, che poteva essere dovunque. Secondo me questo è ormai il più discreto, il meno invadente, il miglior mezzo di comunicazione se lo si usa quando si ha davvero qualcosa da dire, se non ci si abbandona al linguaggio sciatto imposto dalla velocità e se si stampa, per poterlo sempre rileggere, quel che di buono si riceve.

La situazione era perfetta. Era quella che da tempo sognavo: avevo intere giornate di libertà, nessun impegno, nessun dovere e l'incredibile agio di lasciare vagare la mente, senza interruzioni, senza l'idea - un tempo l'ossessione - che avrei dovuto fare qualcos'altro. Dopo tanto clamore godevo finalmente di tanto silenzio. 

Per anni, preso da guerre, rivoluzioni, alluvioni, terremoti, grandi mutamenti dell'Asia, ero stato un appassionato osservatore di vite in pericolo, vite distrutte o, più spesso, sprecate: tantissime vite altrui. Ora osservavo semplicemente quella che più mi riguardava: la mia.

E da osservare ce n'era. Dopo nuovi esami e la solita sequenza di "C'è un'ombra di cui non siamo sicuri", "Occorre un altro esame", "Torni la prossima settimana", "Sono spiacente, ma le debbo dare una brutta notizia.....", si scoprì che il malanno non era uno solo, ma erano tre, ognuno con le sue caratteristiche, ognuno sensibile a un diverso tipo di terapia. 

Così, senza dubitare un secondo della loro validità, anzi, aggiungendoci ogni volta una mia psicologica certezza che tutto era giusto e il meglio che potessi tentare, feci l'esperienza della chemioterapia, della chirurgia e della radioterapia.

Mai, prima di allora, mi ero tanto sentito fatto di materia; mai avevo dovuto guardare così da vicino il mio corpo e soprattutto imparare a mantenerne il controllo, a esserne padrone, a non farmi troppo dominare dalle sue richieste, i suoi dolori, le sue palpitazioni i suoi urti di vomito.

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PAG. 14

Col passare degli anni avevo incominciato a capire che i fatti non sono mai tutta la verità e che al di là dei fatti c'è ancora qualcosa - come un altro livello di realtà - che sentivo di non afferrare e che comunque sapevo non interessare al giornalismo, specie per come viene ormai praticato. Avessi continuato in quel mestiere, al massimo avrei potuto tentare di essere come ero già stato. Il cancro era diventato anche una sorta di scudo dietro il quale mi proteggevo, una difesa contro tutto quel che prima mi aggrediva, una sorta di baluardo contro la banalità del quotidiano, gli impegni sociali, contro il fare conversazione. Col cancro mi ero conquistato il diritto di non sentirmi più in dovere di nulla, di non avere più sensi di colpa. Finalmente ero libero. Totalmente libero. Parrà strano, e a volte pareva stranissimo anche a me, ma ero felice.

"Possibile che bisogna proprio avere il cancro per godere della vita"? mi scrisse un vecchio amico inglese. Aveva sentito dire del mio essere scomparso e per e-mail mi aveva chiesto notizie. Gli avevo risposto che quella "notizia" era, se non proprio il più bello, certo il più coinvolgente periodo della mia esistenza. Viaggiare era sempre stato per me un modo di vivere e ora avevo preso la malattia come un altro viaggio involontario, non previsto, per il quale non avevo carte geografiche, per il quale non mi ero in alcun modo preparato, ma che di tutti i viaggi fatti fino ad allora era il più impegnativo, il più intenso. Tutto quello che succedeva mi toccava direttamente.

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PAG. 15

Gli scrissi che godesse di non avere il cancro, ma che, se voleva fare un esercizio interessante, immaginasse per un giorno di averlo e riflettesse su come non solo la vita, ma le persone e le cose che ci stanno attorno improvvisamente appaiono in una luce diversa. Forse una luce più giusta.

Nella vecchia Cina, molti tenevano in casa la loro bara per ricordarsi della porpria mortalità; alcuni ci si mettevano dentro quando dovevano prendere decisioni importanti, come per avere una migliore prospettiva sulla transitorietà del tutto. Perchè non fingere per un attimo di essere ammalati, di avere i giorni contati - come in verità si hanno comunque - per rendersi conto di quanto preziosi sono i giorni? 

Gli indiani se lo rammentano con la storia dell'uomo che, rincorso da una tigre, scivola in un baratro. Cadendo nel vuoto il poveretto riesce ad aggrapparsi a un arbusto, ma anche quello comincia a cedere. Non ha scampo: sopra di sè le fauci della tigre, sotto l'abisso. In quel momento però, proprio lì, a portata di mano, fra i sassi del dirupo, l'uomo vede una bella fragola rossa e fresca. La coglie e.....mai una fragola gli parve così dolce come quell'ultima. 

Se a me toccava la parte di quel poveretto, la fragola di quei giorni, di quelle settimane e mesi di solitaria pace a New York era dolcissima. Ma non per questo ero rassegnato a precipitare.

Anzi: cercavo ogni mezzo per aiutarmi. Ma come? Potevo io, con la mia mente o con altro, fare qualcosa perchè l'arbusto a cui ero aggrappato resistesse? E se ero stato io, come persona, a portare il mio corpo in quella scomoda posizione, cosa potevo fare per togliercelo? I medici, a cui fra un esame e l'altro ponevo queste domande, non avevano risposte. Alcuni sapevano che sarebbe stato importante cercarle, ma nessuno lo faceva.

Allo stesso modo dei giornalisti, anche i miei medici tenevano conto esclusivamente dei fatti e non di quell'inafferrabile "altro" che poteva nascondersi dietro i fatti, così come i cosiddetti "fatti" apparivano loro. Io ero un corpo: un corpo ammalato da guarire. E avevo un bel dire: ma io sono anche una mente, forse sono anche uno spirito e certo sono un cumulo di storie, di esperienze, di sentimenti, di pensieri ed emozioni che con la mia malattia hanno probabilmente avuto un sacco a che fare! Nessuno sembrava volerne o poterne tenere conto. Neppure nella terapia. Quel che veniva attaccato era il cancro, un cancro ben descritto nei manuali, con le sue statistiche di incidenza e di sopravvivenza, il cancro che può essere di tutti. Ma non il mio! 

L'approccio scientifico, razionale che avevo scelto faceva sì che il mio problema di salute fosse più o meno quello di un'automobile guasta che, assolutamente indifferente alla prospettiva di essere rottamata o accomodata, viene affidata a un meccanico, e non il problema di una persona che, coscientemente, con tutta la sua volontà, intende essere riparata e rimessa in marcia. 

A me come persona, infatti, i bravi medici-aggiustatori chiedevano poco o nulla. Bastava che il mio corpo fosse presente agli appuntamenti che loro gli fissavano per sottoporlo ai vari "trattamenti".

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PROSSIMA PUBBLICAZIONE AL PIU' PRESTO.

 
 
 

dal libro: UN ALTRO GIRO DI GIOSTRA di Tiziano Terzani - Ed Longanesi Milano

Post n°204 pubblicato il 24 Aprile 2016 da loredanafina1964

PRIMA PUBBLICAZIONE

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Pag. 9  

UN CAMMINO SENZA SCORCIATOIE

Si sa, capita a tanta gente, ma non si pensa mai che potrebbe capitare a noi. Questo era sempre stato anche il mio atteggiamento. Così, quando capitò a me, ero impreparato come tutti e in un primo momento fu come se davvero succedesse a qualcun altro. 

<>, disse il medico, ma era come non parlasse a me, tanto è vero - e me ne accorsi subito, meravigliandomi - che non mi disperai, non mi commossi: come se in fondo la cosa non mi riguardasse. 

Forse quella prima indifferenza fu solo un'istintiva forma di difesa, un modo per mantenere un contegno, per prendere le distanze, ma mi aiutò. Riuscire a guardarsi con gli occhi di un sè fuori da sè, serve sempre. Ed è un esercizio, questo, che si può imparare. 

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Pag. 10

Quella notte in ospedale, nel silenzio rotto solo dal frusciare delle auto sull'asfalto bagnato della strada e da quello delle suore sul linoleum del corridoio, mi venne in mente un'immagine di me che da allora mi accompagna. Mi parve che tutta la mia vita fosse stata come su una giostra: fin dall'inizio mi era toccato il cavallo bianco e su quello avevo girato e dondolato a mio piacimento senza che mai - me ne resi conto allora per la prima volta - mai qualcuno fosse venuto a chiedermi se avevo il biglietto. No. Davvero il biglietto non ce l'avevo. Tutta la vita avevo viaggiato a ufo!  Bene: ora passava il controllore, pagavo il dovuto e, se mi andava bene, magari riuscivo anche a fare ......un altro giro di giostra.

 

Arrivato a casa, proposi ad Angela che mi aspettava di andare assieme a fare una passeggiata nel bosco. Dopo quasi quarant'anni di vita in comune fu semplice parlarsi e tacere. Le promisi di impegnarmi a farcela, e quello, credo, fu l'unico momento in cui mi commossi.

Si trattava di decidere presto cosa fare. Il primo istinto fu quello di un animale ferito: ritirarsi in una tana. D'un tratto mi parve di avere poche forze e di doverle concentrare al massimo. Decisi di non dire niente a nessuno, tranne ai figli e a quegli amici che avrebbero trovato incomprensibile il mio scomparire dal mondo. Volevo mettere a fuoco la mia mente, non essere distratto da nulla e da nessuno. 

Innanzi tutto dovevo scegliere dove curarmi e in particolare come curarmi. Chemioterapia, radioterapia, chirurgia con tutte le loro - si dice - devastanti conseguenze non sono più le sole alternative. Anzi, oggi che tutto è messo in discussione, che tutto quel che è ufficiale è visto con sospetto, che ogni autorità ha perso prestigio e che ognuno si sente in diritto, senza alcun ritegno, di giudicare tutto e tutti, è diventato sempre più di moda dir male della medicina classica e un gran bene di quella "alternativa". I nomi se non altro suonano più attraenti: ayurveda, pranoterapia, agopuntura, yoga, omeopatia, erbe cinesi, reiki, e - perchè no? - i guaritori, filippini o no. C'è sempre un sentito dire, una persona di dui qualcuno racconta, una storia che sembra essere fatta apposta per essere creduta e dare speranza in una di queste sempre più numerose "cure". Non le presi sul serio neanche per un attimo. Eppure molte di queste pratiche vengono dall'Asia, dove ho vissuto per trent'anni; alcune hanno le loro radici in India, dove ora ho casa!

Non avevo cambiato idea, ma quando si trattò della mia sopravvivenza non ebbi un momento di esitazione: dovevo affidarmi a ciò che mi era più familiare, alla scienza, alla ragione occidentale. Non era solo una questione di tempo, e in questi casi non se ne ha tanto da sprecare, visto che tutte le cosidette medicine alternative agiscono, quando agiscono, a lungo termine. Era che nel fondo non mi fidavo. E l'aver fiducia nella cura e in chi la somministra è un fattore importantissimo, direi fondamentale, nel processo di guarigione. La fortuna nella vita aiuta e io ne ho avuta in generale più della normale dose. Anche questa volta la fortuna fu dalla mia, o almeno io la sentii così; il che è in fondo esattamente la stessa cosa. Fra i colleghi giornalisti, vecchi d'Asia, ce n'era uno, corrispondente del New York Times, due volte premiato col Pulitzer, a cui ero legato da un'amicizia nata da alcune esperienze comuni: tutti e due eravamo stati arrestati ed espulsi dalla Cina; tutti e due, contro ogni logica di carriera, avevamo scelto, dopo dedi molto più "importanti", l'India come paese di cui occuparsi. Ora ci legava un'altra coincidenza: un paio di anni prima l'amico aveva avuto lo stesso tipo di malanno ed era sopravvisuto. L'andai a trovare a Delhi e gli chiesi consiglio.

Quelli che avevano aggiustato lui, i "fixers" come li chiamava, erano a suo parere i migliori sul mercato. Gli credetti. Un paio di telefonate, un fax e nel giro di pochi giorni ero a New York, diciottesimo nella lista di un nuovo trattamento sperimentale, nella punta probabilmente più avanzata della medicina moderna occidentale: il Memorial Sloan-Kettering Cancer Center o meglio l'MSKCC, come viene suggerito di scrivere sugli assegni, così che sulla presenza in quella istituzione possa essere mantenuta una certa discrezione anche con la propria banca.

Dopo l'uscita di Un indovino mi disse, a chi mi chiedeva che libro volessi ora scrivere rispondevo che i libri sono come i figli, che bisogna almeno essere incinta per pensare di farli e che volentieri, se mi capitava l'occasione, dopo tanti anni in Estremo Oriente mi sarebbe piaciuto fare un gran viaggio di riscoperta nell'Occidente più estremo: gli Stati Uniti. Con la scusa che ero andato in America a cercare di "restare incinta", riuscii a farmi dimenticare. 

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PROSSIMA PUBBLICAZIONE AL PIU' PRESTO.

 

 

 

 
 
 

PROSSIMA PUBBLICAZIONE : UN'ALTRO GIRO DI GIOSTRA di Tiziano Terzani

Post n°203 pubblicato il 24 Aprile 2016 da loredanafina1964

PROSSIMA PUBBLICAZIONE

Le pagine più belle dal libro:

"UN ALTRO GIRO DI GIOSTRA" di Tiziano Terzani 

 

A presto!!

 
 
 

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