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La finzione della realtà

Post n°64 pubblicato il 01 Giugno 2018 da touchstone0
 

Prefazione di Marco Belocchi al romanzo
Processione diabolica
di Stefano D'Angelo
Serarcangeli Editore

Stefano D'Angelo arriva al debutto nel romanzo dopo una lunga carriera di autore, avendo esordito con un volume di liriche nei primi anni ottanta e continuando con una fruttuosa e rilevante produzione teatrale che, cosa abbastanza rara per i nostri palcoscenici, ha visto la luce non solo sulla carta stampata, ma anche nel luogo che gli sarebbe proprio, ovvero il teatro. Ho avuto la fortuna, e se vogliamo anche l'ardire, di mettere in scena io stesso alcune delle commedie, o forse sarebbe meglio chiamarle tragicommedie, di D'Angelo e sempre ho notato che l'impatto sul pubblico si è rivelato duplice, obliquo, spiazzante, dove la forte componente grottesca, il linguaggio iconoclasta e l'uso deliberato di codici linguistici mutuati dal cinema di genere, dal fumetto e comunque dalla letteratura di consumo, faceva da contrappunto a storie apocalittiche in cui i piani della realtà, attraverso meccanismi talvolta impeccabili, slittavano progressivamente fino a confondersi, per trovare, magari in uno sberleffo finale, la soluzione. Commedie certamente di non facile fruizione, che nonostante l'apparente "divertissement", o se vogliamo un'anarchia post-surrealista alla Boris Vian, nascondono un'ansia orwelliana filtrata attraverso le "attese" beckettiane o il relativismo pirandelliano (non a caso la maggiore raccolta del suo teatro s'intitola "Così è ma non pare") e vissute attraverso i generi cinematografici, dal western all'horror, dall'avventura di sapore spielberghiano alla farsa bellica.
La cifra che D'Angelo ha finora prediletto non può che essere lo spiazzamento e, in un panorama teatrale e letterario italiano che nell'ultimo ventennio ha registrato una frenata e un consenso verso forme di facile consumo e totale disimpegno, questa voce così stridente, provocatoria, complessa, nei linguaggi e nelle tematiche, e mi viene anche da sottolineare solitaria, ha certamente avuto difficoltà ad affermarsi e a trovare una platea pronta e ricettiva. Solo ora forse, in questa temperie caratterizzata da una crisi e precarietà permanenti, e per fortuna prima di essere postumo, può ottenere la collocazione e l'attenzione che merita.
Con il romanzo Processione diabolica alcune delle tematiche e dei codici utilizzati da D'Angelo nella sua ventennale produzione, trovano un'altra forma, si rigenerano, o forse sarebbe meglio dire, rigerminano, trovando una compattezza nuova, eliminando quasi totalmente la componente ludica e lasciando il posto semmai ad un'ironia amara che si fa strada nella cupezza che assume il suo universo, d'altronde perfettamente al passo con i tempi (non mancano certo i riferimenti ad un'attualità subita, oltre che vissuta), anche se trasferito in un futuro non troppo lontano, dove ancora una volta i piani tra realtà e finzione si intrecciano e si capovolgono, conducendo il lettore attraverso un labirinto diabolico.
Ma andiamo con ordine. Processione diabolica si struttura in stazioni, quasi fosse una sacra rappresentazione medievale, un dramma di Brecht, ma anche una moderna sceneggiatura, mentre il genere mutuato è il giallo di detection alla Chandler, ma anche una certa fantascienza in cui si riconoscono atmosfere e scenari alla "Blade runner", ma anche, con sottesi rimandi, a certa vocazione apocalittica di "Metropolis". La storia si apre con un funerale e da lì comincia la detection che un ex ispettore di polizia, l'ottuagenario Lucenzi, appena richiamato in servizio, conduce nei meandri di una città irriconoscibile, sotterranea, precaria, come sono precari i suoi rappresentanti (il capo della polizia ha 18 anni e viene rimosso ogni sei mesi!). Attraverso rocambolesche traversie che si generano come concrezioni cancerose, e a dir poco kafkiane, Lucenzi sprofonda sempre più in una discesa agli inferi, fino a ritrovarsi sul proprio letto di morte,  che a sua volta ci riconduce al funerale iniziale.
E poi Jonny Gongo. Questo personaggio che si intravede nel romanzo e sbuca fuori prepotente nell'epilogo, a sua volte germinazione di un altro testo di D'Angelo, "Salem", in cui Gongo, il regista occulto, qui ricompare ancora in questa veste diabolica, novello Mabuse di Langhiana memoria (ancora un rimando al cinema!), per sussurrarci che forse, ancora una volta, stiamo tutti vivendo una finzione, la più grande delle finzioni e delle menzogne, attori inconsapevoli e grotteschi di poteri tremendi, occulti, antichi, molto antichi, addirittura... "più antichi del Diavolo".


 

 
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