LE DEPORTAZIONI? ESISTONO ANCORA
La sostanziale resa, dopo una lunga e gloriosa resistenza, dei militari ucraini asserragliati nell’acciaieria Azovstal, ripropone drammaticamente e con forza il problema del trattamento dei prigionieri di guerra. È difficile credere davvero che non verrà loro torto un capello, visto che la propaganda di Mosca identifica il reggimento Azov come composto da neonazisti da distruggere, motivo ufficiale per l’invasione dell’Ucraina...
Anticamente, e fino al Settecento, il problema non esisteva proprio: i nemici sconfitti erano finiti sul posto, le loro donne ed i loro bambini resi schiavi.
Oggi esistono convenzioni internazionali ed una diversa sensibilità con la messa a punto di figure giuridiche quali i “crimini di guerra” e “contro l’umanità” i quali, in teoria, dovrebbero evitare abusi. In realtà stiamo vedendo che, oltre a tutti gli altri orrori che i russi stanno perpetrando in Ucraina (massacro indiscriminato di civili, esecuzioni a sangue freddo di prigionieri inermi, stupri sistematici e bombardamenti di aree civili), esistono ancora le deportazioni, le quali sono già di per sé crimini contro l’umanità e sono espressamente vietate dal diritto internazionale.
In altre parole, prendere delle persone da una comunità e spostarle, con la forza, in un altro luogo, è un crimine di guerra.
La Russia si sta macchiando anche di questo crimine? Sì. E non lo dicono solo le autorità ucraine, ma anche fonti straniere. Ad esempio, il “Sole 24 Ore”. Il prestigioso quotidiano della Confindustria italiana ha ieri pubblicato la prima puntata di un’inchiesta dalla quale risulta che, effettivamente, sono state effettuate e sono in corso evacuazioni di massa di cittadini ucraini residenti nelle zone conquistate dai russi o dai miliziani filorussi. Proprio a Mariupol, per esempio: diversi testimoni, che sono riusciti a scappare, raccontano di essere stati costretti a salire su bus russi e trasferiti nelle repubbliche separatiste filorusse o, addirittura, proprio in territorio russo.
In pratica funziona così: la zona viene conquistata dai russi o dai loro alleati; i residenti vengono privati dei telefonini, identificati, interrogati, perquisiti, spogliati (per vedere se hanno tatuaggi che possano farli identificare come neonazisti – sic…) e ricevono nuovi documenti provvisori. Vengono costretti a salire su bus e trasferiti nell’ignoto. Di molte di queste persone non si sa più nulla. In massa vengono concentrati in altre aree, stavolta in territorio russo, specialmente a Rostov e Taganrog, dove è possibile gestire migliaia di persone contemporaneamente, e qui subiscono un altro filtraggio: chi dimostra di avere parenti in Russia diventa ufficialmente un “rifugiato”. Un titolo ironico, perché in realtà si tratta di un vero e proprio deportato. Ma chi se la passa peggio sono quelli che in Russia non hanno nessuno: questi vengono trasferiti ad Ufa (in Baschiria), che è come dire nel Caucaso, o a Khanty-Mansìysk, cioè a migliaia di chilometri dal confine ucraino, sempre più nel cuore dell’Asia, o addirittura nella famigerata Siberia, tornata evidentemente di moda per punire i nemici, come ai tempi del regime stalinista e dei Gulag raccontati da Solgenitsin. Si può finire anche a Vladivostok, all’estremità orientale della Russia, sul Pacifico, vicino ai confini della Cina e della Corea del Nord: in pratica agli antipodi, rispetto all’Ucraina. Ovviamente tutti rimangono sotto il controllo delle autorità, per non dire prigionieri.
Si rinnova lo stupore di assistere alla ripetizione di fatti che pensavamo finalmente finiti nella soffitta della Storia.