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Presto /
anche noi (…) saremo /
perduti in fondo a questo fresco /
pezzo di terra: ma non sarà una quiete /
la nostra, ché si mescola in essa /
troppo una vita che non ha avuto meta. /
Avremo un silenzio stento e povero, /
un sonno doloroso, che non reca /
dolcezza e pace,
ma nostalgia
e rimprovero
PIER PAOLO PASOLINI
 

 

 

 

 

Cazzarola!

 

 

Messaggi di Agosto 2020

 

Amoroso + Boombadash e la diffusione del virus

Post n°2094 pubblicato il 19 Agosto 2020 da massimocoppa
 

AMOROSO + BOOMDABASH E LA DIFFUSIONE
DEL VIRUS

Siamo stati tutti giovani, o lo siamo ancora, per cui non me la sento di buttare troppo la croce addosso ai ragazzi che si stanno assembrando allegramente in spiaggia, in discoteca, nei party, negli apericena, negli eventi eccetera eccetera, anche se c’è una bella differenza tra essere giovani ed essere irresponsabili.

Ma i virologi ci stanno dicendo che se il Covid-19 sta rialzando la testa, e si sta nuovamente diffondendo in maniera veloce, questo accade anche perché troppi ragazzi si alitano in faccia con olimpica indifferenza, si mescolano, si mischiano, si “promiscuano” un po’ troppo.

Come spesso accade, però, in certi comportamenti hanno una grande responsabilità quelli che un tempo venivano chiamati i “cattivi maestri”.

Nella hit dell’estate canora 2020 firmata da Alessandra Amoroso e dai Boomdabash, “Karaoke”, doppio disco di platino (è notizia di ieri) e 55 milioni di visualizzazioni su Youtube (55 milioni!), il testo presta il fianco a doverose critiche.

È evidente che fa riferimento alla fine del lockdown, inneggiando alla spensieratezza, al mischiarsi, a fare tutto quello di cui si ha voglia e che era proibito. Ma il fatto, purtroppo, è che la situazione non è così: vigono ancora moltissimi divieti, per cui inneggiare alla libertà totale è una vera e propria istigazione: un atteggiamento che ha facile presa, anche perché viene da idoli dello spettacolo.

La canzoncina è di quelle facili, di sicura presa, con un motivetto accattivante: molto carina, di quelle proprio per l’estate e che, l’anno prossimo, sarà dimenticata e sostituita da un’altra.

Però il testo è molto discutibile, e vediamo perché.

Uno dei Boomdabash esordisce così: “Voglio l’aria di mare / Il sole sulla faccia / Tornerò a cantare sotto il suo balcone quando lei si affaccia”. È un evidente riferimento alla fine del lockdown, delle chiusure in casa.

E ancora: “Tu abbracciami forte per tutte le volte che non hai potuto ieri”. Ci si mischia di nuovo, e passi: sono una coppia, lo farebbero comunque.

Poi arriva la Amoroso, ammiccante ed allusiva, a rincarare la dose: “Voglia di ballare un reggae in spiaggia / Voglia di riaverti qui tra le mie braccia / In una piazza piena / Per fare tutto quello che non si poteva”.

Non c’è bisogno di analisi del testo, mi pare. La Amoroso dice chiaramente che desidera stare in un carnaio, uno sull’altro, a ballare e fare “tutto quello che non si poteva”. Ma, in realtà, non si potrebbe nemmeno adesso.

Sono veramente sorpreso che nessuno abbia notato questa cosa. È un’aperta istigazione all’inosservanza di tutte le norme antivirus, nazionali e locali. Per tacere del video: cantanti e ballerini non rispettano la distanza interpersonale e non hanno la mascherina: mi chiedo come abbiano avuto il permesso di girare la clip in queste condizioni, visto che le fiction e i film sono fermi da mesi proprio perché impossibile garantire la sicurezza degli attori.

Da questo punto di vista ammiro moltissimo ed ho molto rivalutato Elettra Lamborghini: la sua hit estiva con Giusy Ferreri, “La Isla”, è musicalmente di minore impatto rispetto a “Karaoke” (ed infatti ha totalizzato “solo” 12 milioni di visualizzazioni su Youtube), e finora la Lamborghini ha puntato molto sulla fisicità, piuttosto che sulla bravura artistica. Ma questa ragazza, qualche giorno fa, venendo contro i propri interessi (anche perché adesso è il suo momento, che dovrebbe sfruttare), ha deciso di sospendere concerti e comparsate estive, perché si è responsabilmente e coscienziosamente resa conto che la gente accorsa alle sue performance non rispettava le misure di sicurezza.

Brava Elettra!

 


 
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Le Regioni fanno 50 anni: anniversario triste di un’istituzione fallimentare

Post n°2093 pubblicato il 04 Agosto 2020 da massimocoppa
 

 

LE REGIONI FANNO 50 ANNI: ANNIVERSARIO TRISTE
DI UN’ISTITUZIONE FALLIMENTARE

Nell’indifferenza generale sta trascorrendo un anniversario che dovrebbe avere una certa importanza per il nostro Paese: la nascita delle Regioni, intesa come istituzioni operative.

Prevista in Costituzione, si dovette arrivare addirittura al 1970 per l’elezione dei primi consigli regionali.

Da allora ne è passata, di acqua sotto i ponti, ed oggi le Regioni italiane sono una realtà.

Anche troppo.

Qualche post addietro, e riferendomi alla babele di provvedimenti normativi locali per contenere la diffusione del Coronavirus, mi sono lamentato della giungla che ha caratterizzato la gestione dell’emergenza. Il governo fissava una cornice, ma le Regioni decidevano cosa metterci esattamente dentro.

Avevo davanti agli occhi il caso della Campania, la mia Regione di appartenenza, dove il presidente-sceriffo De Luca ha varato le misure più restrittive d’Italia, ben al di là di quanto previsto dal governo Conte.

Credevo che non fosse possibile che un ente locale “comandasse” più del governo, ma mi sono dovuto ricredere ampiamente.

Tutto nasce dalla dannata riforma del Titolo V della Costituzione approvata dal centrosinistra nel 2001 e confermata, incredibilmente, dal popolo italiano in un referendum. Andò a votare solo il 34 % degli elettori ma, non essendo richiesto un quorum, fu sufficiente.

E così oggi ci troviamo davanti ad un guazzabuglio che istiga le Regioni all’anarchia.

La Corte Costituzionale ormai dedica strutturalmente gran parte del suo operato a dirimere i conflitti che sorgono fra questi enti e lo Stato. I presidenti di Regione si fanno chiamare “governatori” e pensano di essere a capo di un vero e proprio Stato all’interno di uno Stato federale; pensano davvero di essere a capo della California nell’ambito degli Stati Uniti, per capirci.

Nessuno ha spiegato loro, né l’hanno studiato all’università, o più semplicemente fanno finta di non saperlo, che l’Italia non è uno Stato federale e che loro non hanno chissà quali poteri. Fanno finta di averli, e li esercitano, nell’olimpica indifferenza del governo. Il risultato è l’ennesima falla nella certezza del diritto, con il cittadino a subire provvedimenti capotici senza sapere quanto e come vi si possa opporre.

Il bilancio di questi cinquant’anni di regionalismo è, dunque, deludente ed ampiamente deficitario. Il governo centralizzato, in sé, è un’idea triste e pericolosa, perché facilmente incline all’autoritarismo. Per questo il decentramento e l’autonomia sono principi chiave in una democrazia moderna, compiuta; sono architravi dell’edificio delle libertà.

Ma in Italia ce la meritiamo l’applicazione di questi principi? Abbiamo dimostrato di saperli esercitare? No.

L’accresciuto potere delle Regioni si è tramutato in un’impennata delle spese e, quindi, del debito pubblico locale, che poi deve essere tamponato con l’applicazione di tasse, anch’esse locali.

La classe politica presente sul territorio ha dimostrato, dovunque, di essere di gran lunga peggiore di quella nazionale: senza alcun ideale, pensa solo al ritorno immediato in immagine e voti; pensa solo all’occupazione clientelare di tutti i posti disponibili ed alla soddisfazione dei propri bisogni.

Gli abusi e gli sprechi sono all’ordine del giorno, e gli esempi peggiori vengono dalle Regioni a Statuto speciale: uno status concessogli per motivi validissimi, ma che storicamente oggi non avrebbe più ragion d’essere, se non quella di autoperpetuare il potere della classe dirigente.

I cinquant’anni dal varo delle Regioni, dunque, casomai venisse celebrato, dovrebbe essere l’occasione per avviare una profonda riflessione sulla situazione e per mettere in cantiere una riforma incisiva che sottragga potere a questi enti locali, specialmente in settori vitali come la sanità. Insomma, a mio parere le Regioni devono essere depotenziate, e pesantemente. È malinconico, ma la prova storica dei fatti non è stata superata: bisogna rinforzare nuovamente il potere centrale, perché si è dimostrato che l’autonomia non ce la meritiamo.

 
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