LA PRIMA DONNA A CAPO DI UN GOVERNO ARABO,
MA CON QUANTA AUTONOMIA?
Di buono c’è solo il fatto in sé, nudo e crudo: per la prima volta nella storia, ieri una donna è stata nominata primo ministro di un Paese arabo, benché laico.
È accaduto in Tunisia, dove il presidente Saied ha scelto per il ruolo Najla Bouden, 63 anni, geofisica con studi in Francia.
Le buone notizie finiscono qui.
Saied, stessa età della Bouden, è un politico che ha vinto le elezioni presidenziali nel 2019 e che, attualmente, riscuote ancora l’80 % dei consensi in Tunisia, anche se nel mese di luglio ha praticamente effettuato un colpo di Stato avocando a sé i pieni poteri: ha chiuso il Parlamento e si è attribuito il potere di nominare il capo del governo ed i ministri. Non si capisce a cosa serva questo governo, visto che Saied si è autoassegnato il potere esecutivo (che dovrebbe appunto fare capo ad un “esecutivo”, cioè ad un governo), oltre che l’ultima istanza su quello giudiziario.
Il presidentissimo, insomma, assomiglia sempre più ad un classico “raìs” arabo, non dissimile dalla quasi totalità dei governanti mediorientali dall’antichità ad oggi. Tuttavia egli afferma che le misure adottate sono eccezionali e temporanee. Ma quanti dittatori, dopo aver preso il potere, hanno detto la stessa cosa per poi smentirsi con i fatti?
Intanto la situazione economica tunisina è al disastro e pochi giorni fa si sono registrate manifestazioni di protesta nella capitale.
Con questo scenario sullo sfondo, dunque, la prima donna a capo di un governo arabo appare quasi come una marionetta nelle mani del padre-padrone Saied. Magari non sarà così; forse dimostrerà di avere una forte personalità, non si farà piegare dal presidente e si ritaglierà un ruolo di effettivo potere.
Lo spero, ma le premesse non sono buone: il ruolo della Bouden nasce da una concessione paternalistica altrui, in un contesto dove gli istituti democratici sono sospesi.