L'articolo precedente non dimostrava che solo una delle due asserzioni da cui prendeva l'abbrivio, ovvero che la chiesa di San Giorgio di Modica, con la sua facciata 'a torre' e la sua pietra 'a vista', è l'edificio più emblematico di quel filone tardobarocco che legò un'area periferica quale quella del Val di Noto alle esperienze che venivano maturando allora nelle maggiori città europee.
Occorre ancora dimostrare perché la chiesa è anche l'opera che probabilmente conclude, e non solo dal punto di vista cronologico (seconda metà del XVIII secolo), la stagione artistica del barocco architettonico iniziata a Roma un secolo prima. Nel fare ciò sarà d'uopo considerare quella tra le componenti scenografiche che ha contribuito maggiormente a rendere nota la chiesa: la sua 'gradinata'.
Nell'attuale impaginazione la gradinata presenta una datazione tarda. C'è da credere però che un 'percorso' inerpicantesi su fino al sagrato della chiesa esistesse già ab antico. Resti di simili percorsi o 'itinerari-pellegrinaggio' sono ancora visibili sulle colline di Monserrato e dell'Idria. Quello sulla collina di Monserrato, alla sommità della quale era un tempo una chiesa, è scandito da tre edicole secentesche.
La gradinata, progettata nel 1876 dall'architetto Alessandro Judica Cappellani, fu completata intorno al 1890. Ancora a questa data si registrano infatti dei pagamenti per la sua realizzazione. Ma il problema della sistemazione dello spazio antistante la chiesa non era nuovo, al contrario durava da molti anni. Già nel 1814 un documento informa delle somme da erogarsi per il pagamento di una scalinata.
In passato, dalla chiesa si poteva raggiungere il fondo valle o attraverso la 'trazzera' (dial. sentiero) posta lungo il declivio del Castello (attuale C.so San Giorgio), o per mezzo di una serie di scale, probabilmente alberate e oltremodo ripide, che dovevano costituire più una fattura che un legame a causa del forte dislivello. Questo spazio nel XVIII secolo doveva quindi apparire piuttosto disorganico.
Nel 1818 subentrò nel progetto il gesuita Antonino di Marco. Fu in questa circostanza che allo scalone del sagrato si aggiunse quella scalinata sottostrada che avrebbe anche collegato la città alta e quella bassa. Una planimetria del 1839 mostra tale scalinata, non attraversata dalle strade con cui si sarebbe dovuto fare i conti più tardi, composta da 6 rampe sistemate a due a due ad angolo retto.
L'intervento del Cappellani riguardò solo quella parte della scalinata compresa tra la Via lunga (poi C.so Garibaldi) e l'attuale C.so San Giorgio. La sua gradinata, non perfettamente in asse con la chiesa, presenta al centro una 'ellisse', l'equivalente cioè della pianta del 1876. Il progetto originario, dello stesso anno, prevedeva invece una 'ellisse' meno marcata, quindi più ripida e meno agevole.
La gradinata è composta da 129 gradini distribuiti a gruppi di 13 su 10 rampe. La prima rampa ha 12 gradini, ma un tempo dovevano essere 13: il primo gradino, sporgente dal recinto, fu probabilmente eliminato allorché si aggiunse la rampa di collegamento con il C.so Garibaldi, il cui livello era stato sensibilmente abbassato forse a causa di uno sbancamento volto a livellare il tracciato.
I gradini, dal profilo rettilineo, hanno uno spessore di 5 cm e presentano una modanatura a toro, graduata in basso da un listello che cela allo sguardo la giunta col battente. La pedata è di 35 cm, l'alzata 17,5. La gradinata, chiusa ai lati da uno zoccolo in muratura sormontato da una ringhiera in ferro battuto, e scandita da numerosi podi sui quali si sarebbero dovute inserire delle statue, non ha gradini terminali.
Il percorso ascensionale inizia da C.so Garibaldi. Le prime due rampe, rispettivamente di 12 e 13 gradini, sono separate da un 'ripiano' ai cui lati si aprono i cancelli del giardino, la cosiddetta 'floretta inferiore destra' e rispettivamente quella 'sinistra'. Il 'piazzale' soprastante, più largo, è chiuso invece dal cancello della 'floretta centrale inferiore'. Dai lati muovono due fughe simmetriche di gradini.
Le rampe delle curve inferiori e superiori hanno un ritmo uniforme, rotto al centro dalla strada (attuale Via Lanteri) che attraversa l'ellisse. Le pause sono ampie e piuttosto variabili a seconda del raggio di percorrenza. Anche la pedata varia dall'interno all'esterno. I gradini presentano qui un andamento a raggiera e convergono ciascuno rispettivamente verso il proprio 'fuoco'.
Al culmine della curva, il 'piazzale superiore' concede una pausa più lunga. Le ultime due rampe replicano quelle inferiori e chiudono simmetricamente la gradinata. Attraversato il C.so San Giorgio si sciorinano le tre rampe, probabilmente preesistenti, del sagrato: le prime due di 15 gradini ciascuna hanno il profilo sinuoso, l'ultima di 10, ha il profilo spezzato e presenta dei gradini terminali.
Se l'architetto della facciata del San Giorgio guardò oltralpe, il Cappellani, autore della gradinata monumentale, guardò invece a Roma. Il precedente più noto è infatti la scalinata di Trinità dei Monti, realizzata tra il 1723 e il 1725 su progetto dell'architetto Francesco De Sanctis dei Minimi, il quale a sua volta pare essersi ispirato ai disegni di Antonio Canevari per il Bosco Parrasio sul Gianicolo.
La sua scalinata si articola in una serie di 11 rampe. Ognuna è formata da 12 gradini per un totale di 132. Ulteriori 4 gradini raccordano poi la scalinata alla celebre piazza. Le prime tre rampe sono ripartite da due file di sedili, la rampa successiva immette in un piazzale, ai lati due fughe di gradini conducono alla più ampia terrazza. Un'ultima serie di rampe termina infine nella piazza antistante la chiesa.
Si tratta di un organismo destinato non solo al passaggio ma anche alla sosta. Il progetto del De Sanctis prevedeva peraltro due filari di alberi per offrire riparo dalla canicola estiva. La gradinata del Cappellani in luogo delle terrazze presenta invece un 'giardino all'italiana', più simile in verità a un hortus conclusus. Tutto ciò indica che questo spazio dev'essere piuttosto percorso che 'abitato'.
In entrambe le scalinate la pietra adoperata fu il calcare. Ma se a Roma si utilizzò il più pregiato travertino, a Modica si optò per una pietra povera, la cosiddetta 'pietra-pece' di C.da Castelluccio, ivi 'coltivata' sul finire dell'Ottocento con moderne tecniche industriali da parte di intraprese straniere. Si tratta di un calcare tenero impregnato di bitume, compatto e impermeabile.
Questa pietra 'caliginosa' conferisce alla gradinata, quindi all'ascesa, un simbolismo inaspettato, da purgatorio dantesco, concorrendo pure al 'miracolo' pittorico risultante dal contatto con la pietra bianca della facciata, che risulta più luminosa se vista in prospettiva. A questa visione drammatica, espressa efficacemente dalla bicromia dei materiali, si ridusse anche il sagrato.
E' probabile infatti che, contestualmente alla sistemazione dello spazio sottostrada, si intervenne anche sullo scalone del sagrato, nobilitandone il profilo e rendendolo omogeneo, se non nelle rampe almeno nei gradini e nei materiali, alla gradinata che si andava realizzando. Da questo intervento restarono escluse invece le scale che si srotolano dai lati del sagrato su, lungo i fianchi della chiesa.
La gradinata, si è detto, è un episodio tardo (fine XIX secolo) nella vicenda costruttiva del San Giorgio. Una scalinata comunque è attestata agli inizi di XIX secolo. Che un percorso inerpicantesi su fino al sagrato esistesse ab antico è poi molto probabile. In ogni caso, lo spazio sottostrada lo si considerò da subito funzionale alla chiesa: da qui infatti la 'torre' appariva addirittura vertiginosa.
Se non si ottenne, come previsto dal Cappellani, di vedere sin dall'inizio del percorso il portale principale, si ebbe nondimeno la moltiplicazione del punto di vista, non più statico come nella Basilica di San Pietro, dove l'ellisse del colonnato arresta i fedeli al suo interno, o come nelle terrazze di Trinità dei Monti. Il giardino, occupando interamente le terrazze, non lasciò che pochi spazi per la sosta.
E il San Giorgio di Modica, con la sua gravità 'nuda' appena ingentilita dalla decorazione, con la sua straordinaria scenografia, di cui la gradinata è si la componente più significativa ma allo stesso tempo la più recente interpretazione di uno spazio preesistente, è l'opera che probabilmente conclude, e non solo dal punto di vista cronologico (seconda metà del XVIII secolo), la stagione artistica del barocco architettonico iniziata a Roma un secolo prima.
Nota sul degrado
A più di un secolo dalla sua edificazione, la gradinata presenta non poche rughe e sarebbe necessario al più presto un intervento di restauro. Molti gradini presentano infatti delle sgradevoli sbeccature, le quali potrebbero generare anche non pochi incidenti. La malta degli interstizi tra i gradini polverizzatasi lascia intravedere, con le fessure, il profilo irregolare dei pezzi adoperati.
Da tali fessure si affacciano talora rigogliosi cespugli, altrove il muschio ha sostituito la malta, in qualche caso ha invaso completamente la pedata. Le foglie che periodicamente si staccano dai tanti arbusti presenti nell'area, di per sé innocue, mescolate alla melma, suggeriscono a quanti percorrono la gradinata un senso di sporcizia e noncuranza imperdonabile in uno dei siti più frequentati dai turisti.
Non si capisce poi la tolleranza nei confronti dei tanti vandali che oltre a lasciare regolarmente l'immondizia fuori dai cestini, hanno anche ricoperto di scritte le pareti della gradinata. Possibile che non si riesca a cancellare quel 'Monika ti amo' che campeggia nella parete della curva superiore destra da tempo? Si tratta di uno dei siti non solo patrimonio dell'Unesco, ma anche maggiormente fotografati.
Artecreo