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Quando il venerdì insidiava la festa di San Mercurio

Post n°40 pubblicato il 13 Marzo 2012 da anchise.enzo

Alla festività di San Mercurio si riferisce un detto memorabile colto sulla bocca dello scomparso padre Ireneo Serpone il 26 agosto del 1997: Sante Mercúrie a nnotte
sètte crastate cutte!
La notte di San Mercurio
(si banchetta con) sette castrati cotti. 
Beatissimo padre,
Io qui sottoscritto Arciprete Curato genuflesso innanzi al trono di V.a Santità umilmente domando quanto segue. Nel giorno 26 Agosto si festeggia in Toro la traslazione di S. Mercurio che il popolo ab immemorabili ha venerato come suo Protettore. La festa si celebra con solennità maggiore delle altre nel paese, perciò in tale ricorrenza affluisce in Toro gran numero di forestieri. Cadendo in questo anno la traslazione di S. Mercurio in giorno di venerdì, io genuflesso innanzi al trono di V.a Santità umilmente domando la grazia di dispensare questo popolo dall´astinenza dalla carne in detta solennità.
La ragione, che mi muove a domandare la dispensa, si è che la legge dell´astinenza dalla carne in detta solennità sarebbe da pochi osservata, perché riuscirebbe difficilissimo alle famiglie preparare il pranzo di magro, tanto più che qui manca il pesce. Per evitare gran numero di peccati, io domando la grazia dell´Indulto Apostolico. Genuflesso innanzi al trono di V.a Santità Le bacio il sacro Piede e Le domando la Benedizione Apostolica.
Umilissimo Devot.mo Figlio in Gesù Cristo
Valerio Arciprete Carlone

Per il tramite del Vicario Generale, l’Arcivescovo di Benevento Camillo Siciliano di Rende rispose con tempestività. E Il 28 luglio 1892 fece conoscere il suo pensiero in merito. Un pensiero tutt’altro che ispirato alla paterna sollecitudine, cui da sempre si appellano i pastori della chiesa.
In tutti i paesi d´Italia - argomentò il cardinale con una punta di malcelato sarcasmo – si abbonda di maccheroni e paste di ogni specie. Di uova, di pomidoro, peperoni, baccalà e non di rado anche di pesce fresco, buona frutta ed ottimo vino, per cui paesani e forestieri possono ben empire la pancia anche nei giorni di magro, e non pretendere che per puro capriccio vadano in fumo le leggi della Chiesa Cattolicissima di nuovo conio! Ciò posto, se vogliono permesso scrivano direttamente a Roma.

Si ignora se l’arciprete e i fedeli toresi abbiano seguito il consiglio cardinalizio e fatto ricorso direttamente al soglio pontificio per ottenere l’indulto apostolico. Forse si limitarono a mandare cordialmente al diavolo l’inflessibile aricivescovo. Forti come sempre del patrocinio di San Mercurio, grazie al quale il Patreterno avrebbe di certo chiuso un occhio sulla loro inosservata astinenza.
Nota bene.
La supplica dell’arciprete Carlone e il rifiuto arcivescovile sono stati rinvenuti e trascritti da Vincenzo Colledanchise, che ringrazio di cuore, per avermi permesso di pubblicarli.

A dimostrazione che la festività del Santo Patrono resta la festività per eccellenza. E va onorata anche, per non dire soprattutto, a tavola.

Ai giorni nostri non c’è problema e ognuno si sbizzarrisce come vuole. Ma nel passato le cose non erano così semplici. In primo luogo, bisognava fare i conti con le ristrettezze economiche. In secondo luogo, con i precetti di Santa Romana Chiesa, che erano inflessibili. Bastava che la festa del Patrono capitasse di venerdì e si creava lo scompiglio. E in quel caso, come onorare il santo con arrosti e braciole e non commettere peccato mortale? Già, come fare, se alla carne non c’erano alternative e chi voleva pesce, bisognava che se lo andasse a pescare a Termoli?

Si pose questo angoscioso problema il buon arciprete di Toro Valerio Carlone, campopetrese doc, che il 22 luglio 1892, si preoccupò di supplicare addirittura il papa, indirizzando la supplica alla preventiva approvazione dell’Arcivescovo di Benevento (allora Toro ricadeva sotto la sua giurisdizione), su carta intestata della Chiesa Arcipretale del SS. Salvatore in Toro, con tanto di timbro stampigliato.

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