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A QUEL TEMPO ERA L'ABITO DELLA DOMENICA

Post n°3850 pubblicato il 16 Marzo 2021 da monellaccio19
 
Foto di monellaccio19

 

 

 

C'era una volta l'abito della domenica, c'era una volta l'abbigliamento di classe, sartoriale, industriale, d'alta perfezione nei dettagli e nelle scelte dei tessuti. Comprare un abito allora, significava procurarsi quanto di meglio si potesse trovare sul mercato, compatibilmente con le nostre finanze. Una scelta attenta e mirata, oculata e finalizzata ad un solo tipo d'occasione, il dì di festa per il quale indossare il ..."Tappo". Lo so, vi sorprendo, ma ai miei tempi uno solo era il costume per il dì festivo o per una occasione speciale, doversi "tappare" era obbligatorio. Essere in tiro, essere all'altezza con costume intero, camicia bianca e cravatta a tono. Questo era il "tappo" e questo era lo sfottò quando uno di noi indossava un costume di tal guisa: "Oh, addo' va' tutt' attappate?".  La curiosità era legittima come la domanda: se hai indossato il "tappo" dovevi andare da qualche parte per una ricorrenza, un particolare incontro, un avvenimento meritevole di una mise elegante e perché no, la domenica andando alla messa, l'abito era....quello buono!  Insomma, c'era un tempo in cui le nostre scelte si orientavano in tal senso: tanti abiti comuni e funzionali per tutti i giorni lavorativi e di routine, qualche abito elegante e di classe superiore per le grandi occasioni. Laboratori sartoriali e piccole industrie attrezzate, mettevano in campo professionalità e "made in italy" per fornirci tanta bella roba di qualità prodotta con gusto e apprezzabile stile. Poi c'erano le grandi firme, gli eccelsi nomi prestigiosi con tanto di sfilate al seguito: roba da ricchi e poco consoni alle possibilità della stragrande maggioranza dei consumatori. Anzi, quando vedevamo le sfilate di moda femminili o maschili, noi "poveri morti di fame" eravamo soliti commentare: "Quell'abito? Mah...manco se me lo regalano lo indosserei...". Nessuno di noi, giustamente, immaginava di camminare come gli indossatori e men che mai, prefigurava di andare da qualche parte conciato in quel modo. Oggi, invece, viviamo e paghiamo la piena globalizzazione, devastante e deleteria: gli abiti non si producono più come prima e tralasciando sempre le prestigiose firme che scrivono un capitolo a parte, le piccole fabbriche hanno chiuso o hanno dovuto piegarsi alla nuova frontiera asiatica. I laboratori sartoriali, penalizzati da costi insostenibili, hanno abbandonato quella certosina e obbligata perfezione che connotava il loro manufatto ricercato ed elegante. Le griffe, quelle che ci "ubriacavano" per l'intraprendenza talentuosa pronta a soddisfare immediatamente tendenze e dettami modaioli, si servono, per utilitaristiche scelte commerciali e finanziarie, dei mercati asiatici puntando sulla mano d'opera molto conveniente e...a scapito della qualità. E' sotto gli occhi di tutti ormai: le rifiniture, anche per capi di un certo livello non sono più perfette come una volta, la vestibilità e le scelte dei materiali, non rappresentano più un "made in italy" che valeva anche a livelli medi, medio-alti. Il mercato ha sconvolto certe nostre scelte "preziose" che omologavano un nostro stile di vita, un essere eleganti senza strafare e senza ricorrere alle grandi firme. Si comprava anche per il piacere e il gusto di avere "un vestito" per la festa; oggi, purtroppo, quel vestito non esiste più: troppa generalizzazione, poca distinzione, eccessiva uniformità, evidente appiattimento! Però il piacere del "tappo" degli anni sessanta era unico, superlativo e a...gamba larga!

 

 
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