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Il ponte tra la disperazione e la speranza, è una buona dormita. Poi scopri che la speranza è una buona prima colazione, ma una pessima...cena!
Qualcuno ci rammenta che il tempo passa, ma non ci accorgiamo che siamo noi a...passare.
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Il problema è vecchio, se ne discute da tanto e lo scontro generazionale si fa sempre più serrato. Essenzialmente i fronti contrapposti sono due: quelli che intendono impostare l’educazione dei figli basandosi sul rapporto genuino, giornaliero e dialettico, e quelli che nel rapporto intendono esprimere severità quando occorre e pugno duro se è necessario. La prima falange che ho indicato è sicuramente la più numerosa, la più aperta alla libertà dei movimenti e delle parole dei propri figli: nel dialogo non si alza mai la voce, si discute con garbo e moderazione e si cerca di portarli al ragionamento sereno. Se non si ottiene nulla, allora si temporeggia, si aspetta, si tentenna e dopo un po’, si lascia piena libertà ai bambini, ai ragazzini senza aver potuto “imporre” il proprio pensiero e la propria decisione. La dimostrazione di tutto ciò la possiamo riscontrare nel vedere come crescono questi ragazzi: viziati, sfrontati e poco educati. Costa dirlo ma è così, i risultati sono questi e facciamocene una ragione: sono quei genitori che manifestano il massimo della loro impotenza e della loro accennata sufficienza quando per una “marachella” (è un eufemismo sfacciato) scolastica, si giunge incazzati dal direttore e/o dall’ insegnante aggredendoli verbosamente: “Mio figlio? Ma come si permette? Mio figlio non dice e non fa certe cose. La prossima volta se si permetterà ancora, le faccio passare un brutto quarto d’ora”. Questa è la prova provata della protervia di chi non abbia capito nulla del rapporto con i figli. Dall’ altra parte, quella meno affollata, c’è la legione dei severi, dei puntigliosi, dei genitori che vogliono aver un buon rapporto con i figli, ma senza arrivare all’abuso, alla compiacenza e alla libertà di azione e parola. Lo scappellotto quando occorre ci scappa e la punizione pure: col tempo non si pentiranno questi genitori e riscontreranno al momento opportuno, quanto il loro modo di agire e le loro scelte siano state diligenti, opportune e utili per la crescita dei ragazzini. Pieraccioni, a modo suo, evidenzia sulla base del rapporto intessuto con la figlia Martina di sette anni, come sia difficile imbastire un confronto e un dialogo sereno e assennato. I primi scontri, le prime scaramucce e i primi disaccordi vengono fuori subito: se c’è un no detto da papà, come lo si può conciliare con le aspettative della figlia? Pieraccioni ammette che qualche “calcetto terapeutico”, con questo andazzo ormai dilagante e preoccupante per l’educazione dei nostri figli, sia opportuno e necessario se vogliamo riprendere in mano il timone della formazione buona e giusta dei futuri uomini italiani, quelli che poi saranno i protagonisti della storia politica, economica e finanziaria di una nazione che oggi, forse anche per questi inopportuni e improvvidi scontri generazionali ed educativi, non versa in buona salute. Comunque caro Pieraccioni, non esageriamo: io parlo di scappellotti e no di calcioni. Quelli no, decisamente no!
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