Dal lounge pub al wine bar,
dalla proseccheria alla sprizzetteria, i locali di intrattenimento si sono via
via ingegnati nell’offrire più o meno probabili bevande e variegati variopinti
stuzzichini al ritmo di sonorità new age e ambienti di design, ove si degusta
ciò che è trendy o secondo i riti delle nuove tribù metropolitane.
Ma c’è ancora, sempre più
rara, sempre più vessata da nuove norme di igiene, la nonna di tutti i ritrovi,
che in tutta la sua approssimazione del servizio, la semplicità degli arredi,
la multitematica esposizione di vecchi oggetti di vita quotidiana, gli odori di
cantina e di cucina, conserva il primato di caposaldo della cultura contadina:
l’osteria.
Lungo la linea di confine tra
Romano d’Ezzelino e Bassano del Grappa da trentacinque anni si perpetra il rito
della partita a scopone al caldo della stufa di terracotta o fuori sotto la
pergola generosa dell’ombra “dee visee”.
L’edificio ben rappresenta la
storia e appartiene al complesso
progetto, merito dell’architetto Giuseppe Scamozzi che volle dare importanza
alla costruzione di Villa Cornaro (1591) e ne ideò un contesto circostante che
ne attribuisse valore e vanto. Ecco allora che il viandante che procedeva lungo
“la via che menava a lo imperio” ossia la vecchia Valsugana che proprio di qui
passava, poteva fermarsi a contemplare la maestosità e il pregio dell’arco che
presentava l’accesso alla Villa e ancor oggi domina l’incrocio e, di contorno,
la dependance che oggi ospita l’osteria. Né tragga in inganno l’aspetto odierno
della facciata, perché nonostante lo stile di chiara ispirazione al ventennio
fascista, raro e intatto, in Bassano, fu frutto di un rimaneggiamento in
devozione al Duce, da parte di Valentino Favero, che rilevò la maggior parte
delle proprietà, dai decadenti Mocenigo proprietari della Villa dal 1830.
In cotanta storia, la
foresteria lasciò il posto al locale di
mescita e vendita vino sfuso, ove il tempo non ha ceduto alle lusinghe del fast
food e dello spritz, e troverete il frutto dell’ultima vendemmia, soppressa, e
qualche sottaceto dal mattino fino al tramonto. Si respira ancora il ritmo
agreste delle stagioni, ove la festa estiva nella corte segue il rito del calar
del sole davanti alle braci che infondono aromi di pesce azzurro abbrustolito
con le galline che vagabondano sull’aia, e l’inverno si scandisce al risuonare
degli improperi del vecchio giocatore che lamenta il mancato “busso” brandendo
le carte a mo’ di ventaglio, seduto a un tavolo massiccio e consunto dal tempo,
col fumante brulè davanti e scorze di “maroni” un po’ ovunque. Ogni angolo delle pareti è affollato di
paioli in rame e vecchi oggetti della campagna, e campeggia su una mensola una
radio vecchia di sessant’anni che non funziona, ma che nessuno starebbe a
sentire tra le chiacchiere degli intellettuali e i litigi dei pensionati. Il
lavabo dietro al banco è ancora in marmo scalpellato a mano e le pareti esterne
della corte hanno i mattoni a vista con l’edera che invade le feritoie degli
scantinati, le piastrelle del pavimento bordeaux e bianche sono state camminate
da almeno tre generazioni, e chissà, prima percorse da qualche nobile amico dei
signori della Villa.
Forse non esiste una
sovrintendenza a questo tipo di “belle arti”, e una ristrutturazione le
risulterebbe fatale, forse tra qualche anno ne verrà tramandato il ricordo
verbalmente, e anch’io potrò dire di essere stato al “canton del Gaeo”.
Inviato da: lore47
il 11/04/2012 alle 11:30
Inviato da: themi
il 30/06/2010 alle 23:08
Inviato da: spily1985
il 30/06/2010 alle 11:32
Inviato da: stella112
il 12/01/2009 alle 12:19