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Da poco sono tornato dalle ferie. Quest’anno per mia scelta sono state cortissime. Avevo voglia di visitare i vecchi luoghi di sempre, ma senza trattenermi a lungo. Ciò che in realtà avrei voluto fare, era proprio una veloce capatina, però non ho potuto: ci sono sempre degli “obblighi” parentali ai quali e impossibile venir meno, per cui ho ristretto il periodo di permanenza al minimo sindacale. Questa volta non ho ceduto alle insistenze, avevo solo voglia di tornare casa e riposarmi a modo mio: trascorrere qualche giorno completamente immerso coi pensieri e il corpo nel lavorare la terra. Eppure un mese fa non la pensavo così, avevo in testa un programma di visite e di escursioni che avrebbero riempito le mie vacanze fino all’ultimo giorno. Però qualcosa è cambiato ancor prima di partire. Provavo un’emozione strana, un senso di condanna. Mi vedevo inabissato nel mio girovagare nel tavoliere e mi sentivo soffocare. Non era repulsione per i luoghi, e neppure per le persone, era spossatezza per la ripetitività delle situazioni. Vedevo scorrere nella testa un film già visto tante volte, ragionamenti affrontati già in passato e riproposti come nuovi solo perché era cambiata la data. Vedevo parcheggiata la mia macchina dal balcone della cucina, gli alberi che le davano ombra ondeggiare sotto le sferzate del vento. Vedevo il bicchiere col dito d’amaro pugliese appoggiato sulla balaustra, sentivo in bocca il suo sapore, mentre arrancato all’estremo sinistro del ballatoio sfruttavo l’ultimo metro d’ombra prima dell’arrivo del sole.
Io so di appartenere a quei luoghi, ma quei luoghi sanno che io li appartengo? Credo che il mio senso di appartenenza sia solo illusorio. Un pensiero che si è insediato nella testa qualche anno fa e che ho forzatamente alimentato fino ad ora. Ho ricercato nei luoghi, nelle persone, ciò che ero, ciò che ricordo, ciò che vorrei tornasse. Ma le cose cambiano, modificano il proprio aspetto, lasciando a volte la parvenza di immutabilità. I cambiamenti ci sono sempre, è solo la mia perseveranza al passato a renderli nulli. Poi accade qualcosa e tutto precipita. La cataratta si dissolve e vedo la realtà per quel che è: una sconosciuta costretta a indossare un travestimento cucito dalla mia ostinazione. Trentacinque anni sono tanti.
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