"IL CAMMINO DELL'UOMO T... »

DIALOGHI...

Post n°1 pubblicato il 26 Ottobre 2005 da nightfriend84
Foto di nightfriend84

PLATONE: “Paragona la nostra natura, per quanto concerne l'educazione e la mancanza di educazione, a un caso di questo genere: Pensa a uomini chiusi in una specie di caverna sotterranea, che abbia l'ingresso aperto alla luce per tutta la lunghezza dell'antro; essi vi stanno fin da bambini incatenati alle gambe e al collo, così da restare immobili e guardare solo in avanti, non potendo ruotare il capo per via della catena. Dietro di loro, alta e lontana, brilla la luce di un fuoco, e tra il fuoco e i prigionieri corre una strada in salita, lungo la quale immagina che sia stato costruito un muricciolo, come i paraventi sopra i quali i burattinai, celati al pubblico, mettono in scena i loro spettacoli».

GLAUCONE: «Li vedo»

PLATONE: «Immagina allora degli uomini, che portano lungo questo muricciolo oggetti d'ogni genere sporgenti dal margine, e statue e altre immagini in pietra e in legno delle più diverse fogge; alcuni portatori, com'è naturale, parlano, altri tacciono»

GLAUCONE: «Che strana visione, e che strani prigionieri!».

PLATONE: «Simili a noi, innanzitutto, credi che tali uomini abbiano visto di se stessi e dei compagni qualcos'altro che le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna di fronte a loro?»

GLAUCONE: «E come potrebbero, se sono stati costretti per tutta la vita a tenere il capo immobile?»

PLATONE: «E per gli oggetti trasportati non è la stessa cosa?»

GLAUCONE: «Sicuro!».

PLATONE: «Se dunque potessero parlare tra loro, non pensi che prenderebbero per reali le cose che vedono?»

GLAUCONE: «è inevitabile!».

PLATONE: «E se nel carcere ci fosse anche un'eco proveniente dalla parete opposta? Ogni volta che uno dei passanti si mettesse a parlare, non credi che essi attribuirebbero quelle parole all'ombra che passa?»

GLAUCONE: «Certo!».

PLATONE: «Allora, per questi uomini la verità non può essere altro che le ombre degli oggetti».

GLAUCONE: «è del tutto inevitabile»

PLATONE: «Considera dunque, come potrebbero liberarsi e guarire dalle catene e dall'ignoranza, se capitasse loro naturalmente un caso come questo: qualora un prigioniero venisse liberato e costretto d'un tratto ad alzarsi, volgere il collo, camminare e guardare verso la luce, e nel fare tutto ciò soffrisse e per l'abbaglio fosse incapace di scorgere quelle cose di cui prima vedeva le ombre, come credi che reagirebbe se uno gli dicesse che prima vedeva vane apparenze, mentre ora vede qualcosa di più vicino alla realtà e di più vero, perché il suo sguardo è rivolto a oggetti più reali, e inoltre, mostrandogli ciascuno degli oggetti che passano, lo costringesse con alcune domande a rispondere che cos'è? Non credi che si troverebbe in difficoltà e riterrebbe le cose viste prima più vere di quelle che gli vengono mostrate adesso?»

GLAUCONE: «E di molto!»

PLATONE: «E se fosse costretto a guardare proprio verso la luce, non gli farebbero male gli occhi e non fuggirebbe, voltandosi indietro verso gli oggetti che può vedere e considerandoli realmente più chiari di quelli che gli vengono mostrati?»

GLAUCONE: «è così»

PLATONE: «E se qualcuno lo trascinasse a forza da lì su per la salita aspra e ripida, e non lo lasciasse prima di averlo condotto alla luce del sole, proverebbe dolore e rabbia a essere trascinato, e una volta giunto alla luce, con gli occhi accecati dal bagliore, non potrebbe vedere neppure uno degli oggetti che ora chiamiamo veri?»

GLAUCONE: «No, non potrebbe, almeno, non tutto ad un tratto», rispose.

PLATONE: «Se volesse vedere gli oggetti che stanno di sopra avrebbe bisogno di abituarvisi, credo. Innanzitutto discernerebbe con la massima facilità le ombre, poi le immagini degli uomini e degli altri oggetti riflesse nell'acqua, infine le cose reali; in seguito gli sarebbe più facile osservare di notte i corpi celesti e il cielo, alla luce delle stelle e della luna, che di giorno il sole e la luce solare».

GLAUCONE: «Come no? »

PLATONE: «Per ultimo, credo, potrebbe contemplare il sole, non la sua immagine riflessa nell'acqua o in una
superficie non propria, ma così com'è nella sua realtà e nella sua sede».

GLAUCONE: «Per forza»

PLATONE: «In seguito, potrebbe dedurre che è il sole a regolare le stagioni e gli anni e a governare tutto quanto è nel mondo visibile, e che in qualche modo esso è causa di tutto ciò che i prigionieri vedevano».

GLAUCONE: «è chiaro che, dopo quelle esperienze, arriverà a queste conclusioni».

PLATONE: «E allora, credi che lui, ricordandosi della sua prima dimora, della sapienza di laggiù e dei vecchi compagni di prigionia, non si riterrebbe fortunato per il mutamento di condizione e non avrebbe compassione di loro?»

GLAUCONE: «Certamente».

PLATONE: «E se tra i prigionieri si scambiavano onori, elogi e premi, riservati a chi discernesse più acutamente gli oggetti che passavano e si ricordasse meglio quali di loro erano soliti venire per primi, quali per ultimi e quali assieme, e in base a ciò indovinasse con la più grande abilità quello che stava per arrivare, ti sembra che egli ne proverebbe desiderio ed invidierebbe chi tra loro fosse onorato e potente? o si troverebbe nella condizione descritta da Omero e vorrebbe ardentemente "lavorare a salario per un altro, pur senza risorse" e patire qualsiasi sofferenza piuttosto che fissarsi in quelle congetture e vivere in quel modo?»

GLAUCONE: «Io penso che accetterebbe di patire ogni genere di sofferenze piuttosto che vivere in quel
modo»

PLATONE: «E considera anche questo: se quell'uomo scendesse di nuovo a sedersi al suo posto, i suoi occhi non sarebbero pieni di oscurità, arrivando all'improvviso dal sole? (E certamente non è breve il tempo che passa affinché gli occhi che erano nella luce si abituino alle tenebre)»

GLAUCONE: «Certamente»

PLATONE: «E se dovesse di nuovo valutare quelle ombre e gareggiare con i compagni rimasti sempre prigionieri prima che i suoi occhi, ancora deboli, si ristabiliscano, e gli occorresse non poco tempo per riacquistare l'abitudine, non farebbe ridere e non si direbbe di lui che torna dalla sua ascesa con gli occhi rovinati e che non vale neanche la pena di provare a salire? E non ucciderebbero chi tentasse di liberarli e di condurli su, se mai potessero averlo tra le mani, ed ucciderlo?»

GLAUCONE: “Sì. Così farebbero!”

PLATONE: «Questa similitudine, caro Glaucone, dev'essere interamente applicata a quanto detto prima: il mondo che ci appare attraverso la vista va paragonato alla dimora del carcere, la luce del fuoco che qui risplende all'azione del sole; se poi consideri la salita e la contemplazione delle realtà superiori come l'ascesa dell'anima verso il mondo intelligibile, non ti discosterai molto dalla mia opinione, dal momento che desideri conoscerla. Lo saprà un dio se essa è vera. Questo è dunque il mio parere: l'idea del bene è il limite estremo del mondo intellegibile e si discerne a fatica, ma quando la si è vista bisogna dedurre che essa è per tutti causa di tutto ciò che è giusto e bello: nel mondo visibile ha generato la luce e il suo signore, in quello intelligibile essa stessa, da sovrana, elargisce verità e intelletto, e chi vuole avere una condotta saggia sia in privato sia in pubblico deve contemplare questa idea».

GLAUCONE: «Sono d'accordo con te, nei limiti delle mie facoltà».

PLAUTONE: «Allora, condividi anche questo punto e non meravigliarti che chi è giunto fin qui non voglia occuparsi delle faccende umane, ma la sua anima tenda sempre a dimorare in alto; ciò è ragionevole, se la similitudine fatta prima è ancora valida».

GLAUCONE: «Sì , è ragionevole»

PLATONE: «Ebbene, credi che ci sia qualcosa di strano se uno, passando dagli spettacoli divini alle cose umane, fa delle brutte figure e appare del tutto ridicolo, in quanto si muove a tentoni e prima di essersi ben abituato all'oscurità di quaggiù è costretto a difendersi nei tribunali o altrove dalle ombre della giustizia o dalle immagini che queste ombre proiettano, e a contestare il modo in cui esse sono interpretate da coloro che non hanno mai veduto la giustizia in sé?»

GLAUCONE: «No, non è affatto strano"

PLATONE: «Ma una persona assennata», ripresi, «si ricorderebbe che i disturbi agli occhi sono di due tipi e duplice è la loro causa: il passaggio dalla luce all'oscurità e dall'oscurità alla luce.
Considerando che la stessa cosa accade all'anima, qualora ne vedesse una turbata e incapace di vedere non riderebbe sconsideratamente, ma esaminerebbe se è ottenebrata dalla mancanza d'abitudine perché proviene da una vita più luminosa, o è rimasta abbagliata da una luce più splendida perché procede verso una vita più luminosa da una maggiore ignoranza, e allora stimerebbe felice l'una per ciò che prova e per la vita che conduce, e avrebbe compassione dell'altra; e quand'anche volesse ridere di questa, il suo riso riuscirebbe meno inopportuno che se fosse riservato all'anima proveniente dall'alto, alla luce».

GLAUCONE: «Hai proprio ragione!»

PLATONE: «Se questo è vero, dobbiamo concludere che l'educazione non è come la definiscono certuni che si professano filosofi. Essi sostengono di instillare la scienza nell'anima che non la possiede, quasi infondessero la vista in occhi che non vedono»

GLAUCONE: «In effetti sostengono questo»

PLATONE: «Ma il discorso attuale, rivela che questa facoltà insita nell'anima di ciascuno e l'organo che permette di apprendere devono essere distolti dal divenire assieme a tutta l'anima, così come l'occhio non può volgersi dalla tenebra alla luce se non assieme all'intero corpo, finché non risultino capaci di reggere alla contemplazione dell'essere e della sua parte più splendente; questo, secondo noi, è il bene. O no?»

GLAUCONE: «Sì»

PLATONE: «Può quindi esistere, un'arte della conversione, che insegni il modo più facile ed efficace di girare quell'organo. Non si tratta di infondervi la vista, bensì , presupponendo che l'abbia, ma che non sia rivolto nella giusta direzione e non guardi là dove dovrebbe, di adoperarsi per orientarlo da questa parte».

GLAUCONE: «Pare di sì"

PLATONE: «Pertanto le altre cosiddette virtù dell'anima sono probabilmente vicine a quelle del corpo: in effetti, se all'inizio mancano, è facile che poi vengano infuse con l'abitudine e l'esercizio. Invece la virtù dell'intelletto, a quanto pare, riguarda più d'ogni altra un qualcosa di più divino, che non perde mai il suo potere e per effetto della conversione diventa utile e giovevole o viceversa inutile e dannoso. Non hai ancora notato come l'animuccia di quelli che sono considerati malvagi, ma in gamba, abbia uno sguardo penetrante e discerna con acutezza ciò a cui si rivolge, poiché la sua vista non è scarsa, ma è costretta a servire la malvagità, al punto che quanto più acutamente vede, tanto maggiori sono i mali che produce?»

GLAUCONE: «Proprio così»

PLATONE: «Tuttavia, se a una natura simile fossero amputati sin dall'infanzia quella sorta di pesi di piombo congeniti al divenire, che si attaccano a lei con i cibi, i piaceri della gola e le leccornie e torcono la vista dell'anima verso il basso; se, liberatasi di essi, si convertisse alla verità, la stessa natura di queste persone vedrebbe la realtà con la massima acutezza, come vede ciò cui ora è rivolta».

GLAUCONE: «è logico».

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
Vai alla Home Page del blog
 
 

Ultime visite al Blog

nightfriend84punksenzadyolilly.gregsoleluna22stoorresavolandfarmlorteyuwlottergsdiedhereslechtlaformadellessere
 

FACEBOOK

 
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

Archivio messaggi

 
 << Aprile 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
29 30          
 
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963