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la cena

Post n°3 pubblicato il 05 Dicembre 2005 da noncercostoriedamore
Foto di noncercostoriedamore

Era molto tempo che attendevo questa cena. L'idea era nata per scherzo, quando Serena aveva confessato candidamente una piccola fantasia di Andrea, il suo uomo ed il suo Tutor. Lei ne disquisiva scherzosamente ma sia Elena che io l’avevamo trasformata subito in una accattivante proposta realizzabile. Il tempo di uscire dalla doccia, subito dopo il lavoro ed eccomi sotto casa di Elena, ad attenderla come un sedicenne al primo appuntamento. Avrei potuto anche salire, visto che possedevo una copia delle chiavi, ma avrei rovinato quel “piacere dell’attesa” che mi permetteva di fantasticare ancora e mi sembrava ottimo preludio alla serata.

Elena varcò il portone con un minuto di ritardo e, conoscendola bene, l’aveva appositamente calcolato. Osservò attentamente i riflessi cromati che si stagliavano sulla carrozzeria nera lucida della mia Porche 911 e ci girò attorno. Sapevo che adorava quella macchina ormai d'epoca che usavo solo poche volte all’anno quando l’occasione lo meritava. Sentii la portiera del lato guidatore aprirsi. Un sorriso, il suo profumo, un bacio affettuoso sulla guancia e poche parole: “Questa sera guido io”.  “E un ordine, Mistress Elena?” risposi sarcastico, mentre mi spostavo automaticamente sul sedile del passeggero, sorridendo al pensiero di quanti uomini si fossero rivolti a lei, la mia Elena, con quell’epiteto.

Fortunatamente per le nostre vite, casa di Andrea era a non più di dieci chilometri da casa della mia musa. Ogni volta che Elena riusciva ad impossessarsi di quella vettura ed a guidarla con il suo stile di guida sportivo e spavaldo, ringraziavo ogni divinità conosciuta o meno, di esserne uscito vivo. Con la lancetta del tachimetro che stava ormai superando i 160 mi chiese tranquillamente: “Sei passato tu, vero, a prendere qualcosa? Mi dispiacerebbe presentarci a mani vuote”. Le risposi scherzando nervosamente: “Non ti preoccupare. Ho portato una bottiglia di champagne, di DOM Perignon. Non apprezzi la sottile ironia del nome?”. “Quindi Serena sarà l’unica a non ubriacarsi, stasera!” disse sghignazzando mentre finalmente rallentava scorgendo l'uscita della tangenziale.

Stavamo ancora ridacchiando, mentre suonavamo il campanello. Il rumore sordo dell’apricancello elettrico annunciò che potevamo entrare. Andrea e Serena erano sulla porta ad attenderci. Il padrone di casa in pantaloni neri e camicia grigia, guardando il nostro arrivo ci sorrise. Accanto a lui si stagliava la figura di Serena, la pelle chiara, i capelli ricci ramati, vestita solamente con un karada costruito con un'unica corda rosso fuoco, intrecciata magnificamente. Doveva essere costato molto lavoro ad Andrea, che sicuramente poteva dirsene orgoglioso. Teneva Serena al guinzaglio con la mano sinistra, mentre protendeva la destra in un saluto caloroso. Appena entrati disse: “Le dona il rosso, vero? Però non è ancora molto educata, è una cucciolotta, e quando riceve delle visite si eccita molto."

Il volto di Serena tradiva un miscuglio di sensazioni che lottava in lei: Umiliazione, non voleva far soccombere il suo forte orgoglio; Vergogna, non si era mai fatta vedere così esposta da altre persone; Emozione, non voleva sbagliare e deludere il suo Padrone; Eccitazione, non lo avrebbe mai ammesso neanche a se stessa ma era terribilmente eccitata. Vampate di calore e di gelo la pervadevano, generando tanti piccoli brividi lungo la schiena. Il leggero tremore delle sue labbra non mi lasciava certamente indifferente e sperando che la mia compagna cogliesse al volo dissi audacemente: “Non mi sembra proprio cucciolotta. Secondo me ha già il primo calore. Posso controllare? Anzi, Elena, tu che te ne intendi di animali, controlla se ho ragione…”. Lei, calata perfettamente nel gioco, chiese ad Andrea se poteva verificare. Il padrone di casa diede con piacere l’autorizzazione e si sedette in poltrona, invitandomi a fare altrettanto: “Vieni Alessandro, accomodati. Sono molto curioso di conoscere questo metodo di verifica...".

Elena, spostandosi dall'ingresso aggiunse: “Non ti preoccupare. Anche se è un metodo empirico è estremamente efficace, funziona sempre”. Mentre spiegava si avvicinò a Serena che la guardava con un'aria tra l'interrogativo e l'incredulo. Era uno strano legame quello che univa le due giovani donne. Un profondo senso di amicizia, una complicità che le aveva portate a parlare di qualsiasi cosa tra loro. Si confidavano anche cose molto intime come i loro desideri sessuali, i feticismi, le perversioni, ma nessuna delle due aveva mai realmente mostrato un interesse verso l'altra. In quell’istante pero’ lo sguardo di Elena era estremamente deciso, i gesti delicati ma fermi, mentre si avvicinava sempre piu’. Alzò una mano verso il corpo di Serena che istintivamente si ritrasse, toccando la parete proprio alle sue spalle. I polpastrelli di Elena iniziarono ad accarezzare i rombi di corda rossa che scendevano dal centro del bacino. Il respiro dell'amica si faceva sempre più veloce, le funi si tendevano ritmicamente all'alzarsi del suo petto. Serena con lo sguardo cercava il suo uomo sperando forse che interrompesse questo gioco. Le unghie dell’amica stavano passando sul clitoride, e lei chiuse gli occhi. Elena inserì due dita all’interno di Serena, entrando facilmente e sentendo tremare il suo corpo. Le estrasse subito dopo e si rivolse verso di noi: “Ecco, vedi Andrea? E’ bagnata, calda ed appiccicosa. E’ sicuramente in calore. Ale, confermi?” chiese porgendomi la mano. Schiusi le labbra e gustai gli umori di Serena, leccandoli dalle dita della mia donna. Sorridendo aggiunsi: “Oh, si! E’ decisamente pronta!”.

L’imbarazzo di Serena aumentava in modo proporzionale all’eccitazione dei suoi tre aguzzini. “Suvvia non perdiamo tempo con questioni di scarsa importanza. Accomodiamoci a tavola, che ormai è tutto pronto” propose Andrea per stemperare un attimo l'intensità crescente di quell'incontro. I posti, decisi dal padrone di casa, prevedevano che Elena fossa alla mia destra e lui alla mia sinistra. Serena di fronte a me, in piedi, non aveva nemmeno la sedia. Andrea le si avvicinò e dopo averla fatta inginocchiare di fronte alla tavola su di un cuscino, la imbavagliò con un laccio di cuoio che introduceva all’interno della sua bocca una pallina rossa forata. “Sapete, non mi fido ancora. Siamo all’inizio dell’addestramento e non voglio rischiare che in un impulso possa mangiare ciò che c’e’ sopra la tavola.” Sia io che Elena convenimmo sorridendo su quanto esposto ed incominciammo a cenare, sotto lo sguardo di Serena che a tratti mugolava piano.

Non passarono nemmeno due minuti che Elena sbottò: “Ma con tutte le razze che esistono in natura, proprio un boxer dovevi scegliere? Le dai una pallina per giocare e lei cosa fa? Sbava dappertutto.” Andrea si alzò, prendendo un magnifico frustino in carbonio. “Che figure mi fai fare con gli ospiti? Mi fai vergognare di te, e questo non è proprio tollerabile. Intanto dieci colpi non te li toglie nessuno e poi rimarrai sotto la tavola, in punizione, a leccare i piedi di Elena, nella speranza che ti possa perdonare.” Non fece nemmeno in tempo a finire la frase che già la prima vergata aveva fatto arrossare la pelle della povera Serena che ora mugolava davvero come una cagna. Cercava di rimanere ferma e dritta in ginocchio, con le mani appoggiate alla tavola. I denti ora serravano il bavaglio, la fronte era corrugata e gli occhi stretti in una smorfia. Dieci colpi, dieci sibili, dieci linee rette rosse che ornavano trionfanti le sue natiche. Andrea tornò a sedersi con calma e tolse il bavaglio a Serena che crollò appoggiando la testa sulle sue ginocchia. Le pulì le labbra con il suo tovagliolo e le disse, accarezzandole una guancia: “Ora vai, e cerca di farti perdonare.”

Lei si chinò di fronte a lui e scese carponi sotto il tavolo. Slacciò le scarpe della mia compagna con la bocca leccandole. Con impegno riuscì a sfilarle le calze senza nemmeno romperle, tirandole delicatamente con i denti. Iniziò a guardare i piedi candidi di Elena. Non aveva mai confessato a se stessa che quella donna in fondo le piaceva. Prese ad accarezzarli, leccandoli lungo la pianta, annusandoli come se volesse imprimere nella memoria il loro odore. Passò la lingua sul tallone più volte, stuzzicando il tendine d’achille. Poi passò alle dita. Le piaceva infilarsele in bocca e succhiarle con forza, facendo rumore.

Nessuno dei presenti riusciva più ad inghiottire un sol boccone. Sia io che Andrea eravamo assolutamente presi dalla scena. Elena respirava sempre più velocemente, eccitata. Socchiuse gli occhi e girò la testa verso di me, chiedendomi “Alessandro, per favore, baciami.” Le presi il viso tra le mani e la baciai con passione, mentre Serena continuava a dare piacere alle sue estremità. Le stringevo le labbra tra le mie succhiandole e mordendole mentre la guardavo negli occhi. Ebbe un orgasmo senza nemmeno sfiorarsi. Un orgasmo liberatorio, mentre stringeva la mia lingua. Ci vollero alcuni secondi prima che si riprendesse. “Grazie Ale" sussurrò verso di me, ed aggiunse a voce più alta: "...per quel che riguarda Serena, l’ho ovviamente perdonata".

Ormai avevamo completamente dimenticato la cena, ma mi ricordai invece di avere con me degli oggetti che potevano essere utili. Li avevo presi vedendoli nella vetrina di un negozio di articoli per ufficio, passandoci davanti in pausa pranzo. Assomigliavano molto a quei mollettoni neri, triangolari, con le leve per l’apertura che ruotano. Ma, diversamente da quelli classici, avevano il bordo seghettato. Li avevo comprati semplicemente per curiosità affascinato dalla loro forma insolita. Giocandoci un pò in ufficio però mi ero reso presto conto delle loro potenzialità e dei loro possibili usi alternativi. Erano abbastanza dolorosi, le punte benchè piccole erano decisamente acuminate e, se venivano tirate, graffiavano la pelle.

Andrea era visibilmente eccitato e gli proposi di provare ad usarli. Non appena glieli mostrai, il padrone di casa entusiasticamente li volle utilizzare. Fece alzare Serena e la invitò dolcemente al centro della stanza. Le strinse il capezzolo sinistro tra due dita e lo tirò verso l’esterno. La sua piccola bambola, con gli occhi chiusi, fremeva mordendosi le labbra. Il coccodrillo di plastica e acciaio si chiuse sull’areola creando una serie di micro insenature. Gli occhi di Andrea si illuminarono come quelli di un artista che compone  la sua opera. “Secondo voi, se tiro, le faccio molto male?” disse ironicamente senza staccare gli occhi dalla sua donna che gemeva ad ogni tocco. “Non lo so. Ho solo il dubbio che si sfilino. Premiamolo bene...” aggiunsi alzandomi. Non attesi la risposta, iniziai a premere, fino a che una goccia di liquido rosso non bagnò quell’improbabile gioiello. Sangue. Nulla di più eccitante.

La poderosa erezione che avevamo tutti e due non lasciava alcun dubbio, ma Elena sussurrò qualcosa al mio orecchio e mi fu subito chiaro che probabilmente la più eccitata era lei. “Andrea, Ele vorrebbe che tu le lasciassi Serena solo per un istante”. Elena strinse tra le dita il capezzolo libero e vi attaccò il secondo mollettone. Premeva come se la smorfia di dolore e le urla soffocate dell’amica fossero una cosa che non la riguardasse. Prese i seni tra le mani e li strizzò. Un gemito roco. Due grosse gocce di liquido color rubino le sporcarono i polpastrelli. Gettò indietro la testa e, con un gesto plateale, si infilò lentamente le dita in bocca succhiando con voluttà la linfa vitale di Serena.

Conoscevo bene Elena, e sapevo che in quel momento avrebbe potuto raggiungere l’apice del piacere anche solo così. Ero terribilmente eccitato, la volevo e desideravo per me quell'orgasmo. Mentre era in piedi che leccava e baciava lentamente i capezzoli di Serena le abbassai i pantaloni e la presi da dietro senza alcuna fatica. Era talmente bagnata che un rigagnolo le scendeva all’interno delle cosce. Andrea fece altrettanto con la sua donna. Le due amiche si trovarono una di fronte all’altra, finalmente riempite dai loro compagni. Si abbracciarono, anche per aiutarsi a tenere l'equilibrio ed iniziarono a baciarsi. Si strinsero una contro l'altra gemendo mentre io ed Andrea aumentavamo il ritmo, incalzando come per cercare di entrare ancora di più dentro di loro, come se fosse possibile prenderle entrambe.

Respiro all’unisono, tremori intensi, voci roche, strette forti, urla soffocate. L’orgasmo giunse quasi simultaneamente. Un attimo di estasi. Qualche secondo di buio e le prese diventano abbracci, i tremori lentamente si placano ed il ritmo del respiro si va normalizzando.

Ci rivestiamo. Una stretta di mano ad Andrea, un bacio a Serena. Un appunto mentale: mandarle dei fiori in ufficio l’indomani con un piccolo biglietto "Ottima cena".

 
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