TERREMOTO E STRESS POST-TRAUMA

Post n°54 pubblicato il 07 Aprile 2009 da iltuopsicologo1964
 

Roma, 6 apr. - (Adnkronos/Adnkronos Salute) - Dopo aver visto la propria casa crollare e avere rischiato la vita, la popolazione de L'Aquila e dei paesi vicini sopravvissuta al terremoto dovra' fare i conti con pesanti ripercussioni psicologiche. "Sulla base di quanto accaduto in precedenti sismi, possiamo stimare che il 7-14% della popolazione interessata rischia di essere colpita dal disturbo post-traumatico da stress". Lo assicura all'ADNKRONOS SALUTE Girolamo Baldassarre, responsabile del Gruppo di lavoro in psicologia dell'emergenza del Consiglio nazionale dell'Ordine degli psicologi, che in questi anni si e' occupato di numerosi altri eventi simili nel Centro-Sud del Paese, e segue da vicino la situazione in Abruzzo.

"L'esposizione diretta a un evento che ha minacciato la propria vita - spiega Baldassarre - rischia di lasciare il segno. Si va da un generale disorientamento ad attacchi d'asia, fino al disturbo post-traumatico da stress". Un problema caratterizzato da tre tipi di sintomi: Difficolta' a dormire, incubi, immagini e pensieri drammatici di tipo 'intrusivo' "che si insinuano nella mente quando meno ce lo aspettiamo, anche nei sogni - aggiunge - provocando improvvisi risvegli"; L'attuazione anche involontaria di dinamiche di evitamento: "Cerchiamo di evitare a ogni costo luoghi o eventi che ci ricordino il trauma", dice lo specialista; Infine, irritabilita' e difficolta' a rispettare il ritmo sonno-veglia

articolo completo al segeunte indirizzo: http://www.libero-news.it/adnkronos/view/94657

per approfondimenti: http://www.iltuopsicologo.it/trauma_disturbo_post_traumatico_da_stress.htm

 

 
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OTTIMISMO COME ELISIR DI LUNGA VITA

Post n°53 pubblicato il 09 Marzo 2009 da iltuopsicologo1964
 

Secondo una ricerca statunitense l'ottimismo aiuterebbe a vivere a lungo e in maniera salutare. Lo studio, compiuto su 100.000 donne e presentato in occasione dell'ultimo congresso annuale dell'American Psycosomatic Society, ha rivelato uno stretto legame tra uno stato d'animo brillante e propositivo e il rischio di ammalarsi di tumori, malattie cardiache o morire prematuramente.

Qualcosa di simile era già stato studiato e messo nero su bianco da Enrico Finzi, sociologo, giornalista e presidente di Astra Ricerche, che nel libro "Come siamo felici" ha illustrato l'arte di godersi la vita di cui sono maestri gli italiani, popolo che secondo le statistiche più recenti ha una aspettativa di vita mediamente più lunga di altri. Il merito non andrebbe solo alla dieta mediterranea e al clima ma alla capacità di affrontare il quotidiano con lo spirito giusto, senza far troppi drammi di fronte alle difficoltà.

Quella che sembrava una peculiarità nostrana sarebbe dunque una regola universale, almeno secondo gli studiosi dell'università di Pittsburgh, in Pennsylvania. La loro ricerca è cominciata nel 1994, prendendo in esame un ampio numero di persone e studiandone la personalità. Dopo otto anni, prendendo in esame gli individui che nel frattempo erano passati a miglior vita, gli scienziati americani si sono accorti che la percentuali dei decessi era del 23% più alta tra coloro che tendenzialmente in vita non avevano dimostrato un'indole particolarmente ottimista e viceversa, tra le persone positive, si era riscontrato un 30% in meno di morti.
La ricerca ha preso spunto da indagini precedenti, che già avevano collegato l'indole alla durata della vita. Studiosi olandesi ad esempio avevano osservato come gli uomini e le donne più positivi avessero tassi più bassi di morte per malattie cardiovascolari. In particolare, mettendo a confronto due gruppi di persone con diverse personalità, il rischio di attacco di cuore e ictus era risultato del 77% meno probabile tra gli ottimisti, senza tener conto di età, peso, vizio del fumo e presenza di malattie cardiovascolari o croniche.

Ci sono poi dei sondaggi da cui risulta che, a parità di fattori, le persone ottimiste arrivano a vivere sino a dodici anni più dei pessimisti. Toshihiko Maruta della Mayo Clinic Area Rochester nel Minnesota ha ottenuto questi dati seguendo un campione di 900 soggetti per oltre 40 anni e riscontrando che, per ogni anno della ricerca effettuata, i pessimisti andavano incontro a un rischio di morte del 19 per cento superiore alla media.

Hilary Tindle, autrice dello studio condotto dall'università di Pittsburgh, spiega che per quanto possa essere azzardato affermare l'esistenza di un legame tra ottimismo e trend di vita salubre, è comunque vero che pensare positivo influisce in modo diretto su manifestazioni fisiche come lo stress.

Tra le ipotesi avanzate dagli studiosi per spiegare il rapporto di causa-effetto c'è quella secondo cui le persone ottimiste reagiscono fisicamente meglio alla stanchezza mentale, seguono più attentamente i consigli dei medici, e di conseguenza godono di una salute migliore. "Le donne ottimiste, ad esempio - ha spiegato la Tindle - adottano uno stile di vita più salutare. E' meno probabile che fumino, sono di solito più attive e hanno quasi sempre un indice di massa corporea più basso. Questi sono tutti fattori di rischio che certamente determinano lunghezza di vita e salute".

articolo completo al seguente indirizzo:
http://www.repubblica.it/2009/03/sezioni/scienze/ottimismo-salute/ottimismo-salute/ottimismo-salute.html

leggi anche: http://www.iltuopsicologo.it/Assertivit%C3%A0.asp

 
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PSICANALISI VIA INTERNET

Post n°52 pubblicato il 09 Marzo 2009 da iltuopsicologo1964
 

Suscita pareri opposti tra analisti, pazienti o semplici commentatori, la nuova tendenza che si sta diffondendo in Argentina: quella di ricorrere alla psicanali attraverso Internet. Perciò, via i lettini e largo alle webcam negli studi degli specialisti.

La nuova tecnica non impone cambiamenti così radicali, rileva la stampa di Buenos Aires, e non si sostituisce al rapporto diretto. Ma si può praticare usando anche le videochiamate su Internet, in grado di offrire una buona interazione tra medico e paziente o semplicemente attraverso le email, tramite le quali lo psicologo informa il paziente sulle attività terapeutiche da svolgere e dà consigli.

Sara Zusman, uno degli psicoanalisti che già da tempo lavora via Web, ha spiegato di ricorrere a Internet solo in casi di pazienti che hanno già frequentato il suo "divano" e di cui ha già fatto conoscenza.

Quando, per esempio, i pazienti che si trasferiscono all’estero e chiedono di mantenere lo stesso analista, la soluzione telematica viene incontro alle loro esigenze.

Ma il giudizio generale della dottoressa è prudente: «Nella terapia presenziale si nota lo sguardo, il modo di salutare, l’abbigliamento, l’attitudine corporale ed i gesti. Tutti fatti importanti, per questo il web non è consigliabile se paziente e terapeuta non si conoscono già».

articolo completo al seguente indirizzo: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/tecnologia/grubrica.asp?ID_blog=30&ID_articolo=5850&ID_sezione=38&sezione=News

leggi anche http://www.iltuopsicologo.it/Test_psicologici.asp

 
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FILM D'AMORE: NOCIVI ALL'AMORE

Post n°51 pubblicato il 18 Dicembre 2008 da iltuopsicologo1964
 
Foto di iltuopsicologo1964

"NEI film d'amore lui la rincorre, sale i gradini di una scala antincendio con una rosa in bocca e, sfidando vertigini e pregiudizi, le chiede di sposarlo. E anche quando non ha l'intraprendenza di Richard Gere, il protagonista delle commedie romantiche non riesce comunque a dimenticare la sua lei e vaga sconsolato per le strade di Notting Hill. Secondo gli psicologi specialisti in relazioni familiari dell'Università Heriot Watt di Edimburgo tutto questo fa male all'amore: le commedie romantiche danno una visione edulcorata della realtà e di conseguenza poco sana per la vita di coppia. Una conclusione che farà felice lo psicoterapeuta statunitense Gary Salomon, il primo nel 1997 a parlare di cineterapia, secondo il quale i film hanno un effetto preciso sui nostri equilibri mentali.

Lo studio scozzese è partito da un esperimento pratico che ha coinvolto 100 volontari, ad alcuni facendo guardare commedie come Serendipity e ad altri film di David Linch. I primi, dopo aver seguito le "magiche casualità" che legano i destini di Kate Beckinsale e John Cusack, erano più propensi a credere all'amore predestinato, e comunque al di là del film avevano una concezione più "fiabesca" dell'amore. I fan di "Love actually", "Se scappi ti sposo", "C'è posta per te" e "Ghost" credono insomma che il prototipo dell'amore sia quello presentato da queste commedie, dove generalmente i due si innamorano, si rincorrono e alla fine, aiutati da un destino benevolo, vanno a convivere felici e contenti.


"Si tratta del primo studio sistematico su questo argomento - spiega lo psicologo Roberto Cavaliere, Presidente della Asipdar (Associazione Studio e Intervento Problematiche e Dipendenze Affettive e Relazionali) - e, per quanto riguarda gli effetti sul processo relazionale, sono assolutamente d'accordo con i risultati della ricerca. Certe commedie, così come certi libri, non aiutano a capire che la relazione di coppia è qualcosa che va progettata nel tempo, attraverso mille difficoltà. Diciamo però che questi film fanno male a chi ha già di per sé una visione patologica dell'amore. Si tratta insomma di un qualcosa che accentua un problema di fondo già esistente".

(17 dicembre 2008)

fonte: http://www.repubblica.it/2008/12/sezioni/spettacoli_e_cultura/film-romantici-no/film-romantici-no/film-romantici-no.html

approfondimenti: www.maldamore.it

 
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PSICOLOGIA DEL GOSSIP E DEL PETTEGOLEZZO

Post n°50 pubblicato il 17 Dicembre 2008 da iltuopsicologo1964
 

Pettegole sono le lingue dalla notte dei tempi, che si sparli dei compagni della tribù o si chiacchieri sulla star del momento: il «gossip» è parte di noi e, forse, è uno dei motori che hanno hanno fatto evolvere il cervello.

Se i maschi hanno sempre potuto contare sui muscoli, le femmine hanno risposto con i primi gruppi sociali, basati sulla cooperazione e, soprattutto, su forme di comunicazione molto intense. Il linguaggio - sostiene Nicole Hess della University of California at Santa Barbara - è nato come forma di difesa intelligente contro la forza bruta, come il gossip, appunto: è stata l’arma per creare o distruggere lo status degli individui, forgiando forme di potere continuamente variabili.

L’oggetto preferito del gossip sono i coetanei dello stesso sesso, come dimostrano gli studi dell’antropologo Jerome Barkow della Dalhousie University in Canada. L’ha spiegato sul «Journal of Applied Social Psychology»: dopo aver fornito a un campione di individui notizie su una serie di persone a loro sconosciute, ha fatto una serie di domande-trabocchetto. È emerso che adoriamo spettegolare su individui simili a noi e che gli argomenti preferiti sono quelli più utili alla nostra ascesa sociale.

In realtà, però, non è solo una questione di debolezza o mediocrità. Secondo l’analisi presentata su «Personal Relationships» da Jennifer Bosson dell’Università di Tampa, Florida, malignare aiuta a stringere rapporti con gli sconosciuti e rinsalda quelli con gli amici. L’ha scoperto mostrando a un gruppo di persone molto eterogenee alcuni video di conversazioni a due: gli estranei solidarizzano più facilmente quando si tratta di dare un giudizio negativo sui protagonisti dei film. Ed ecco che, così, si torna all’alba del genere umano: il gossip - sostiene Roy Baumeister del dipartimento di psicologia della Florida State University - aiuta a tracciare i confini tra chi fa parte di un clan e gli «outsiders» e a comprendere le regole di convivenza.

Se molte teorie confermano che il pettegolezzo è donna, in realtà - aggiunge Di Giannantonio - l’evoluzione ha condotto a un «pareggio». Lei e lui lo praticano in uguale misura, sebbene su argomenti diversi: le donne si concentrano su sesso, corpo e abbigliamento, gli uomini prediligono denaro e lavoro. Di certo, a scatenare l’attenzione nel villaggio globale del XXI secolo sono sempre più le celebrità, da quelle televisive di piccolo calibro, fino ai divi veri, da Hollywood al business e ai super-ricchi. Uno studio di Eta Meta Research, realizzato da psicologi e psicopedagogisti, rivela che tv e new media non possono farne meno: ogni 11 minuti va in onda un pettegolezzo, ogni 15 un presunto «scoop» amoroso, ogni 23 uno «scandalo» su un personaggio pubblico.

I famosi, così, fanno scattare un meccanismo complesso: se ne parla tanto per un profondo desiderio di identificarsi in loro e, dato che il sogno è destinato a restare irrealizzabile, si finisce per parlarne male. Osservando un gruppo di adolescenti, Charlotte De Backer dell’Università di Leicester, Gran Bretagna, ha dimostrato che per i più giovani il gossip è una «fabbrica» di modelli di riferimento, dal linguaggio al modo di vestirsi, e diventa un modello di apprendimento. Il pettegolezzo, quindi, non solo è un’arma, ma è potentissima: spesso ha più presa della realtà dei fatti. Lo dimostra un test sulla rivista «Pnas» di Ralf Sommerfeld del Max Planck Institute di Plon, in Germania. Messe in condizione di formarsi una propria opinione su un certo individuo, le sue «cavie» hanno dimostrato di credere più volentieri alle maldicenze che ai loro stessi occhi. Se così è, il gossip dovrebbe farci anche spaventarci. E invece no. Tra «Facebook», «YouTube», reality show e carta stampata, non sembriamo avere paura di metterci in mostra e rischiare di trasformarci nell’oggetto della chiacchiera universale. Perduti i valori condivisi, stiamo regredendo alla condizione primitiva: le società impersonali e ier-tecnologiche sembrano fatte apposta per il gossip. Come se vivessimo ancora ai bordi di una caverna.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/scienza/grubrica.asp?ID_blog=38&ID_articolo=1075&ID_sezione=243&sezione=

http://www.iltuopsicologo.it/Il_test_dei_tipi_dell'enneagramma.asp

 
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LA NOSTALGIA COME TERAPIA

Post n°49 pubblicato il 17 Dicembre 2008 da iltuopsicologo1964
 

PUO' riaffiorare mentre siamo felici, anzi, spesso è proprio stimolata da emozioni forti. La nostalgia torna a galla per ricordarci che abbiamo un passato. E che quello che abbiamo vissuto ha avuto senso per noi. Secondo il professor Constantine Sedikides, direttore del Centro di ricerca sull'identità personale dell'Università di Southampton, Regno Unito, non si tratta di una debolezza ma di una risorsa: "Le persone nostalgiche sono in realtà le più forti, perché capaci di rimettere insieme i pezzi del passato e fare della vita un percorso compatto".

Con i colleghi del dipartimento di Scienze e psicologia, lo scienziato ha analizzato gli effetti della nostalgia su un gruppo di volontari. Tutti hanno reagito positivamente agli stimoli, raggiungendo uno stato di serenità rispetto a molte brutte esperienze passate. "La nostalgia ha un effetto terapeutico sulla salute mentale - si legge nel report dello psicologo inglese - ed è fonte di positività, importante per affrontare i fantasmi di ieri e vivere con energia il presente".

La sensazione che si prova di fronte a una vecchia foto, a un tramonto o all'incontro con un ex compagno di scuola non occupa insomma lo spazio di un momento ma fa da ponte tra ciò che eravamo e ciò che siamo, regalandoci la sensazione che la nostra vita abbia avuto un percorso sensato, carico di esperienze ed emozioni, nel bene e nel male.

Studi simili sono stati condotti anche dalla Sun Yat-Sen University, in Cina. Questa ricerca ha dimostrato che le persone più sole sono anche le più nostalgiche e che proprio tale sentimento permette loro di combattere la sensazione di isolamento. Non tutti gli scienziati però concordano con questa interpretazione, Secondo i ricercatori della American Academy of Pediatrics, la nostalgia di casa non solo non ha affetti terapeutici ma rappresenta una malattia. Uno studio su bambini e adolescenti lontani dalla famiglia d'origine ha mostrato che la scarsa fiducia nella novità e l'incapacità di controllare le situazioni inaspettate possono portare i più piccoli ad "ammalarsi di nostalgia", con conseguenze per il loro equilibrio mentale.

Il termine nostalgia deriva dal graco "nostos" (ritorno) e àlgos (dolore) ed è entrato nel vocabolario europeo solo nel XVII secolo grazie al medico svizzero Johannes Hofer. Era alle prese con una patologia diffusa tra i connazionali, costretti dall'arruolamento come truppe mercenarie: "nostalgia" era la designazione dotta del "dolore per la lontananza da casa", stato che talvolta portava i soldati alla morte.

Da quel momento la parola è diventata sinonimo di disturbo psichico e solo grazie alle poesie di Baudelaire ha cominciato a essere interpretata sotto una luce diversa. Scriveva Antoine da Saint-Exupèry: "Se vuoi costruire una nave, non radunare uomini per raccogliere la legna e distribuire i compiti, ma insegna loro la nostalgia del mare ampio e infinito". Una spinta emozionale che, come confermano gli scienziati di oggi, nella giusta misura sa essere più efficace di tante medicine.

 
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SUPERARE LA PAURA DI VOLARE ?

Post n°48 pubblicato il 27 Novembre 2008 da iltuopsicologo1964
 

ROMA
L’aereo decolla e Sandro Bondi stringe gli occhi, si abbarbica al bracciolo come a un’ancora di salvataggio, il viso pallido, le mani sudate, l’inutile ripensamento dell’ultimo minuto. Oramai l’aereo è in fase di decollo, il dado è tratto: dopo 8 anni il ministro della cultura torna a volare. Direzione Mosca dove era in corso una bilaterale fra il governo italiano e quello russo per la firma di una serie di accordi. All’atterraggio non c’è solo il sollievo ma anche l’angoscia per il volo di ritorno (ieri sera). «Ce l’ho fatta, anche se solo a metà visto che ora devo affrontare il ritorno». Sorridono i colleghi di viaggio Roberto Maroni, Giulio Tremonti e Franco Frattini quando Bondi racconta questo atto eroico: «E’ andata abbastanza bene, certo come esordio non è stato un volo breve: oltre tre ore e mezzo. Per fortuna mi ha aiutato un medico specializzato in fobie che mi ha dato dei consigli». Ad aiutarlo anche le hostess: «Sono stati davvero tutti molto carini». Perché in effetti il corso fatto all’Alitalia, che si chiama incredibilmente «Voglia di volare», e destinato a chi questa voglia proprio non ce l’ha, non era andato troppo bene. Un osso duro come studente, Bondi, vittima nella sua vita di molti scherzi del destino per questa fobia. Da ragazzo al comando militare per gli obblighi di leva lo destinarono in Aeronautica: «Rimasi a terra tutto il tempo».

All’ultima spiaggia Alitalia dopo una serie di test, di colloqui con psicologi e con ingegneri che spiegano il funzionamento e la sicurezza dell’aereo, c’è chi ha pensato sadicamente di accelerare il percorso con una cura d’urto. E così Bondi è stato chiuso in un simulatore di volo, una cabina di pilotaggio, azionata a modalità turbolenza, quasi una tempesta a cui il ministro non ha resistito. Qualcuno ha insinuato a uno scherzo di hostess e piloti inferociti con il governo. Inutile assicurargli che la turbolenza non diminuisce la sicurezza. Concetto difficile da spiegare a chi otto anni fa ha deciso che la paura di volare era più forte di quella di vedere la famiglia a Boston e che per andarli a trovare preferiva di gran lunga attraversare l’Atlantico. Decisione presa dopo un volo con Berlusconi da Roma ad Arcore. «E me lo ricordo ancora». «Non è facile soffro di vertigini, ma devo farlo, altrimenti come posso continuare a fare il ministro senza viaggiare?».

A convincerlo al grande passo raccontano che sia stato il suo capogabinetto, Salvo Nastasi, che gli ha trovato un medico esperto nella paura di volare, lo ha convinto e praticamente accompagnato per mano all’aereo dell’Aereonautica che lo ha portato in Russia.
Da questo momento avremo finalmente un ministro con la valigia, in giro per festival culturali? Le cose vanno fatte con calma e così per i prossimi due viaggi programmati dal ministero in Brasile e in Messico, andranno solo i suoi collaboratori. Voglia di volare, ma fino a un certo punto.
approfondimento al seguente indirizzo: http://www.iltuopsicologo.it/Aerofobia.htm

 
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IL BORDELINE

Post n°47 pubblicato il 26 Novembre 2008 da iltuopsicologo1964
 

Instabile, autolesionista, impulsiva, con difficoltà a controllare i propri stati d'animo: è il ritratto della persona con disturbo di personalità borderline. Più o meno il 2% della popolazione soffre di questo disturbo, che provoca non pochi problemi al paziente e a chi gli sta vicino: difficoltà relazionali, esplosioni di rabbia, abuso di sostanze, guida spericolata, tentativi di suicidio o altri comportamenti potenzialmente rischiosi sono, infatti, quasi all'ordine del giorno. Offrire cura alla persona borderline è, inoltre, particolarmente difficile, perché l'emotività non controllata può influire pesantemente e repentinamente sulle scelte quotidiane del paziente, magari distruggendo nel giro di pochi minuti i progressi fatti in mesi di terapia. Secondo Greg Siegle, professore di psichiatria alla facoltà di medicina dell'Università di Pittsburgh (Pennsylvania), la conoscenza dei meccanismi neurobiologici responsabili dell'eccessiva impulsività dei pazienti borderline aiuta a comprendere il loro "punto di vista" sul mondo e a progettare un percorso terapeutico efficace.

Lo psicoterapeuta che ha in cura una persona borderline deve tenere presente che vicende e situazioni interpersonali, che apparentemente sembrano facilmente gestibili, possono gettare il suo paziente in una situazione di grave instabilità emotiva e far precipitare gravi atti autolesionistici. Secondo Joseph Lichtenberg, psicoanalista e direttore dell'Istituto di Psicoterapia Contemporanea e Psicoanalisi di Washington, è utile che il terapeuta si sforzi di immaginare come il paziente vede le cose: in molti casi ci si potrebbe accorgere che, dal suo punto di vista, il comportamento suicida o autolesionistico è l'unica via di fuga da una pena insopportabile. Comprendere la prospettiva del paziente aiuta chi gli sta intorno a proporgli soluzioni non astratte, ma che possono incontrare la sua sofferenza. (f. c.)

articolo completo al seguente indirizzo: http://www.repubblica.it/supplementi/salute/2008/11/20/psicologia/040pun60140.html

approfondimenti al seguente indirizzo: http://www.iltuopsicologo.it/

 
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LA SINDROME DI TRUMAN

Post n°46 pubblicato il 26 Novembre 2008 da iltuopsicologo1964
 

Nell'era delle intercettazioni telefoniche, dei controlli biometrici, degli occhi indiscreti dei satelliti che tutto vedono, delle telecamere disseminate ovunque a catturare frammenti della vita di ognuno di noi, la nuova paura dell'uomo del 21esimo secolo è quella di essere spiato.

IL FENOMENO - Sono gli psicologi statunitensi a dirlo, riferendo che è sempre maggiore il numero di casi di persone convinte che la propria vita sia filmata, minuto per minuto, o che ogni cosa succeda nella loro esistenza sia parte di un copione che tutti stanno recitando tranne loro, attori inconsapevoli, come parte di un grande reality show. Un po' come accade a Jim Carrey nei panni di Truman Burbank, nel celebre film The Truman Show, che vive per anni (senza rendersene conto) all'interno di un mondo fittizio, circondato da attori, come parte di un colossale reality: la vita altro non è che una sceneggiatura scritta da chi, in sala regia, muove i fili della sua esistenza.

LA SINDROME – E non è un caso, infatti, che la moderna fissazione sia stata battezzata «Sindrome Truman» dagli specialisti, che in questa nuova forma di disordine riconoscono l'enorme influenza che la cultura pop può avere sulla psiche dell'uomo. E il dubbio che non si tratti di una semplice paranoia come tante altre, ma di una psicosi vera e propria – data dalla realtà in cui viviamo e dagli schemi in cui ci troviamo incasellati, nostro malgrado – è, secondo gli specialisti, più che legittimo. «La questione è la seguente – ha commentato Joel Gold, psichiatra del Bellevue Hospital di New York – Si tratta di un nuovo sviluppo di una vecchia forma di paranoia o di mania di grandezza… oppure invece ci troviamo di fronte a una tempesta perfetta della cultura in cui viviamo, dove la fama ha un'importanza così grande?».

Alessandra Carboni
25 novembre 2008

articolo completo al seguente indirizzo: http://www.corriere.it/salute/08_novembre_25/sindrome_truman_show_a802e34c-badb-11dd-9d74-00144f02aabc.shtml

approfondimento al seguente indirizzo: http://www.iltuopsicologo.it/Il_caso_del_piccolo_Hans.htm

 
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SACERDOZIO, OMOSESSUALITA' E PSICOLOGO

Post n°45 pubblicato il 24 Novembre 2008 da iltuopsicologo1964
 

Citta' del Vaticano, 30 ott. (Adnkronos) - No all'ingresso nei seminari degli omosessuali, si' al rispetto del celibato, attenzione all'aspetto psicologico dei futuri sacerdoti spesso messi in crisi da una societa' consumistica, da relativismo morale e instabilita' affettiva. Non contiene sostanziali novita' rispetto al magistero tradizionale della Chiesa il documento presentato oggi in Vaticano dal titolo ''Orientamenti per l'utilizzo delle competenze psicologiche nell'ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio'', redatto dalla Congregazione per l'Educazione Cattolica guidata dal cardinale Zenon Gorchelewski. Il testo di fatto riprende gli orientamenti gia' affermati in altro testo pubblicato nel 2005 e cerca di precisare alcuni punti. In ogni caso il sacerdozio rimane precluso alle persone con ''tendenze omosessuali fortemente radicate''. Fra gli aspetti che hanno trovato un approfondimento c'e' quello relativo al sostengo psicologico dei seminaristi, insomma la Chiesa accetta l'aiuto e il sostegno di Freud per gestire i problemi di solitudine e le carenze affettive dei sacerdoti: ''Il cammino formativo dovra' essere interrotto nel caso in cui il candidato - afferma il documento - nonostante il suo impegno, il sostegno dello psicologo o la psicoterapia, continuasse a manifestare incapacita' ad affrontare realisticamente, sia pure con la gradualita' di ogni crescita umana, le proprie gravi immaturita' (forti dipendenze affettive, notevole mancanza di liberta' nelle relazioni, eccessiva rigidita' di carattere, mancanza di lealta', identita' sessuale incerta, tendenze omosessuali fortemente radicate, ecc)''. ''Lo stesso deve valere - si spiega ancora - anche nel caso in cui risultasse evidente la difficolta' a vivere nel celibato, vissuto come un obbligo cosi' pesante da compromettere l'equilibrio affettivo e relazionale''.
articolo completo al seguente indirizzo:
approfondimenti al seguente indirizzo:

 
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LE ORIGINI DEL LINGUAGGIO

Post n°44 pubblicato il 24 Novembre 2008 da iltuopsicologo1964
 

Imbottigliati nel traffico dell'ora di punta è facile assistere a una scena del tutto ordinaria ma che non cessa di provocare un momento di genuina perplessità. Possiamo imbatterci, per esempio, in una ragazza che gesticola in modo convulso, anche se nessuno le siede accanto. Il tempo di mettere a fuoco la scena e il mistero si dissolve: l'auricolare, nascosto tra i capelli, tradisce il carattere telefonico di una conversazione all'apparenza solitaria. A pensarci bene, però, anche ora questo comportamento non cessa di essere enigmatico: perché gesticolare quando il tuo interlocutore non può vederti? Un recente libro dello psicologo neozelandese Michael Corballis, titolato Dalla mano alla bocca. Le origini del linguaggio (Raffaele Cortina, 2008, 26 euro) cerca di rispondere all'interrogativo, riformulandolo in termini più generali: siamo sicuri di sapere quale sia il ruolo svolto dai gesti nella vita degli esseri umani? Il testo offre una ricostruzione del problema in chiave evoluzionistica: confronta le capacità linguistiche e gestuali degli umani con quelle di altre specie, soprattutto scimmie e ominidi (dagli Australopitechi fino ai nostri cugini più misteriosi, i Neanderthal). Corballis non si limita alla ricostruzione, chiara e aggiornata, dei dati oggi a disposizione circa le abilità comunicative degli scimpanzè e della morfologia dei nostri antenati. Piuttosto illustra il problema cercando di sostenere due tesi di fondo. La prima è di ordine generale e riguarda lo status del linguaggio verbale: le parole non servono semplicemente a etichettare le cose, come marcaprezzi al supermercato (idea, purtroppo, ancora molto in voga) ma a manipolare, costruire e distruggere realtà. In questo senso, più che di un terzo occhio il linguaggio sembra dotarci della manualità multiforme della dea Khalì: prima che a contemplare, le parole servono a esplorare e modificare quello che ci circonda. La seconda tesi prova ad andare più nel dettaglio, circostanziando la proposta per mezzo di un rovesciamento. Ritorniamo all'esempio col quale abbiamo cominciato.
Come un sintomo
La sorpresa di fronte al gesticolare della ragazza al telefono tradisce un assunto: il nostro comportamento verbale quotidiano tende a mettere in primo piano quel che diciamo a voce e a lasciare sullo sfondo, come mero commento emotivo ed enfatico, i gesti che accompagnano le nostre parole. Al contrario, secondo Corballis, alzare il pollice mentre diciamo «sì, va bene domani andiamo al mare» o indicare con la mano dove si trova il bar più vicino quando si fornisce un'informazione stradale sono comportamenti di primaria importanza perché hanno il carattere vestigiale ma decisivo del sintomo. Tradiscono un luogo di origine: è con le mani che gli umani (e alcune specie preumane) hanno cominciato a comunicare. Circa due milioni di anni fa, con l'aumento delle dimensioni cerebrali dell'Homo erectus, i nostri antenati avrebbero cominciato a sviluppare capacità linguistiche simili a quelle possedute ancora oggi da alcuni primati allevati in cattività: gesti formati da due o tre movimenti-parola legati tra loro da una sintassi molto elementare ma in grado di distinguere il senso di una frase secondo l'ordine degli elementi che la compongono (è questo a fare la differenza, tanto per fare un esempio, tra l'enunciato «alla Diaz i poliziotti hanno torturato i manifestanti» e l'enunciato «alla Diaz i manifestanti hanno torturato i poliziotti»). Circa 170.000 anni fa, con la comparsa dei primi Homo sapiens, gli umani avrebbero cominciato a sviluppare vere e proprie lingue gestuali, simili alle lingue dei segni impiegate oggi da molte persone sorde. Il passaggio all'oralità sarebbe avvenuto solo più tardi. Si tratta di una ipotesi descritta nel dettaglio: è proprio questo a costituire il maggior punto di forza ma anche, paradossalmente, di debolezza del libro. Corballis propone due serie di argomentazioni. La prima si basa su alcuni dati empirici: le vocalizzazioni degli scimpanzè sono molto più stereotipate dei loro gesti manuali che manifestano, invece, maggiore variabilità di gruppo (in alcuni casi vere e proprie variazioni culturali) e un carattere più marcatamente sociale. Mentre la laringe degli scimpanzè è strutturata in modo tale che per i nostri cugini è fisiologicamente impossibile scandire consonanti e vocali, i loro arti superiori sarebbero molto simili a braccia e mani umane. Dopo secoli di discriminazioni, infine, le lingue dei segni sono state riconosciute come delle lingue a tutti gli effetti e non un semplice scimmiottamento della parola orale. Morale della favola, i gesti esibiscono la complessità necessaria per fare da ponte tra il protolinguaggio degli ominidi e le lingue attuali.
Un interrogativo aperto
Il secondo ordine di argomentazioni si concentra su una stranezza della nostra storia evolutiva che può essere riassunta nell'interrogativo: perché le prime raffigurazioni rupestri, gli utensili tecnologicamente più sofisticati e le migrazioni massicce dall'Africa verso il resto del pianeta sono eventi che si sono realizzati approssimativamente 50.000 anni fa, visto che l'Homo sapiens è comparso sulla Terra molto tempo prima? A tal proposito, la risposta di Corballis è netta: questa estenuante attesa, lunga 120.000 anni, sarebbe servita per passare dalle lingue segnate a quelle orali. Fino a quel momento la comunicazione manuale avrebbe inibito le capacità tecniche umane.
Nella prima parte della loro storia, i sapiens avrebbero impiegato le mani più per parlare che per costruire. Solo l'oralità le avrebbe liberate da un pesante fardello, il carico comunicativo di una specie culturalmente sempre più sofisticata. L'ipotesi di Corballis è suggestiva perché può contribuire all'elaborazione di una teoria della natura umana materialista che prenda le mosse dalla frase del Faust di Goethe «in principio era l'azione»: una teoria capace di comprendere meglio il rapporto tra dimensione percettiva (tattile innanzitutto) e pratica, oltre che politica e linguistica, dell'animale umano. Da questo punto di vista, in futuro potrebbe essere fruttuoso discutere e riflettere su alcune delle difficoltà teoriche dalle quali il libro stenta a sottrarsi. Sono però proprio queste difficoltà a fornirci il materiale più prezioso: possono contribuire alla redazione di una agenda di ricerca che non si sottragga al compito di entrare, volta per volta, nel merito delle singole questioni senza accontentarsi né di slogan, né di proclami. Parte dei dati empirici a cui il testo fa riferimento, per fare solo un esempio, è controversa: a uno sguardo più attento la morfologia e la funzionalità delle mani umane presentano somiglianze solo superficiali con il loro analogo scimmiesco, molto più resistente ma meno versatile da un punto di vista sensomotorio.
Una misteriosa latenza
articolo completo al seguente indirizzo:
per approfondire

 
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IL FENOMENO FACEBOOK

Post n°43 pubblicato il 04 Novembre 2008 da iltuopsicologo1964
 

Un noto slogan di qualche tempo fa – «Time is what you make of it» (Il tempo è rappresentato da ciò che ne si fa) – si adatta molto bene alla realtà di Facebook, il social network di cui gli italiani sembrano oggi essersi innamorati. In poco più di sette settimane gli iscritti sono triplicati e si avviano in queste ore a superare i due milioni, con circa 35mila nuove registrazioni al giorno. Numeri non ancora straordinari, se paragonati con altre community già consolidate come Virgilio, Libero o MySpace, ma indicativi di un nuovo modo di vivere internet, da protagonisti.

Considerando le fasce d'età rappresentate, con una lieve predominanza giovanile in via di dissolvimento, e il profilo professionale, Facebook è quanto di più trasversale visto finora. Con un ritardo imputabile alla non conoscenza delle lingue straniere – Facebook italiano è arrivato solo la primavera scorsa – e alla scarsa dimestichezza con le tecnologie, gli italiani sono risaliti così al decimo posto nella classifica globale dei Paesi più attivi, molto lontani però dai cugini francesi, già oltre i quattro milioni.

La novità sostanziale del fenomeno è l'arrivo sulle piattaforme di social networking di centinaia di migliaia di persone, mai iscritte prima a simili servizi, in larga parte a digiuno di blog e Web 2.0. Un passaparola intergenerazionale che ha innescato un circolo virtuoso, stuzzicando l'interesse dei media, già colpiti dai numeri di Facebook – globalmente il network ha oltre 110 milioni di membri.


Grazie a un restyling lanciato negli ultimi mesi, con una interfaccia immediata, ancor più semplice da usare, Facebook è l'ambiente ideale in cui chiunque può riallacciare contatti lontani nel tempo – non è così insolito essere tirati dentro da compagni di scuola o dell'università – e replicare la propria rete sociale, con cui si passano fine settimana e tempo libero. Niente a che vedere con i mondi virtuali e l'isolamento sociale – presunto – di cui internet sarebbe responsabile: per trarne i maggiori benefici, Facebook invita gli utenti a iscriversi con il proprio vero nome, riducendo l'anonimato e i suoi effetti a percentuali irrilevanti.


Il confine tra pubblico e privato diventa labile e, senza un uso consapevole, l'effetto può essere dirompente. Alcuni utenti più evoluti hanno cominciato a dichiarare proprie regole per l'accettazione di nuovi amici. Simone Tornabene ne individua due categorie: i conservatori, attenti a replicare la propria rete online senza ulteriori aggiunte, e i progressisti, aperti a nuovi contatti in un'ottica di integrazione tra mondo online e offline. La diffusione di informazioni strettamente personali o la pubblicazione di immagini compromettenti, senza un settaggio adeguato dei livelli di privacy, può raggiungere chi meno te l'aspetti: efficace in tal senso la recente decisione dei Garanti della privacy europei di chiedere ai gestori di rendere invisibili i profili ai motori di ricerca, salvo diversa decisione degli utenti.

Superata la fase iniziale di entusiasmo prende forma una seconda fase di assestamento, se non in alcuni casi di rigetto dello strumento, a causa degli eccessivi solleciti ai quali l'utente è sottoposto e in altri casi alla dispersione di tempo che la gestione dei contatti può provocare. L'amicizia diventa inoltre una relazione dal valore mutabile: alcuni aggiungono al proprio network solo chi hanno già conosciuto personalmente, altri si aprono a qualsiasi opportunità di nuova conoscenza, senza porsi alcun problema di riservatezza. Quale l'approccio più corretto? Probabilmente la risposta cambia con il variare dell'uso dello strumento: chi lo prende seriamente, pubblicando dati sensibili, accetterà solo legami forti, a differenza di chi vuole esplorare nuovi territori, barattando informazioni personali in cambio di opportunità imprevedibili. Ciò che è più importante è mantenere il controllo di ciò che si pubblica, senza pentirsi quando è già troppo tardi. Che persino Facebook sia destinato a un rapido tramonto, terminata la crescita esponenziale, pronto a lasciare il passo alla prossima moda? L'importante, per ora, è che se ne continui a parlare. Domani, è un altro giorno.

articolo completo al seguente indirizzo: http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tecnologia%20e%20Business/2008/10/facebook.shtml?uuid=4e4871da-a0d9-11dd-ad48-94241c027df8&DocRulesView=Libero

leggi anche: http://www.iltuopsicologo.it/dipendenza_da_internet.asp

 
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SESSO E SONNO

Post n°42 pubblicato il 04 Novembre 2008 da iltuopsicologo1964
 

ROMA - Fare sesso fa bene alla salute. Ormai la scienza ha certificato quello che il buon senso popolare ha sempre saputo. Così come ora ha sottoscritto un altro luogo comune: una buona dose di sesso prima di addormentarsi regala sogni d'oro e notti tranquille. Altro che camomilla e tranquillanti, secondo gli esperti tedeschi di medicina del sonno della German Sleep Society (Dgsm), riuniti a Kassel, in Germania, per la loro convention annuale, fare all'amore è l'unica attività che impegna il fisico ma che al contempo lo distende e aiuta a scivolare senza problemi fra le braccia di Morfeo.

Gli specialisti a congresso confermano le virtù benefiche di un sonno sano sulla salute dell'intero organismo, e bacchettano senza mezzi termini i 'forzati della veglia': dormire poco non è certo un vanto, avvertono i medici. Per assicurarsi notti ristoratrici, gli esperti della Dgsm promuovono stili di vita positivi, come dieta sana ed esercizio fisico costante. Ma attenzione: niente attività sportive serali: "Determinano il rilascio di ormoni stimolanti", spiegano gli esperti, che mantengono il corpo attivo e il cervello sveglio, complicando e ritardando l'addormentamento. Fa eccezione il sesso. Inoltre dormire bene previene molte malattie, ribadiscono gli specialisti, preoccupati per l'abitudine sempre più diffusa di 'risparmiare' sul sonno.

Complici i ritmi frenetici della vita moderna - ricordano - nel mondo industrializzato il tempo dedicato ai sogni si è ridotto progressivamente di un'ora e mezza. Tanto che un tedesco medio dorme oggi circa 7 ore. Anche se il fabbisogno di sonno è soggettivo e non esiste una formula ideale, ammettono gli specialisti.



Che siano le 8 ore 'prescritte' dalla saggezza popolare, oppure le 9 ore o forse più predicate da attrici e modelle che fanno della buonanotte una cura di bellezza, "ognuno ha bisogno di dormire - assicurano i medici della Dgsm - E non esiste alcuna prova che certe persone riescano ad 'allenare' il proprio organismo abituandolo nel tempo a farsi bastare il minino sonno indispensabile", precisano gli scienziati.

Se inizialmente si pensava che il sonno disturbato fosse causato da alcune condizioni patologiche, aggiungono, oggi il rapporto causa-effetto si è invertito ed è stato dimostrato che alcune malattie sono scatenate proprio dall'insonnia cronica. "Problemi cardiaci o cardiocircolatori", per esempio, "possono precipitare nei pazienti che dormono male per un lungo periodo".

E "più o meno un terzo dei pre-adolescenti e degli adolescenti, con punte ancore più alte in Giappone, sperimenta attacchi di sonno durante il giorno" dormendo male di notte. Per migliorare il sonno dei più piccoli, gli specialisti suggeriscono di limitare al massimo il 'consumo' di pc e tv, perché "basta un'ora al giorno davanti a computer e televisione per compromettere il riposo". Ma oltre alla quantità del tempo trascorso davanti a uno schermo, conta anche la qualità di ciò che si guarda: "Certi show o videogame possono provocare degli incubi", chiudono i medici evidentemente più favorevoli a ben altre visioni.

(3 novembre 2008)

articolo completo al seguente indirizzo: http://www.repubblica.it/2008/02/sezioni/scienza_e_tecnologia/sessualita/sesso-camomilla/sesso-camomilla.html

leggi anche http://www.iltuopsicologo.it/consulenze_sui_disturbi_sessuali.asp

 
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VIDEO-PSICOLOGO PER ASTRONAUTI

Post n°41 pubblicato il 04 Novembre 2008 da iltuopsicologo1964
 

NON AVRA' il calore di una persona che sta seduta davanti a te, ti guarda e ti ascolta, ma magari sarà più professionale. Lo psicoterapeuta virtuale verrà presto installato sulle astronavi che fluttuano in orbita grazie a un progetto della Nasa denominato Virtual Space Station. Costerà 1,74 milioni di dollari (circa 1,2 milioni di euro), soldi messi a disposizione dal National Space Biomedical Research Institute di Houston, e comincerà ad essere sperimentato il mese prossimo a Boston. Per 4 anni una trentina di volontari verranno seguiti attraverso un programma di simulazione di missioni spaziali e interagiranno con un un video-terapista (lo psicologo Mark Hegel della Dartmouth University) che li aiuterà, attraverso un percorso registrato, a identificare e affrontare i sintomi della depressione.

Provate infatti a immaginare cosa può significare vivere per mesi, a volte anche per anni, letteralmente isolati dal resto del mondo. Sulle navicelle spaziali, è noto, non c'è spazio per la mondanità o la privacy, per non parlare del fatto che il cibo è confezionato, il sole sorge e tramonta ogni 45 minuti e non sempre i colleghi vengono selezionati in base alla simpatia reciproca.

"Se le cose si mettono male, la tua sopravvivenza dipende da chi hai accanto", spiega Jay Bucker, ex astronauta dello shuttle Columbia e consulente per la Virtual Space Station, "La fiducia tra i componenti dell'equipaggio è fondamentale, ma per averla ci vogliono prima di tutto serenità e salute mentale".

Lo stress da eccesso di responsabilità e la mancanza degli affetti familiari aggiungono a un'esperienza materialmente difficile il peso della solitudine. I presupposti per la depressione ci sono tutti e molti precedenti lo confermano. Nel 1985 la missione spaziale russa sulla Salyut 7 venne in parte rovinata dallo sguardo perso del comandante, che a un certo punto smise di interessarsi al lavoro e cominciò a passare le giornate fissando gli oblò. Tre anni prima un'altra missione internazionale era stata bloccata a causa dei violenti litigi fra due colleghi: "Non capiamo cosa ci sta succedendo", scrisse in quei giorni Valentin Lebedev sul suo "Diario di un cosmonauta", "ce ne stiamo ognuno per conto nostro, senza parlarci, come se fossimo offesi. Dobbiamo trovare il modo di risolvere la situazione".



Spesso i problemi di relazione tra astronauti e i periodi di depressione vissuti dai membri dell'equipaggio vengono alla luce solo a missione è finita, anche perché comunicare un disagio per il quale non c'è rimedio significa mettere a rischio l'intera missione e la propria carriera. Questo sistema permetterà di rendere più rilassata la situazione a bordo delle navicelle e di intervenire in tempo in caso di necessità. La depressione può comportare non solo scompensi comportamentali ma fisici, problemi di insonnia, dimagrimento, concentrazione e agilità, tutte debolezze che per chi vive nello spazio possono essere fatali. Finora gli astronauti potevano contattare gli psicologi ma solo in certi momenti e tenendo conto di tutta una serie di variabili: missioni come quella su Marte ad esempio, a 250 milioni di miglia dalla Terra, permettono di mettersi in contatto con la base solo dopo un'attesa di 40 minuti.

Sulla Virtual Space Station invece la voce dello psicologo Hegel verrà registrata in video e sarà disponibile in qualunque momento attraverso un laptop personale che garantirà il massimo della privacy. E' la prima volta che i ricercatori fanno ricorso a una terapia di aiuto ad astronauti senza l'ausilio di una persona in carne ed ossa. "Credo che funzionerà - ha spiegato Hegel - si tratta di una terapia in gran parte basata sulla capacità di reazione individuali, e gli astronauti sono in genere persone molto forti".

(4 novembre 2008)

articolo completo al seguente indirizzo: http://www.repubblica.it/2008/11/sezioni/scienza_e_tecnologia/spazio-2/spazio-2/spazio-2.html?ref=hpspr1

leggi anche http://www.iltuopsicologo.it/Aerofobia.htm

 
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SINDROME DEL SENTIRSI PERSO

Post n°40 pubblicato il 04 Novembre 2008 da iltuopsicologo1964
 

Perdere la bussola nelle stanze della propria casa, nelle strade del quartiere in cui si vive, nei corridoi della scuola che si frequenta e dell`ufficio in cui si lavora. Sono i sintomi della “sindrome da disorientamento”, documentata e scoperta recentemente dalla University of British Columbia and Vancouver Coastal Health Research su pazienti che apparentemente non mostravano alcun danno cerebrale o deficit cognitivo. “Coloro che sono affetti da questa sindrome - spiega Giuseppe Iaria, che ha guidato lo studio –  non sono neanche in grado di compiere semplici compiti come percorrere la giusta strada per andare dal supermercato a casa propria, e questo può portare all`isolamento sociale”.

Orientarsi nello spazio – continua Iaria - richiede capacità cognitive complesse, che coinvolgono anche le parti del cervello adibite alla memoria, all`attenzione, alla percezione e al ragionamento necessario per prendere le decisioni. In più richiede anche l`uso di almeno due tipi diversi di memoria”. La memoria procedurale permette di percorrere le distanze e di compiere i movimenti abitudinari per muoversi da un luogo all`altro. Il funzionamento della memoria spaziale è invece più complesso. Quando ci spostiamo attraverso uno spazio, familiare o no, creiamo una rappresentazione mentale dell`ambiente, chiamata mappa cognitiva. È la capacità di “creare” e “leggere” questa mappa cognitiva che permette di spostarsi attraverso lo spazio senza smarrirsi.

Lo studio, pubblicato sul Journal of Neuropsychologia, ha combinato insieme i dati delle risonanze magnetiche con quelli provenienti da indagini comportamentali. Nei pazienti studiati i ricercatori non hanno individuato malformazioni o lesioni di parti del cervello chiamate in causa nell`orientamento che potessero produrre i deficit osservati. Grazie ai test comportamentali è emerso invece come le carenze topografiche osservate nei pazienti fossero dovute all`incapacità di creare la mappa cognitiva dello spazio. Capacità, come si è detto, fondamentale per orientarsi.

Data: 03-11-2008
articolo completo al seguente indirizzo:
http://salute24.ilsole24ore.com/salute/mentecorpo/872_La_casa_come_un_isola:e_la__sindromedel_sentirsi_perso___.php

leggi anche http://www.iltuopsicologo.it/pensieri%20_terapeutici.asp

 
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ARRIVA LO PSICOLOGO DI STRADA

Post n°39 pubblicato il 23 Ottobre 2008 da iltuopsicologo1964

Negli Usa arriva lo psicologo di strada. Dopo quello sul posto di lavoro e quello in ambito sportivo, ecco lo psicologo per i passanti. Negli States la chiamano street-therapy, terapia di strada. Lo “psicologo di strada” è un format televisivo che va in onda sul canale Fox e i suoi video sono visualizzabili anche sul sito web dell’emittente. Una serie che tra il popolo a stelle e strisce sta conoscendo un grande successo registrando record su record negli ascolti. In questo caso, protagonista è il dottor Keith, che gira per le strade con la telecamera accesa e intervista i passanti: c’è chi aspetta l’autobus, chi è in ritardo per recarsi al lavoro, chi si concede una pausa al parco e chi è intento in uno sfrenato shopping-tour. Uomini e donne, più o meno giovani, non si sottraggono tuttavia alle domande di Keith e svelano le loro ansie e debolezze, parlano dei rapporti con mogli, mariti e genitori, proprio come una vera seduta psicologica, ma questa volta “on the road”. Un successo che si unisce a quello della serie “I treatment” dove ogni puntata è dedicata alla storia di uno dei pazienti dello psicologo, l’attore Davud Byrne.

articolo completo al seguente indirizzo: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=69&ID_articolo=2528&ID_sezione=138&sezione=Anteprime%20dagli%20Usa

APPROFONDISCI http://www.iltuopsicologo.it/

 
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DIPENDENZA DA FACEBOOK

Post n°38 pubblicato il 23 Ottobre 2008 da iltuopsicologo1964
 

Si chiama "friendship addiction", è una sorta di ‘dipendenza da amici’ condivisi su Facebook. A individuare e coniare questa nuova patologia e' David Smallwood, psicologo britannico, esperto di dipendenze.

In un articolo pubblicato dal "Daily Mail", Smallwood afferma che il piu’ diffuso social network
alimenta l'insicurezza degli utenti, che non riescono a staccarsi dal sito.  Le donne sono particolarmente vulnerabili perche' la loro autostima deriva dai rapporti che instaurano con gli altri e Facebook, obbligando gli utenti ad 'acquisire' nuovi amici, accentua questa caratteristica.

"Il problema con Facebook e' che l'acquisizione di nuovi amici - ha detto lo psicologo - e' per quasi tutti un processo di assuefazione. L'acquisizione di amici e' come qualsiasi altra fissazione, solo piu' competitiva. Si viene giudicati da quanti amici online si hanno". Lo psicologo ha raccontato come pian piano un utente possa anche ammalarsi per colpa di Facebook. Secondo Smallwood, la ricerca ossessiva dell'amico rischia di aggravare la sensazione di essere respinti e potrebbe isolare ancora di piu' gli utenti.

60 milioni di utenti
Facebook ha quasi 60 milioni di utenti in Gran Bretagna, quesi la metà del totale, con due milioni di nuovi iscritti a settimana. Il social networking sta diventando un sostituto per le famiglie nei paesi dove, come in Gran Bretagna, i legami tradizionali sono diventati piu' deboli. Smallwood ha dichiarato che almeno il 10 per cento della popolazione britannica  e' vulnerabile alla dipendenza da nuovi amici.

articolo completo al seguente inidirizzo: http://www.rainews24.rai.it/notizia.asp?newsID=87426

approfondisci: http://www.maldamore.it/l_amore_nelle_chat.asp

 
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IL FENOMENO FACEBOOK

Post n°37 pubblicato il 23 Ottobre 2008 da iltuopsicologo1964
 

ROMA - Un clic e si diventa amici, si ritrovano ex compagni di scuola, oppure antiche fiamme. E sui comincia a condividere pezzi di vita, foto e video. Per senitrsi meno soli. E' la Facebookmania, una passione in rapido aumento anche in Italia: gli ultimi dati parlano di 1 milione 369 mila utenti italiani (su 132 milioni nel mondo), con un incremento di visitatori del 961% in un anno ( del +135% degli iscritti).

IL RADUNO ITALIANO - Se infatti il sito è nato richiamandosi - anche nel nome - agli album fotografici che le università americane pubblicano a inizio anno accademico per ritrovare amici perduti, oggi i nostalgici a caccia degli ex compagni di classe sono solo uno dei tanti profili dei facebook-maniaci: ci sono i «troppo soli», gli insoddisfatti, quelli con l'alter ego, quelli che lo fanno per farsi pubblicità, i cuori infranti e, naturalmente, i latin lover virtuali. A testimoniare la passione per questo colorato mondo online c'è anche un incontro organizzato per mercoledì 22 a Milano, alla discoteca Limelight, per riunire la Facebook community lombarda. Ma stando agli esperti, il crescente scambio di messaggi, foto e contatti possono essere anche la cartina di tornasole di un disagio sempre più diffuso. «L'enorme sviluppo di Facebook è anche spia di un grosso problema di solitudine - diagnostica la Vinciguerra , analizzando il fenomeno con l'Adnkronos salute - Abbiamo costruito la nostra vita su un'immagine capace, vincente, superorganizzata. Ma a 30-40 anni, che gli obiettivi che c'eravamo posti siano stati raggiunti o meno, si fa strada un senso di vuoto, perchè più che l'essere abbiamo curato l'apparire».

GLI IDENTIKIT DEI «FACEBOOKMANIACI» - Ecco, secondo gli esperti, l'identikit dei popolo di Internet contagiato dalla Facebookmania.

1) I nostalgici: Si emozionano alla vista delle foto dei compagni di classe delle medie o del liceo. Cercano gli amici del passato per vedere come sono invecchiati, e commentano i bei tempi andati. Una nostalgia per i vecchi tempi che, di fatto, è un rimpianto per i rapporti veri e perduti, per un'infanzia e un'adolescenza ormai lontana e mitizzata.

2) I latin lover virtuali : Dichiaratamente a caccia di nuovi potenziali partner, ma anche di ex piacenti e disponibili. Spesso celano una relazione (se l'hanno) e rimpinzano il proprio profilo e gli album con foto sexy o interessanti, a volte ritoccate. In genere accumulano decine e decine di amici dell'altro sesso, con i quali fanno i misteriosi. «Ma alla fine si tratta di persone sole o profondamente infelici con il partner, che ricorrono a cumuli di banalità narcisistiche per rendersi interessanti», spiega Cantelmi.

3) I cuori infranti: Prostrati dall'ultima relazione, in corso o finita, sono a caccia degli antichi amori, mitizzano i ricordi. Hanno l'impressione di essersi persi per strada qualcosa di vero. «In questo caso l'insoddisfazione e la solitudine vanno a braccetto - spiega la Vinciguerra - e si cerca di darsi un'altra chance» grazie alla rete.

4)Gli insoddisfatti: Infelici anche se hanno una famiglia e dei figli, spesso sono donne. Non trovano spazio per il sogno, il romanticismo e quel pizzico di avventura, che finiscono per cercare su Facebook.

5) Quelli della pubblicità: Sono più o meno famosi, politici, campioni dello sport, attori. Ricorrono a Facebook in modo strumentale, per farsi mega-spot gratuiti.

6) Quelli con l'ater ego: Dai 400 burloni che si sono presentati nei panni del calciatore Francesco Totti, ai tanti Giulio Cesare o Maria Antonietta, a quelli che pubblicano foto diverse o ritoccano la descrizione vantando titoli ed esperienze di fantasia. Soli e in cerca di contatti, si mettono una maschera per ottenere attenzioni e credibilità nel mondo virtuale.


22 ottobre 2008

Articolo completo al seguente indirizzo: http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/08_ottobre_22/facebook_mania_trentenni_profil_527ec8d2-a023-11dd-bdbb-00144f02aabc.shtml

 
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CYBERSESSO ED ANSIA E DEPRESSIONE

Post n°36 pubblicato il 26 Settembre 2008 da iltuopsicologo1964
 

SIDNEY
Le persone che frequentano i siti di sesso in internet soffrono in proporzioni «allarmanti» di depressione, ansia e stress, e tipicamente dedicano alla loro segreta attività diverse ore al giorno. Una ricerca australiana getta nuova luce sui tipi di persone dedite al cybersesso: sono in massima parte maschi, di alto livello educativo, e di ogni età fra 18 e 80 anni.

Secondo lo studio condotto dallo psicologo Marcus Squirrell della Swinburne University of Technology di Melbourne, essi trascorrono una media di poco più di 12 ore a settimana, per lo più facendo chatting, partecipando a sesso a distanza mediante webcam, scaricando video e immagini, o mandando email erotiche. Più del 65% dei 1325 uomini australiani e americani intervistati ha detto di aver incontrato qualcuno di persona, dopo averlo conosciuto online.

Secondo Squirrell lo studio, che egli presenterà domani ad un congresso di psicologi a Sydney, è il primo a dare un quadro completo dei navigatori del cybersesso. L’aspetto più preoccupante, spiega, è l’alto tasso di cattiva salute mentale nel campione esaminato. «Abbiamo trovato che il 27% soffre di depressione da moderata a grave secondo le scale standard. Il 39% ha alti livelli di ansia e il 35% soffre di stress da moderato a grave».

Più intensa è l’attività sessuale online, più alto il livello di depressione e di ansia. Un’ipotesi, secondo lo studioso, è che trascorrendo tanto tempo in internet, costoro non incontrano altre persone socialmente. «È anche possibile che lo facciano per cercate di risollevare l’umore o di ridurre lo stress», osserva Squirrell. I risultati sono significativi dal punto di vista clinico, , aggiunge ancora, perchè un numero crescente di uomini cerca aiuto psicologico per quel tipo di problemi, e conoscere la tipologia di chi usa quei siti consentirà di identificarli e di aiutarli meglio.

articolo completo al seguente indirizzo: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/tecnologia/grubrica.asp?ID_blog=30&ID_articolo=5164&ID_sezione=38&sezione=News

 
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LA SOLITUDINE ED IL FREDDO

Post n°35 pubblicato il 26 Settembre 2008 da iltuopsicologo1964
 

WASHINGTON
Una persona fredda, sia dal punto di vista sociale che fisico, è anche una persona sola. Quando infatti si vive in solitudine e in un ambiente poco accogliente la temperatura corporea si abbassa significativamente. A sostenerlo è stato un gruppo di ricercatori della Rotman School of Management dell’Università di Toronto in uno studio pubblicato sulla rivista Psychological Science.

La tesi sostenuta dai ricercatori è che esiste un legame molto stretto tra la percezione della temperatura e lo stato psicologico. Per dimostrare questa teoria i ricercatori hanno condotto due esperimenti.

In un primo è stato chiesto a due gruppi di volontari di ricordare un’esperienza di esclusione e di inclusione sociale e di provare a fare una stima della temperatura dell’ambiente in cui si trovavano quando hanno vissuto questa esperienza. La temperatura indicata è variata tra i 12 e i 40 gradi centigradi. E chi ricordava esperienze di esclusione ha dichiarato di aver percepito più freddo.

Nel secondo esperimento, invece, i volontari hanno giocato insieme con un pallone tramite una simulazione al computer. Alcuni di loro, però, sono stati sistematicamente esclusi dal gioco, mentre altri hanno ricevuto molto spesso la palla. Subito dopo, i ricercatori hanno chiesto ai volontari se avrebbero preferito cibi e bevande caldi o freddi. Ebbene, gli esclusi hanno chiesto più cibi e bevande calde, quasi come a voler compensare la sensazione di freddo percepita a causa dell’esclusione subita.

Secondo i ricercatori, questo potrebbe spiegare anche il perchè molto spesso le persone sono più esposte a sentimenti negativi durante l’inverno.

articolo completo al seguente indirizzo: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/scienza/grubrica.asp?ID_blog=38&ID_articolo=946&ID_sezione=243&sezione=News

 
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il 21/09/2011 alle 15:03
 
Mah!Sarà ke dormo bene&tnt lo stesso!!!^_^
Inviato da: Gaia.dgl1
il 04/11/2008 alle 12:18
 
simpatico sto post
Inviato da: RossellaaOHara
il 01/05/2008 alle 15:42
 
 

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