Creato da nonnobizzarro il 06/10/2006
Diario di Viaggio
 

 

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Sfrecci deciso sulla FDR.

Post n°49 pubblicato il 29 Dicembre 2007 da nonnobizzarro
Foto di nonnobizzarro

A ben 45 miglia orarie. Alla tua destra Manhattan in tutta la sua magniloquente bellezza. Alla tua sinistra Brooklyn in tutta la sua… la sua… la sua. Sono le sette di sera. Sei in perfetto orario, ma hai fretta lo stesso. Hai un appuntamento con una ragazza. Una donna. Bellissima. Intelligente. Come se questo non bastasse è anche il tuo capo. Insomma sei nervoso. Parecchio nervoso.

È buio e piove. I taxi ti schizzano accanto come calabroni incazzati. Cerchi di scorgere tra le tante, la tua uscita. Non ci vedi bene. Hai gli occhiali sporchi di unto. Forse il pollo che hai mangiato a pranzo, forse il sudore freddo che ti scende dalla fronte. Ad ogni modo… Vedi i numeri delle strade decrescere come un lento conto alla rovescia sui cartelli stradali: 239, 168, 115, 96, 68… Ti guardi nello specchietto retrovisore. Ti trovi bello, ma non abbastanza bello. Cioè, forse lei non ti troverà bello. Forse hai sbagliato giacca. Volevi avere un’aria affidabile, da uomo, e allora hai indossato la tua giacca da colloquio. Quella a costine di velluto da intellettuale di sinistra. Cazzo, hai decisamente sbagliato giacca. 42.

42? Porca puttana la tua uscita! Metti la freccia e dai una rapida sterzata. La macchina vira improvvisamente e, senza che tu faccia in tempo a dare di contro sterzo, sale sullo spartitraffico che divide la tua corsia da quella accanto. Oh porca puttana non l’avevi visto! Rimetti l’auto in carreggiata. Un tassista alle tue spalle ti suona inviperito con il clacson. Ma tu non fai una piega e gli sorridi, quando ti sorpassa. Sei troppo contento di essere ancora vivo.

Ti accorgi che ti tremano le gambe. Ma forse ti tremavano anche prima. Diffcile stabilirlo ora. Decidi di fare un respiro profondo. Perché non le dovresti piacere? Voglio dire sei bello, sei intelligente… ok non sei Schumacher al volante, però hai le tue carte da giocare. Per esempio sai a memoria tutte le statische del baseball dal 1987 ad oggi. Fai un respiro profondo. Non basta. Ne fai un altro. Ti calmi.

Prendi l’indirizzo dalla tasca della tua giacca a costine. 225 East, tra la terza e la quarta strada. Ok. Esci alla 23°. Passi davanti al Bellevieu hospital, dove qualche giorno prima ti hanno tolto un dente del giudizio. Nel buco vuoto rimasto nelle tue gengive dopo l’estrazione s’infila sempre del cibo. Controlli con la lingua. Ti accorgi solo in quel momento di avere ancora la bocca piena di Listerine antisettico liquido. Ne avevi preso un sorso per scongiurare ogni rischio possibile di alito pesante. Oddio. Sei un disastro… Apri il finestrino e lo sputi lungo la prima Avenue. Ti sorprendi di come lo schizzo abbia sporcato solo la manica della tua giacca visto che hai sputato controvento. Comunque…

Arrivi davanti al suo ufficio. Parcheggi in doppia fila. Cerchi di sistemarti in posa plastica, di avere un atteggiamento casual e non quello di uno che ha appena rischiato un incidente mortale sulla FDR.

Poi ti viene un dubbio. Uno scrupolo. Una voce sottile nella tua testa che ti dice qualcosa che suona come “Coglione” ma che potrebbe anche essere “Zabaione” o “Bel maglione”. Scendi dalla Cugar. L’auto sembra a posto. Niente graffi. Niente olio che cola. Tutto a posto. Poi ti chini per controllare le ruote e… Oddio… Oddio mio… Oddio. Vorresti morire.

Hai bucato. Hai fottutamente bucato. Hai bucato alla grande. Hai bucato il pneumatico Michelin della tua cazzo di Cugar Rossa. Ti rialzi e la vedi uscire dal palazzo sorridente.

Ti viene incontro bellissima.

“Ciao!” Ti dice sorridendo.

“Ho piuttosto bucato.” Rispondi tu.

 “Stai scherzando, vero?” Ti dice sorridendo.

“No.” Rispondi tu.

“E adesso?” Fa lei smettendo di sorridere.

“E adesso la cambio!” Fai tu fingendo un selfcontrol che non hai mai avuto in vita tua.

Apri il portabagagli. Scansi le lattine vuote di Dottor Pepper, la bibita di cui tua madre va ghiotta e che avresti dovuto portare allo schiaccia lattine per ricavarne degli spiccioli e che “il tuo appuntamento” non avrebbe mai dovuto vedere secondo i tuoi piani, ed estrai la ruota di scorta ed il cric.

Senza guardarla negli occhi lo sistemi sotto alla macchina e cominci a girare la manovella. Fai una fatica immane, ma fingi che la palestra fatta negli ultimi mesi sia più che sufficiente. Il fatto è che è la prima volta che cambi una gomma e sei sicuro che si vede. La tua ex diceva sempre che gli uomini servono solo a prendere le cose in alto e a cambiare le gomme. Ti accorgi di averla delusa ancora una volta quando noti che, mano a mano che tiri su l’auto, il cric comincia a piegarsi su se stesso.

Decidi di fermarti e pensare e nel frattempo svitare la ruota. Ecco sì… svitare la ruota. Ci riesci piuttosto rapidamente e guadagni così punti fiducia. La togli, la fai reggere a lei e poi torni al cric per dare qualche altro colpo d’assestamento.

La meravigliosa creatura ti scruta perplessa. Senti il suo sguardo infuocato colpirti alle spalle: “Come va? Ci riesci?” Ti chiede con voce conciliante e materna… Oddio materna!

Tu, tremante, rispondi: “Certo.” Mamma, ti verrebbe da aggiungere.

E proprio in quel momento l’auto scivola in avanti spezzando il cric e facendo sbattere il freno a disco sull’asfalto nero e umido, scheggiandolo. Il freno a mano, pensi, non hai tirato il cazzo di freno a mano.

“Ops...” lei dice.

“Adesso bestemmio!” Pensi tu.

Invece dici: “Tutto a posto, non è niente. Ma il cric è rotto, mi sa.”

“Vado a chiedere al portiere se ne ha uno.”

“Buona idea…” Dici.

Quando la vedi andare via, per un attimo ti senti sollevato. Piove, hai bucato, hai rotto il cric, ma almeno ora non hai più il suo sguardo compassionevole sulle spalle. Rimpiangi il tuo motorino. Rimpiangi la tua BMX. Rimpiangi anche i tuoi pattini regolabili. Sopratutto rimpiangi la tua spiccata eterosessualità. Certo potresti prendere un taxi e scomparire, lasciare l’auto lì, lasciare il lavoro, lasciare lo stato…

Ma non lo fai.

Perché lei torna sorridente con un cric professionale in mano. Come fa a essere così perfetta?

“Vuoi una mano?”

Scuoti la testa. Ce la devi fare da solo. Non vuoi l’aiuto di nessuno. Non vuoi fare la fine di Dorando Pietri alle olimpiadi del 1908.

In pochi minuti sei pronto a cambiare la gomma. Una timida speranza di non aver buttato la serata nelle acqua del fiume Hudson ti sorge spontanea.

Afferri la ruota di scorta e solo a quel punto ti accorgi che è sgonfia. Pensavi non potesse andare peggio? Ti sbagliavi.

Lei comincia a ridere. Tu non sai dove guardare. Sei pallido. Senti una fitta al braccio sinistro. Infarto? Dannata ipocondria. Tu stai quasi per darti per vinto quando lei, con grazia e delicatezza, alza un braccio e ferma un taxi.

“Chiudi la macchina e prendi la gomma!” Ti fa con fare sicuro.

A te non resta che eseguire e non dire nulla. Più nulla.

Salite sul cab. Il tassista nero, tale Marcus Washington, capisce al volo la situazione (un tipo brillante) e dice: “Vi porto da un gommista amico mio.” Il taxi parte. Sono le dieci di sera.

Lei ti è seduta accanto. La guardi con la coda dell’occhio. È così bella. Come diavolo fa? Tu invece sei sporco di grasso di auto e stai abbracciando una ruota di scorta, sgonfia per giunta. Sei consapevole di non essere al tuo top. Sei consapevole di non esserci nemmeno vicino. Il taxi si ferma. Paghi Marcus: 12 dollari. 

Scendete e vi ritrovate davanti ad una piccola autofficina del West Side. Il gommista è un tipo ispanico sulla quarantina. Per soli 15 dollari (tariffa notturna) ti gonfia volentieri la gomma. Per l’autostima ti chiederebbe molto di più. Lei non entra. Rimane fuori. Ne sei felice. Stonerebbe in quel posto.

Con la gomma ben gonfia prendete un altro taxi che per altri 12 dollari vi lascia davanti al garage del suo ufficio dove tu hai parcheggiato l’auto per non tenerla in mezzo alla strada.

Paghi anche il gentilissimo parcheggiatore pakistano. Un’ora di parcheggio: 18 dollari. È pur sempre Manhattan, signori.

Cambi la gomma rapidamente. Ormai sei pratico. Quasi un meccanico del team Ferrari. poi restituisci il cric al portiere dello stabile. Accendi la macchina ed esci dal garage. Fuori ti aspetta lei. La fai salire. Sei abbastanza cavaliere da scendere ed aprirle la porta. Poi, finalmente, quando siete in auto insieme, parli. Non hai proferito verbo nelle ultime due ore.

“Ti porto a casa.” È mezzanotte inoltrata. Domani dovete lavorare.

Lei fa cenno di sì con la testa.

Arrivi ad Harlem in pochi minuti e senza ulteriori incidenti. Durante il viaggio riesci a dire solo: “Mi dispiace.” Ma lo dici almeno un paio di volte, così, tanto per riempire i silenzi.

Quando sei sotto al suo palazzo che dà direttamente su Central Park, fermi l’auto, ma non la spegni per paura che possa non riaccendersi (a questo punto temi di tutto)

Un silenzio rumorosissimo si infila tra di voi.

Poi lei ti guarda negli occhi e sorridendo ti dice: “È stato di gran lunga il primo appuntamento più originale che mi sia mai capitato.”

Tu vorresti seppellirti.

Poi però lei si avvicina e ti bacia. Sulla bocca.

Tu diventi rosso come il rosso. Lei se ne accorge, abbassa lo sguardo, scende dall’auto ed entra in casa. Non prima, però, di averti sorriso per l'ennesima volta.

Tu te ne resti lì nella tua Cugar Rossa, sporco di grasso, sudato, con le gambe tremanti e le mani spaccate dal cric e però ti senti felice. Stupidamente felice.

Poi pensi a quella vecchia battuta che hai letto non sai più dove e cominci a ridere da solo, come un perfetto imbecille: “Quando una donna si è decisa a dartela è inamovibile!”

 
 
 
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