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IL BREAK EVEN POINT

Post n°142 pubblicato il 22 Settembre 2008 da JayVincent


Nel campo del marketing esiste un fondamento di grande importanza per la valutazione del ciclo di vita di un prodotto o di un bene di consumo: il Break Even Point.
Ossia il punto di pareggio, che si configura nel momento in cui il fatturato va a impattare esattamente i costi sostenuti per la produzione.
Il Break Even Point non può essere calcolato preventivamente, perchè segue il ciclo di vita del prodotto stesso ed è una variabile determinata dalla non linearità del mercato, ma può essere anticipato da una Break Even Analysis.
Che, per sommi capi, non è altro che una valutazione media, con diversi minus: ad esempio, può essere fatta solo nel breve periodo, perché l’andamento economico del mercato non è minimamente connotabile sul lungo termine; inoltre, non tiene conto della stagionalità e del cambio dei prezzi.
Insomma, da un punto d vista metafisico, a me ricorda molto la valutazione che si può fare nel campo dei pronostici relativi a una stagione sportiva.
Qual è il punto di pareggio tra le ambizioni e risultati? Quando, in relazione agli investimenti di mercato e alle aspettative generate, è possibile definire che una squadra è andata oltre, sotto o in parità rispetto alle aspettative?
Come nel marketing, la valutazione dovrebbe essere fatta nel breve periodo, perché nel corso di un Campionato le variabili sono molteplici.
Se nel ciclo di vita di un prodotto esistono la concorrenza, in termini di qualità e offerta economica, nello sport esistono le variabili infortuni, la possibilità degli avversari di cambiare i valori iniziali con nuovi innesti, e tante altre sfumature prettamente umane quali unità del gruppo, esplosioni di spogliatoi, ammutinamenti e fantasiose eventuali.
Oggi, anno domini 2008, all’antivigilia di questa stagione piena di incognite, è possibile effettuare una Break Even Analysis?
Al conseguimento di quale risultato potremo definire raggiunto il punto di pareggio tra le aspettative e il risultato ottenuto?
In sostanza: quanto vale davvero questa Olimpia 2008/2009 e in quale posizione è possibile inserirla, sopra la quale la stagione sarà un successo e sotto la quale un fallimento?
Esercizio complicatissimo.
Perché la concorrenza è davvero misteriosa e, a sua volta, tutta da decifrare: a parte la solita Siena, che ogni anno rifinisce senza smontare, le altre avversarie sono un rebus.
Fortitudo e Virtus camminano sul filo del rasoio tra squadra figurina e talentuosissimo gruppo: ambedue, trovando il passo giusto, possono essere compagini di alto valore, in grado di impensierire i Campioni d’Italia in carica con l’arma del talento e dell’imprevedibilità.
Ma possono anche essere le classiche squadre che, dovesse scivolare un granellino di polvere nell’ingranaggio, rischiano di andare a gambe all’aria.
C’è poi Roma, costruita una volta tanto per tempo, senza apparente necessità di fare e disfare il roster almeno un paio di volte prima di giungere alla configurazione definitiva.
E poi Treviso, decaduta in un buio profondo circoscritto dalle macerie post affaire-Lorbek, segnalatasi per un mercato poco appariscente ma estremamente solido: da non sottovalutare la loro chance di partire a fari spenti, variabile che potrebbe risultare molto importante.
Molto nutrito il gruppo di outsider-ma-non-troppo, comprendente Avellino, Cantù, Pesaro, probabilmente Caserta: tutte squadre che non lotteranno per i primi o primissimi posti, ma che faranno da bilancia per le ambizioni altrui e comunque sono in grado di ergersi a sorprese.
Detto questo, la squadra paradossalmente meno valutabile è proprio Milano.
Non abbiamo la minima idea di come possa il gruppo italiano inserirsi in un contesto che ha già iniziato a lavorare, saggiando il campo durante una preseason completamente svuotata di significati.
Hawkins e Thomas si dimostrano in palla, ma lo hanno fatto in uno scacchiere che non sarà quello entro il quale dovranno muoversi.
Molto spesso le loro partite si sono risolte in one man show che non saranno le consegne stagionali, hanno giocato dentro timing e movimenti che verranno spazzati in un battito con il ritorno del trittico Bulleri-Vitali-Mordente.
E ci sono le preoccupanti condizioni del duo Rocca-Hall: Mason è ancora in balia di quei problemi fisici che tanto ne hanno ridotto impatto e utilizzo nella scorsa stagione, Mike non sembra avere ancora precisamente messo a fuoco né il contesto né la sua dimensione.
Insomma, siamo un cantiere aperto, decisamente troppo per il poco tempo che manca alla prima palla a due.
E quindi, per tornare a quella che è la domanda iniziale, alla luce di quale risultato potremmo dire che questa Olimpia anno primo d.C. (dopo Corbelli) avrà raggiunto il Break Even Point?
A mio parere si potrebbe dire agguantando una delle prime 4-5 posizioni: perché, pur apprezzando il lavoro di Zanca e la voglia di dare un valore alle persone prima che ai giocatori, non ritengo che il talento del nostro roster sia, ins enso assoluto, eccellente.
Di contro, c’è una predisposizione alla battaglia molto diversa rispetto alle mollezze delle ultime stagioni.
E questo potrebbe essere il nostro plus che ribalta i valori in campo.
Deve però essere un valore aggiunto particolarmente fragoroso, perché personalmente ci vedo un po’ lontani dal gruppo di testa, già comunque spaccato tra vere pretendenti e presunte tali.
Se saremo così bravi da inserirci in un questa discrepanza, probabilmente saremo già andati oltre il punto di pareggio.
Fermo restando che, per un inguaribile romantico come il sottoscritto, basta essere tornato in possesso della sua Olimpia, di Fiero, di una Società che se tenti di fare il furbino ti fa squalificare, per avere ampiamente scavalcato il punto di soddisfazione.
Poi, al contrario di me, c’è una pletora di tifosi, appassionati, frequentatori che friggono nella più assoluta incontentabilità, per i quali l’avvento dell’era Armani deve necessariamente essere sinonimo di trionfi immediati, dimenticando che senza storia, consapevolezza e umiltà non si va da nessuna parte.
Per vincere bisogna essere pronti e strutturati, soprattutto se il verbo vuole essere coniugato nel tempo e non solo in un presente che, la storia insegna, potrebbe anche essere casuale e non legato a un progetto serio.
E questo è un invito, per nulla velato, a non cadere nel partito dello scontento, della critica gratuita: non dimenticare le proprie origini è il primo passo verso la consapevolezza.
E dovremmo tutti ricordarci che le nostre origini sono certamente quelle dei Rubini, Peterson, Bogoncelli, ma ahinoi, anche quelle più recenti dei Corbelli e dei Natali, dei Tacchini e degli Stefanel.
Gente che, piano piano ma con sistematica soluzione di continuità, ci ha trascinato nell’abisso con una staffetta agghiacciante.
Ricordarsi di non dimenticare sarà la medicina migliore per guarire i malanni stagionali di una semplice sconfitta sul campo.

 
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