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IL CUORE ALTROVE

Post n°150 pubblicato il 09 Gennaio 2009 da JayVincent


Dov’era, solo pochissimi giorni fa, l’unica e sola arma con cui questa squadra può essere da gara?
Le palle, il cuore, la voglia di essere sporchi e cattivi, brutti con il pregio di vedersi bellissimi nello specchio del dopogara.
Bisogna essere intellettualmente onesti e raccontare che questa vittoria nasce dalle ceneri di una prestazione disastrosa, molto più nella forma che nella sostanza.
Perché si può perdere, imbarcare acqua contro avversari più forti e più lunghi, ma non si può rinunciare alla propria identità.
E noi non possiamo averne altre al di fuori di questa.
Questa Olimpia è una squadra di non: non abbiamo talento in abbondanza, non abbiamo centimetri, non abbiamo tonnellaggio, non abbiamo fantasia.
Ma abbiamo sempre messo sull’altro piatto della bilancia qualcosa che non si acquista nelle finestre di mercato.
Cuore, sangue, lacrime, sudore. Se mancano questi ingredienti, Milano è una portata divorabile non da tutti, ma da tanti.

Per fortuna, si può parlare di pericolo scampato.
In una serata che è comunque un bicchiere solo mezzo pieno, perchè ha visto conclamarsi il momento nero di alcuni giocatori, capitanati da Luca Vitali e con Jobey Thomas fido scudiero, ne usciamo con una prestazione tarantolata di alcuni singoli.
Sangarè, Rocca e soprattutto uno stratosferico Marco Mordente, che buttano anima e giocate sui legni, dando ossigeno a tutti quelli che ci hanno provato ma, per ora, proprio non riescono a uscire dalle proprie paludi tecniche o mentali.
Certamente, da qualche settimana a questa parte, è evidente il problema di acefalia della squadra, che non riesce a trovare nei suoi due playmaker la guida assolutamente necessaria.
E che Sangarè sia di gran lunga quello che porta più impatto, ne è proprio la dimostrazione più lampante.
Il francesino che tanto mi convince non è un play, è una guardia fatta e finita che può essere prestata al ruolo, ma non ha la ‘visione visionaria’ di chi dovrebbe leggere le carte, meglio ancora se in anticipo.
Il capitolo Bulleri è sempre lo stesso, stantio e ben oltre il limite della sopportabilità: deve uscire dalla panchina? È un sesto uomo di rottura? Ha bisogno di fiducia e quindi deve farsi tanti minuti sempre e comunque?
Il Bullo ha sempre dimostrato impegno, voglia, serietà, sul professionista è difficile muovere obiezioni. Ma nei fatti, non è mai stato in grado di dirimere le questioni, di darsi e darci risposte.
E quindi è un capitolo da non riaprire.
È Bulleri, con tutto ciò che ne deriva, un nome con il copyright, un sinonimo.
Quello di Luca Vitali è un capitolo a parte, e sarebbe bene impaginarlo molto rapidamente prima che prenda la stessa direzione del ragazzo di Cecina.
L’investimento è importante, il giocatore ha dimostrato di avere indubbie qualità, è un mismatch ambulante, incarnazione del moderno playmaker.
Però è incarnazione anche del non saper volare basso, a mio modesto e personale parere.
Il suo portamento è quello dell’erede designato che una volta messo sul trono non trova il popolo a prostrarsi, non si sente amato come dovrebbe nè si vede protetto dai peana della stampa.
Si diceva, erede. Ma di chi? Di quel Danilo Gallinari che tanto invece ci ha insegnato sulle qualità e la tenuta mentale di un ragazzo giovanissimo catapultato agli onori della cronaca ed eletto Messia.
Vitali è giunto con questo caravanserraglio di adulatori: i commentatori di Sky, autentici Dioscuri della materia, la stampa, le aspettative, i roboanti paragoni. Luca è sbarcato alla Centrale come l’erede designato, il post Gallinari, la faccia nuova della nuova Milano griffata – ora completamente -  Armani.
E se non hai la testa giusta, gli occhi giusti e il cuore giusto, rischi di perderti.
Chi lo sa se c’è del vero in questi miei voli pindarici oppure, molto più semplicemente, Vitali non trova in Bucchi un coach in grado di farlo crescere, di dargli la fiducia giusta, di fargli scattare la scintilla.
Certo è che, per quanto tu non ti possa trovare a meraviglia con il tuo allenatore, nulla ti vieta di esprimere sul campo la voglia e la grinta esposta dai compagni.
E questo, di sicuro, non sta accadendo.
Che poi ci sia una piccola faida interna, che si sia alla resa dei conti sul genere o lui o io, non voglio crederlo, né penso lo sia davvero.
Anche perché quelle che derivano da queste battaglie sono vittorie di Pirro, che quasi sempre rimandano l’esecuzione anche dello stesso trionfatore.

 
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