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LA LEGGE DEL SEI

Post n°159 pubblicato il 30 Marzo 2009 da JayVincent


Quando ancora ero un pimpante liceale, con la voglia di studiare regolarmente in secondo piano rispetto a quella di divertirmi, mettevo sempre alle corde mamy e papy con quella che amavo definire la ‘legge del sei’ (o in casi eccezionali, anche del 6 e mezzo).
I miei genitori, due prodigi di apertura mentale e capacità di responsabilizzare l’adolescente che fui, sospettavano che il mio impegno scolastico, a tratti, non fosse esattamente un manifesto di stakanovismo.
E avrebbero anche ritenuto opportuno richiamarmi a una maggiore dedizione.
Più pagine di letteratura che di Superbasket, più numeri matematici che telefonici, più uscite culturali che notturne.
Ma ecco che, nel momento in cui diveniva indispensabile dubitare della mia integrità, arrivavo a casa con un (modestissimo) sei.
O addirittura, con un sei e mezzo.
E quindi? E quindi se il risultato è sufficiente, o più che sufficiente, c’è poco da brontolare.
Posso dare di più? Se posso prendere 6 e mezzo posso tranquillamente arrivare al 7?
Di certo: ma la mia vita personale, la giovinezza, il piacere della scoperta, la libertà, l'assecondarmi e bla bla bla.
Mezzo punto in più vale l’amputazione di una parte del mio meraviglioso mondo di sognatore?
Suvvia.
E nei casi estremi, un bell’otto in quelle materie a me predilette, ma rigorosamente di secondo piano, per dimostrare che le potenzialità ci sono tutte. E, prometto, la prossima volta le applicherò a tappeto.


Questa Olimpia sembra me da ragazzino.
Gioca maluccio. Costruisce poco. Non è equilibrata. Si accontenta. Non pensa.
Ma porta a casa i due punti. E lo fa ormai da un po’.
E quindi puoi scrivere un articolo di critica? Puoi arrabbiarti? No, non puoi.
Però puoi notare che il risultato è di certo massimo, ma lo sforzo è altrettanto sicuramente quello minimo.
Rieti e Udine rappresentavano un banco di prova importante, in termini di continuità e in nome di quella tendenza all’andare fuori giri contro avversari brutti e cattivi.
Rientriamo a casa con due vittorie sofferte, che hanno messo in mostra limiti strutturali e di approccio.
Ma che, rovescio della medaglia, ci consegnano una squadra più cinica, concreta, in grado di tirarsi fuori autonomamente dai pasticci che crea.
Le carenze strutturali ormai non possono essere che evidenti, ma forse è il momento (e lo è da un pezzo) che queste carenze vengano definite caratteristiche peculiari.

Il vivere o morire con il tiro da 3 punti appare in parte inevitabile, vista la tipologia di giocatori su cui si è costruito il roster; è una scelta chiara e come tale deve essere vissuta come un plus. Chi assembla un gruppo di tiratori, lo fa pensando di fare un affare, non di creare un mostro acefalo.
Le ultime due partite raccontano di una squadra che ha tirato 59 volte da due e 59 volte da tre punti: parità, alla faccia del bilanciamento.
E il riscontro numerico è almeno interessante. Abbiamo tirato da lontano con il 37%: per una squadra costruita con l'intento di fare male con quel fondamentale, non è un risultato brillante.
Diciamo da 6.
Per contro, da due punti abbiamo tirato con il 56%, che non è un dato strabiliante ma è più che discreto per chi non ha a roster straordinari atleti (fatto salvo David Hawkins), eccellenti penetratori (ancora David Hawkins santo subito) e gente capace di costruire un gioco solido nel pitturato.
Quindi, come interpretare questo dato? Intanto, con il dire che il pick and roll Vitali-Rocca ha fatto sfracelli. Poi col sottolineare che Hall pare essere più disposto a non piantare le tende dietro l’arco.
E ancora, con il rivelare che Sow, se teleguidato e portato per mano, può recapitare la palla con una certa coerenza. Peccato faccia una grande fatica a capire e capirsi.
Se Mason riesce finalmente a trovare l’abbrivio per un finale di stagione sprint, abbiamo un coniglio nel cilindro. E a tal proposito, sarebbe interessante riuscire a cavalcare con più consistenza il nostro Papa nero, non sostenendolo con l'emarginazione nella sua incredibile capacità autolesionistica di andare in black out totale.
Quando poi potremo finalmente calare anche l’asso Mo, ci potrebbe persino essere da sorridere.
Che poi, io, questo Taylor bug mica lo capisco più di tanto.
Che arrivò in condizioni fisiche pessime non ci sono dubbi, che ancora sia lontano dal fare le onde anche, però parliamo dello stesso bipede che l’11 febbraio, quindi 47 giorni fa, fece intravedere 10 minuti di cose tecnicamente apprezzabili in quel di Vitoria.
E che il 5 marzo, al Palazzo della Pace e dell’Amicizia, giocò 20 minuti interessanti contro l’Olimpiacos tutto tonnellaggio dei Boroussis, Vujcic & Co.
Siamo al passo del gambero? Il ragazzo di Calabria preferisce barricarsi da McDonald’s piuttosto che in palestra? Non ho le risposte, ma forse si potrebbe osare un pochino di più.
Magari, anche timbrando una prestazione da semplice 6, lo scolaro Maurice può darci delle gioie.

 
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