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« THE UNDERDOGSUOMINI SOLI »

ORGOGLIO E PREGIUDIZIO

Post n°164 pubblicato il 15 Giugno 2009 da JayVincent


A volte ci sono partite che, indipendentemente da punteggio e risultato, un tifoso vorrebbe sempre vedere.
Guardare i suoi ragazzi che giocano con un cuore e una fierezza immensa, vederli mentre sputano tutto quello che hanno dentro, osservare il trito e retorico paragone di Davide contro Golia che diventa invece giustificata e giustificabile metafora.
Sarò subito impopolare: uscire sconfitti dal match di ieri è quasi un bene, è la conclusione più giusta, perché tatua sulla pelle tutto ciò che deve essere fatto per arrivare a competere con i migliori, ma scrive nella pietra quali sono le cose che non vanno fatte.
Scolpisce nelle tavole di Mosè alla milanese che accontentarsi non basta, che se si vuole davvero competere e crescere, ora, oggi, è il momento di fare uno sforzo in più.
Evidenzia che con una gara perfetta si può vincere, appunto, una partita. Ma con una struttura e un lavoro che sulla lunga durata sono imperfetti, non la spunti.
Non questo momento storico.
E forgiare un gruppo, un Progetto con la P maiuscola, nel momento di dominio incontrastato di un altro vessillo, è una fatica doppia.
Ma ti da la possibilità di garantirti un futuro altrettanto solido, perché issarsi al comando in un momento di vuoto di potere è una cosa, rovesciare un regime – sportivo e meritatissimo, s’intende – ti iscrive nella storia che conta.

L’orgoglio che provo per questa squadra, oggi, è davvero grande.
Per la bellezza infinita che c’è nel vedere ragazzi come Katelynas, come Sangarè, come Joey Beard – tutt’altro che baciati dal talento, non incensati, non esaltati – tenere testa e costringere Siena a perdere la trebisonda, obbligandoli, se possibile, a giocare ancor più sporco, è qualcosa al limite del commovente.
Vedere l’avversario che ricorre a tutto il proprio repertorio prima tecnico, poi tattico e poi sommerso per strappare la vittoria, è il successo più grande.

Sarò magari sgradito ai puristi del ‘Siena non si tocca’, ai cronisti e giornalisti orbi che vedono solo il luccichio e si astengono da ogni critica, ma Siena non sa vincere.           O meglio: null'altro che il campo.
È una squadra fortissima, costruita con basi solide e nel rispetto di un progetto, straordinariamente ben messa sui legni: e finchè ci si limita a questo, io mi alzo e applaudo.
Ma c’è una Mens Sana meno sfavillante, che non ha lo stile degno delle grandi squadre, che porta in campo un’arroganza e una presunzione che si legge sulle facce di chi li dirige, che vibra nelle proteste e nelle occhiate dei suoi interpreti in campo, tagliabile con il coltello nel modo in cui non rispettano l’avversario. Nella piaggeria di chi li asseconda e non sarebbe mai tanto impertinenti dal fare qualcosa di sgradito, perchè spesso è più triste il dominato del dominante.
Diceva il grande Indro Montanelli: come si fa a non diventare dittatori in un paese di servi?

Questo è un discorso da perdenti? Forse.
Invece io mi sono sentito incredibilmente vincente nel vedere i miei ragazzi costringere i Campioni al più completo repertorio di intangibles da padroncini del vapore.
Questo è il pregiudizio.

Ma non solo. Perchè, restando in casa nostra, il pregiudizio è stato nel sapere a pochi secondi dalla fine che Siena l’avrebbe portata a casa.
Nel vedere Bucchi chiamare quel time out e sapere perfettamente cosa sarebbe accaduto.
Temo che questa sia una Polaroid piuttosto triste della nostra stagione, perché dentro tanti complimenti c’è il rammarico di non essere mai usciti dalla prevedibile ovvietà di uno spartito monotono e sempre uguale a sé stesso.
E Siena, che è una squadra di Campioni che leggono le partite e sanno perfettamente dove andare a guastare il gioco, si è limitata ad aspettare la naturalezza degli eventi.
La difesa del nostro ultimo possesso è stata semplicemente un pezzo di bravura, sciorinato con la facilità e la naturalezza di chi beve un bicchier d’acqua.
Ma ci sarebbe da capire se, finalmente, sarà possibile mettere in discussione la guida tecnica della squadra; Livio Proli disse che questa squadra, ora, assomiglia al suo allenatore.
È proprio così: gli somiglia fin troppo. E non gli è mai stata fedifraga, perché nel momento del bisogno è ricorso al grande quadro che coach Bucchi ha dipinto per noi.
L’isolamento di Hawkins.
Capolavori come quelli di ieri sera non meritano di diventare rimpianti.

 
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